La Corte Costituzionale con la
Sentenza n.87/2017 dell’Aprile 2017 ha definitivamente chiuso le questioni di
incostituzionalità delle norme introdotte sui contratti di locazione sorti a seguito della
denuncia all’Agenzia delle entrate ai sensi dell’art 3 commi 8 e 9 del Dlgs
23/2011 dichiarando non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 59, della legge 28
dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in
cui sostituisce l’art. 13, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431
(Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso
abitativo).
Si ricordano le precedenti
Sentenze della Corte Costituzione in materia e precisamente:
- i commi 8 e 9 dell’art. 3 del decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo
Fiscale Municipale) – introduttivi di una disciplina “premiale” che, a
beneficio dei conduttori che denunciavano al fisco il contratto non
tempestivamente registrato dal locatore con clausole particolarmente favorevoli
all’inquilino, che gli avrebbero assicurato una considerevole stabilità del
rapporto locativo – sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi per
violazione dell’art. 76 Cost., con sentenza di questa Corte n. 50 del 2014, in
quanto estranei agli obiettivi ed ai criteri della legge di delega 5 maggio
2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in
attuazione dell’articolo 119 della Costituzione).
- il
comma 1-ter dell’art. 5 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti
per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015),
convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80 – con cui
erano «fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi
e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati
ai sensi dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011,
n. 23» – è stato, a sua volta, dichiarato costituzionalmente illegittimo,
per violazione dell’art. 136 Cost., con sentenza n. 169 del 2015, depositata il
16 luglio 2015.
E in ragione di tali premesse, è
stato invocato il giudizio della Corte Costituzionale anche per la disposizione
di cui al comma 59 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 perché ritenuto che
la stessa incorresse in analoga violazione dell’art. 136 Cost., per «l’elusione
del giudicato (sostanziale)» di cui alla sentenza n. 50 del 2014, «e ciò a lume
sia dei numerosi arresti della Corte costituzionale, intervenuti sul tema, sia
delle precise ed inequivoche indicazioni» contenute nella sentenza n. 169 del
2015, che ha «ribadito l’intangibilità del decisum di cui alla precedente
pronuncia n. 50 del 2014».
La Corte Costituzionale però ha
ritenuto che il novellato comma 5 dell’art. 13 della legge n. 431 del 1998, in
esame non fosse da cassare e precisamente:
Non
sussiste la violazione dell’art. 136 Cost
La norma in esame non ripristina né
ridefinisce il contenuto relativo a durata e corrispettivo dei pregressi
contratti non registrati, la cui convalida, per effetto delle richiamate
disposizioni del 2011 e del 2014, è venuta meno, ex tunc, in conseguenza delle
correlative declaratorie di illegittimità costituzionale.
L’odierna disposizione prevede,
piuttosto, una predeterminazione forfettaria del danno patito dal
locatore e/o della misura dell’indennizzo dovuto dal conduttore (Corte di
cassazione, sezione terza, sentenza 13 dicembre 2016, n. 25503), in ragione
della occupazione illegittima del bene locato, stante la nullità del contratto
e, dunque, l’assenza di suoi effetti ab origine.
La nuova disciplina si rivolge,
comunque, soltanto alla particolare platea di conduttori individuata alla
stregua della situazione di fatto determinatasi in base agli effetti della
disciplina di cui all’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011, prorogati
dall’art. 5, comma 1-ter, del d.l. n. 47 del 2014, nel periodo intercorso dalla
data di entrata in vigore del suddetto d.lgs. del 2011 a quella (16 luglio
2015) di deposito della sentenza caducatoria n. 169 del 2015. E, per tal
profilo, opera una selezione che trova giustificazione nella particolare
situazione di diritto, ingenerata dalla normativa poi dichiarata illegittima,
sulla quale il conduttore aveva però riposto affidamento (fino alla data,
appunto della declaratoria di siffatta illegittimità), essendosi conformato a
quanto da essa disposto.
La pur solo parziale coincidenza
dell’importo del parametro indennitario, previsto dalla disposizione censurata,
con quello del canone legale, individuato dalle pregresse norme dichiarate
costituzionalmente illegittime, non è dunque sufficiente a determinare la
violazione del giudicato costituzionale, atteso, appunto, il più ampio e
differente assetto disciplinatorio dettato dalle norme dichiarate illegittime —
le quali avevano mantenuto intatti gli effetti di un (convalidato) rapporto
giuridico locatizio, con tutti i correlativi obblighi (reciproci), legali e
convenzionali, e con le eventuali ricadute sul contenzioso concernente
l’attuazione del rapporto stesso — rispetto alla disciplina recata dal vigente
comma 5 dell’art. 13 della legge n. 431 del 1998, che quel rapporto conferma,
invece, essere venuto meno ex tunc, regolandone soltanto le implicazioni
indennitarie, in termini di occupazione sine titulo.
Non
sussiste la violazione dell’art. 3 Cost.
È pur vero, infatti, che
l’importo (pari al triplo della rendita catastale), che il comma 5 del
novellato art. 13 della legge n. 431 del 1998 riconosce forfettariamente dovuto
dai conduttori, per il periodo ivi indicato, è inferiore a quello (non
eccedente il «valore minimo» definito dalla contrattazione collettiva
territoriale) che il giudice può riconoscere dovuto dal conduttore «Nel
giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione», su azione dello
stesso conduttore, ai sensi del comma 6 del medesimo riformulato art. 13.
Ma quelle la comparazione
riguarda situazioni certamente non omogenee, attenendo la prima – in via
transitoria – ad una «indennità» dovuta in correlazione ad una pregressa
occupazione senza titolo, per di più qualificata dall’affidamento riposto
dall’inquilino nel dettato normativo poi dichiarato costituzionalmente
illegittimo, e riferendosi, diversamente, la seconda – a regime – ad un
«canone» determinabile da parte del giudice «che accerta l’esistenza del
contratto» (id est: l’esistenza di un contratto scritto non registrato nel
termine prescritto): ipotesi, quest’ultima, che, per un verso, si diversifica
da quella in precedenza disciplinata dal comma 5 dell’art. 13 nel testo
originario, che aveva riguardo al solo contratto “di fatto” instaurato dal
locatore, ossia al contratto verbale e, quindi, nullo per difetto di forma
scritta ad substantiam; e per altro verso, ne assume la disciplina, giacché
l’azione si concreta nell’“accertamento dell’esistenza” del contratto non
registrato, quale operazione consentanea a rendere valido ed efficace un
contratto nullo, che, in definitiva, pone tale, pur peculiare, seconda
fattispecie sul piano della determinazione del corrispettivo di una locazione
(recuperata in termini di validità ed efficacia), mentre la fattispecie in
esame opera, come detto, sul diverso piano della predeterminazione forfettaria
del danno patito dal locatore e/o della misura dell’utilizzo dovuto dal conduttore
per l’occupazione di un immobile senza un valido titolo locativo.
Per chiarimenti e consulenze scrivere alla seguente mail:
avv.chiaraconsani@gmail.com