venerdì 31 luglio 2020

I FIGLI DELLE COPPIE DELLO STESSO SESSO

Mai più di oggi è evidente l’esigenza giuridica di garantire ai figli delle coppie dello stesso sesso la stabilità del rapporto con coloro che di fatto esercitano una funzione genitoriale nei loro confronti. In questi casi non si tratta di trovare un genitore per un bambino abbandonato ma di tutelare e coprire giuridicamente situazioni in cui un bambino ha già chi si occupa di lui, dove vi è già un “genitore di fatto” che è tuttavia privo di riconoscimento legale formale (sul “valore” dei legami genitoriali di fatto, cfr. legge 173 del 2015 e Corte Cost. n. 225 del 2016). Nel nostro ordinamento l'adozione ordinaria da parte di coppie formate da persone dello stesso sesso  non è espressamente prevista. Il procedimento adottivo è riservato ai coniugi e non si estende alle parti dell'unione civile e neppure ai conviventi di fatto eterosessuali o omosessuali. Secondo l'interpretazione dominante in Giurisprudenza, ciascun partner dell'unione civile potrà esclusivamente adottare il figlio biologico dell'altro. In questi termini si è pronunciato da ultimo il Tribunale per i Minorenni di Bologna il 25 giugno 2020 sulla scorta del Tribunale per i Minorenni di Roma che con la sentenza 30 luglio 2014 (est. Cavallo) ha inaugurato una presa di posizione ermeneutica confermata (Trib. Minorenni Roma, 22 ottobre 2015, est. Cavallo; Trib. Minorenni Roma, 23 dicembre 2015, est. Cavallo), anche nel secondo grado. In particolare, secondo il giudice d’appello romano, «nell’ipotesi di minore concepito e cresciuto nell’ambito di una coppia dello stesso sesso, sussiste il diritto ad essere adottato dalla madre non biologica, secondo le disposizioni sulla adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184, sussistendo, in ragione del rapporto genitoriale di fatto instauratosi fra il genitore sociale ed il minore, l’interesse concreto del minore al suo riconoscimento; la sussistenza di tale rapporto genitoriale di fatto e del conseguente superiore interesse al riconoscimento della bigenitorialità devono essere operate in concreto sulla base delle risultanze delle indagini psico-sociali» (Corte App. Roma, 23 dicembre 2015, Pres. Montaldi, est. Pagliari). La Corte di Cassazione con la Sentenza 26 maggio 2016 n. 12962, ai fini ermeneutici ritiene che anche le coppie dello stesso sesso possano procedere all’adozione dei rispettivi figli ai sensi dell'art. 44, comma 1°, lett. d, che tramite il rinvio alla impossibilità di procedere all'affidamento preadottivo, consente l'adozione anche qualora il minore non si trovi in stato di abbandono, in quanto vi sia almeno uno dei genitori che adempia ai doveri ed eserciti i diritti che connotano la responsabilità genitoriale ai sensi dell'art. 315-bis c.c. La scelta di privilegiare l'adozione a favore dei partners delle unioni civili nei confronti del figlio biologico dell'altra parte tramite l'art. 44, comma 1°, lett. d, qualora si sia realizzato tra l'aspirante adottante e l'adottando uno stabile rapporto corrispondente all'esercizio della responsabilità genitoriale, trova giustificazione nella tutela dell'interesse del minore espressamente previsto dall'art. 57, n. 2, l. n. 184 del 1983 . In sostanza quest'ultimo giustifica il compimento dell'adozione che risulta in concreto rivolto ad offrire la copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da anni. Si tratta quindi di garantire al minore la c.d. continuità affettiva, che costituisce una esigenza primaria avvertita dal legislatore anche nel corso degli ultimi interventi che hanno interessato il diritto di famiglia. Inoltre, l'adozione da parte di partners di unioni civili secondo le modalità delineate dall'art. 44, comma 1°, lett. d, l. n. 184 del 1983 consente di evitare qualsiasi discriminazione tra coppie conviventi eterosessuali e omosessuali . Tant'è che il disconoscimento per le seconde del diritto ad adottare sarebbe da ritenere contrario alla ratio legis, al dato costituzionale ed ai princìpi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Da ultimo la legge Cirinnà n. 76 del 2016 ha eletto le coppie formate da persone dello stesso sesso al rango di “famiglia” così offrendo all’adozione in casi particolari, un substrato relazionale solido, sicuro, giuridicamente tutelato. La legge ha confermato poi l’orientamento della Cassazione inserendo la c.d. «clausola di salvaguardia nell’articolo 1 comma 20: “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole « coniuge », « coniugi » o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. In questo modo, tale disposizione apre alla possibilità di un’applicazione alle unioni civili delle disposizioni in materia di adozioni, ma solo, per l’appunto, nei limiti del diritto vigente. Per una consulenza o parere non esitare a contattarmi avv.chiaraconsani@gmail.com

lunedì 13 luglio 2020

LA RESPONSABILITÀ PER DANNI DA FAUNA SELVATICA

Cassazione civile sez. III - 06/07/2020, n. 13848 Le questioni attengono alla titolarità, sul piano passivo del lato risarcitorio, delle conseguenze dei danni cagionati dalla fauna selvatica ed all’inquadramento della natura di detta responsabilità. Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione sussistono orientamenti non sempre univoci. È stata oggetto di diverse pronunce la valutazione su un piano generale, se la responsabilità debba individuarsi ai sensi dell’art 2043 o sulla base dellla presunzione di colpa dell’art 2052 c.c. e se sia da ascrivere alle singole Regioni, ovvero alle loro Provincie o in altri enti che risultino, in concreto, coinvolti in ciascuna vicenda (ovvero quelli - e ciò, soprattutto, in relazione a danni verificatisi in occasione di incidenti stradali - proprietari della strada "teatro" del sinistro). Tale incertezza rende, pertanto, necessario un ripensamento dell'intera tematica, anche al fine di assicurare l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, e con esse l'unità del diritto oggettivo nazionale (come il R.D. 30 gennaio 1942, n. 12, art. 65, ovvero la legge sull'ordinamento giudiziario, richiede a questa Corte). La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto necessario un ripensamento del criterio di imputazione della responsabilità per i danni da fauna selvatici. A tal fine ha ricondotto detta responsabilità al regime previsto dall'art. 2052 c.c.. Infatti, l'art. 2052 c.c., non reca alcuna espressa menzione che limiti la sua applicazione ai soli animali domestici, ma fa riferimento, esclusivamente, a quelli suscettibili di "proprietà" o di "utilizzazione" da parte dell'uomo. La norma, inoltre, prescinde dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell'animale, come si desume, nuovamente, dal suo stesso tenore letterale, là dove prevede, espressamente, che la responsabilità del proprietario o dell'utilizzatore sussista sia che "l'animale fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito". Il riferimento, dunque, alla proprietà e all'utilizzazione (quale relazione, come detto, dalla quale si trae una "utilitas" anche non patrimoniale), ha la funzione di individuare un criterio oggettivo di allocazione del la responsabilità in forza del quale, dei danni causati dall'animale, deve rispondere il soggetto che dallo stesso trae un beneficio, in sostanziale applicazione del principio "ubi commoda ibi et incommoda", con l'unica salvezza del caso fortuito. Che poi, in un simile caso, sussista un diritto di proprietà statale in relazione ad alcune specie di animali selvatici (precisamente, quelle oggetto della tutela di cui alla citata L. n. 157 del 1992), è conseguenza che deriva tanto dalla loro appartenenza al patrimonio indisponibile dello Stato, quanto, soprattutto, dall'essere tale regime di proprietà pubblica espressamente disposto in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema. Orbene, poichè tale funzione si realizza, come visto, mediante l'attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonchè di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere sostitutivo) sugli altri enti, titolari di più circoscritte funzioni amministrative nello stesso ambito, è in capo alle Regioni che va imputata la responsabilità, ai sensi dell'art. 2052 c.c.. Applicando il criterio oggettivo di cui all'art. 2052 c.c., la Cassazione ritiene che il preteso danneggiato dovrà allegare e dimostrare che il pregiudizio lamentato sia stato causato dall'animale selvatico. In particolare, andrà provata la dinamica del sinistro, nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso a una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157/1992, o, comunque, che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato. In presenza di danni derivanti da incidenti stradali che abbiano coinvolto veicoli e animali selvatici, non sarà sufficiente la sola dimostrazione della presenza dell'animale sulla carreggiata, e dell'impatto tra lo stesso d il veicolo. Il danneggiato, oltre a provare che la condotta dell'animale sia stata la "causa" dell'evento dannoso, sarà onerato, ex art. 2054, comma 1, c.c. della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, cioè di avere, nella specie, adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida.

mercoledì 8 luglio 2020

Cassazione Civile Sentenza n. 8459/2020 - CAMPIONI BIOLOGICI – PRIVACY – ACCERTAMENTO PATERNITA’

La Cassazione ha chiarito che in sede civile e precisamente in un giudizio di accertamento della paternità sono utilizzabili i campioni biologici consegnati dalle Aziende Ospedaliere al Ctu incaricato, senza che sussista alcuna violazione della privacy, stante la prevalenza dell'interesse giudiziario. Infondata pertanto la contestazione sull'acquisizione dei vetrini con i campioni biologici presso le Aziende ospedaliere, che secondo il ricorrente, una volta cessato il trattamento "avrebbero dovuto essere distrutti, e non potevano essere ceduti dalle strutture sanitarie." Le controversie aventi ad oggetto i diritti dei privati non richiedono infatti le stesse garanzie richieste per il processo penale. In sede civile inoltre il giudice non incontra il limite delle prove tipiche, potendo utilizzare anche prove atipiche, la cui rilevanza dipende da una valutazione del magistrato. Esclusa quindi la possibilità di applicare la regola della inutilizzabilità della prova prevista per il processo penale in quello civile, la Cassazione chiarisce che sul diritto alla privacy del soggetto prevale "il trattamento dei dati personali qualora - effettuato per ragioni di giustizia - per tale intendendosi i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e controversie (art. 47 Dlgs n. 196/2003 nel testo anteriore alla abrogazione disposta con il dlgs n. 101/2018.)" Anche il regolamento europeo n. 679/2016 ammette una deroga al limite della privacy e al trattamento dei dati personali se è necessario "accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali." Pertanto, fermo restando il principio secondo cui rimane precluso l'accesso a quelle prove la cui acquisizione concreti una diretta lesione di interessi costituzionalmente tutelati riferibili alla parte contro cui la prova viene utilizzata, la conservazione dei dati personali, compreso il vetrino che contiene il campione biologico con le indicazioni idonee a identificare il soggetto a cui appartiene, è giustificata nel momento in cui emergono finalità istituzionali dell'ente pubblico, come nel caso di specie, ossia l'impiego giudiziario dei dati biologici. Disposizioni che trovano conferma anche nel regolamento europeo 679/2016. Dalla complessa normativa sulla Privacy emerge che anche la "conservazione" del dato personale (tale dovendo configurarsi anche il vetrino contenente il campione biologico in quanto risulti corredato da indicazioni atte alla identificazione del soggetto cui appartiene) rientra nelle operazioni di trattamento e può, quindi, trovare giustificazione rispetto alle finalità istituzionali dell'ente pubblico, laddove queste prevedano, appunto, forme obbligatorie ex lege di archiviazione dei dati in funzione del perseguimento di interessi pubblici prevalenti, quali - ad esempio - l'impiego giudiziario del campione biologico, ovvero qualora la conservazione venga effettuata per fini scientifici o statistici. Ne segue che un automatico obbligo di distruzione del dato non è configurabile in capo al titolare del trattamento laddove il termine della conservazione sia correlato alle predette finalità istituzionali, come nel caso in esame in cui il cd. "materiale di archivio campionato" (blocchetti in paraffina e vetrini) venga a costituire oggetto di specifico obbligo, imposto alle Aziende ospedaliere, relativo alla conservazione dei referti e delle cartelle cliniche (cfr. Linee guida sulla "tracciabilità, raccolta, trasporto, conservazione e archiviazione di cellule e tessuti per indagini diagnostiche di anatomia patologica" elaborate dal Ministero della Salute Consiglio Superiore di Sanità - maggio 2015) e sia previsto uno specifico obbligo di legge alla conservazione per dieci anni dei campioni biologici riferibili a pazienti deceduti (cfr. L. 30 marzo 2001, n. 130, art. 3, comma 1, lett. h). La consegna dei vetrini da parte delle aziende ospedaliere deve quindi qualificarsi come adempimento alle prescrizioni contenute nel provvedimento giudiziario che ha conferito l'incarico al Ctu di acquisire anche "informazioni" presso terzi ai sensi dell'art. 194 c.p.c.

lunedì 15 giugno 2020

Dichiarazione di successione - deposito telematico

LA DICHIARAZIONE DI SUCCESSIONE

Per ottenere l’intestazione in proprio favore degli immobili ereditari e lo smobilizzo delle somme depositate nei conti correnti del de cuius si devono prima pagare allo Stato le tasse di successione.

Queste tasse vengono pagate tramite la presentazione della dichiarazione di successione.

La dichiarazione di successione deve essere presentata dagli eredi, dai chiamati all'eredità, dai legatari entro 12 mesi dalla data di apertura della successione che coincide, generalmente, con la data del decesso del contribuente.

Il chiamato non è erede finché non accetta l’eredità ma l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione ricade su di lui sin da subito a meno che non rinunci espressamente all’eredità con atto pubblico ricevuto dal notaio o dal cancelliere del Tribunale.

La nuova dichiarazione di successione e domanda di volture catastali deve essere presentata esclusivamente in via telematica con l’ausilio di professionisti competenti e abilitati al servizio da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Se più persone sono obbligate alla presentazione della dichiarazione è sufficiente presentarne una sola.

Contribuenti esonerati

Non c'è obbligo di dichiarazione se l'eredità è devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta del defunto e l'attivo ereditario ha un valore non superiore a 100.000 euro e non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari. Queste condizioni possono venire a mancare per effetto di sopravvenienze ereditarie.

Imu

Coloro che hanno presentato la dichiarazione di successione in cui sono indicati beni immobili non devono presentare la dichiarazione Imu (Imposta municipale propria). Saranno gli stessi uffici dell’Agenzia delle Entrate, competenti a ricevere la dichiarazione di successione, a trasmetterne copia al Comune in cui sono ubicati gli immobili.

Autoliquidazione imposta immobili

Quando nell’attivo ereditario è presente un immobile, prima di presentare la dichiarazione di successione occorre autoliquidare le imposte ipotecaria, catastale, di bollo, la tassa ipotecaria e i tributi speciali (per esempio, per le formalità ipotecarie).

Il pagamento delle somme dovute e calcolate in autoliquidazione avviene con addebito su un conto aperto presso un intermediario della riscossione - convenzionato con l'Agenzia delle Entrate - e intestato al dichiarante oppure al soggetto incaricato della trasmissione telematica, identificati dal relativo codice fiscale. Per questo, quando si compila la dichiarazione vanno indicati il codice Iban del conto sul quale addebitare le somme dovute e il codice fiscale dell’intestatario del conto corrente.

Il versamento dell'imposta di successione

L’imposta di successione liquidata dall’ufficio territoriale competente sulla base della dichiarazione presentata può essere pagata anche a rate, con queste modalità:

• almeno il 20% dell’importo deve essere versato entro sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione

• la parte restante, è versata in otto rate trimestrali (dodici, per importi superiori a ventimila euro), sulle quali sono dovuti gli interessi calcolati dal primo giorno successivo al pagamento della tranche iniziale. Le rate scadono l'ultimo giorno di ciascun trimestre.

La rateazione non è ammessa per importi inferiori a 1.000 euro.

Ritardo nella presentazione della dichiarazione di successione

Decorso il termine di dodici mesi, l’Agenzia delle Entrate può procedere d’ufficio all’accertamento dell’attivo ereditario e alla auto-liquidazione delle imposte a carico degli eredi. Una volta che è stato notificato l’accertamento, gli eredi non potranno più avvalersi del ravvedimento operoso e si vedranno costretti a pagare oltre a quanto dovuto e agli interessi di mora anche le sanzioni amministrative che possono andare dal 120 al 240 per cento dell’imposta liquidata d’ufficio.

Nel caso di ritardo nella presentazione della dichiarazione di successione, e sempre che non sia già intervenuto l’accertamento del fisco, agli eredi è concesso di procedere con il cosiddetto ravvedimento operoso; con il quale oltre il pagamento di quanto già dovuto per la presentazione della dichiarazione di successione, si procederà al pagamento di interessi di mora, che variano a seconda del ritardo accumulato.

Per il pagamento delle imposte e delle relative sanzioni è riconosciuto allo Stato un privilegio speciale per la riscossione coattiva, la cui forza è tale da prevalere in sede di riparto del ricavato della vendita dei beni pignorati anche sulle ipoteche preesistenti.

Lo Studio Legale Consani è abilitato alla presentazione delle dichiarazioni di successione in tutta Italia tramite il canale telematico dell’Agenzia delle Entrate.

Siamo a vostra disposizione per una consulenza e preventivo.

Non esitate a contattarci

chiara.consani@studioconsani.eu

avv.chiaraconsani@gmail.com

 

venerdì 27 marzo 2020

Legal Task Force - Italy - Tuscany - Viareggio - Lucca - Camaiore - Forte dei Marmi



Studio Legale Consani
Emergenza COVID-19 Legal Task Force




Lo Studio Legale Consani ha organizzato al suo interno una task force per far fronte alle richieste da parte dei clienti.
I professionisti dello studio, ciascuno per la propria area di competenza, sono in costante aggiornamento in merito ai numerosi provvedimenti che si stanno susseguendo in questi giorni.
Siamo a Vostra disposizione per qualsiasi necessità giuridica o di assistenza legale.
Contattaci al seguente indirizzo mail:
avv.chiaraconsani@gmail.com
chiara.consani@studioconsani.eu
francesco.consani@studioconsani.eu
alberto.consani@studioconsani.eu 


Consani Law firm made available a COVID-19 Legal Task Force to provide our clients with practical support to pass through the uncertainty unleashed by the COVID-19.
It is a multidisciplinary task force to respond to all doubts.
The task force includes experts in the following fields of Italian law: employment, healthcare and life sciences, privacy, corporate criminal law, litigation, commercial contracts, corporate, compliance, transport law, administrative law and tax.
If you live or if you have any economic interest in Italy, we are ready to support.

Please contact us: 
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RIMBORSO TITOLI DI VIAGGIO E PACCHETTI TURISTICI Art 28 D.L. 9/2020


COVID – 2019 – RIMBORSO TITOLI DI VIAGGIO E PACCHETTI TURISTICI

L’art 28 del D.L. 9/2020, nel disporre le misure relative al Rimborso di titoli di viaggio e pacchetti turistici, ha espressamente statuito che sia il vettore che l’organizzatore possano offrire al viaggiatore o il rimborso di quanto versato per il titolo di viaggio o un voucher di pari importo da utilizzare entro un anno.
Il tenore letterale del testo normativo non lascia adito a dubbio alcuno circa il fatto che la scelta in merito alle gestione delle conseguenze dell’annullamento del viaggio è rimessa esclusivamente all'organizzatore (tour operator o agenzia di viaggio) e non al viaggiatore.

Per qualsiasi consulenza scrivere al seguente indirizzo mail: avv.chiara.consani@gmail.com

Qui di seguito è riportato il testo dell’articolo di riferimento DL n.9/2020.
Art. 28
Rimborso titoli di viaggio e pacchetti turistici
1. Ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1463 del codice civile, ricorre la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta in relazione ai contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo, nelle acque interne o terrestre stipulati:
a) dai soggetti nei confronti dei quali è stata disposta la quarantena con sorveglianza attiva ovvero la permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva da parte dell’autorità sanitaria competente, in attuazione dei provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, con riguardo ai contratti di trasporto da eseguirsi nel medesimo periodo di quarantena o permanenza domiciliare;
b) dai soggetti residenti, domiciliati o destinatari di un provvedimento di divieto di allontanamento nelle aree interessate dal contagio, come individuate dai decreti adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, con riguardo ai contratti di trasporto da eseguirsi nel periodo di efficacia dei predetti decreti;
c) dai soggetti risultati positivi al virus COVID-19 per i quali è disposta la quarantena con sorveglianza attiva ovvero la permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva da parte dell’autorità sanitaria competente ovvero il ricovero presso le strutture sanitarie, con riguardo ai contratti di trasporto da eseguirsi nel medesimo periodo di permanenza, quarantena o ricovero;
d) dai soggetti che hanno programmato soggiorni o viaggi con partenza o arrivo nelle aree interessate dal contagio come individuate dai decreti adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, con riguardo ai contratti di trasporto da eseguirsi nel periodo di efficacia dei predetti decreti;
e) dai soggetti che hanno programmato la partecipazione a concorsi pubblici o procedure di selezione pubblica, a manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, a eventi e a ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico, annullati, sospesi o rinviati dalle autorità competenti in attuazione dei provvedimenti adottati ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, con riguardo ai contratti di trasporto da eseguirsi nel periodo di efficacia dei predetti provvedimenti;
f) dai soggetti intestatari di titolo di viaggio, acquistati in Italia, avente come destinazione Stati esteri, dove sia impedito o vietato lo sbarco, l'approdo o l'arrivo in ragione della situazione emergenziale epidemiologica da COVID-19.
2.I soggetti di cui al comma 1 comunicano al vettore il ricorrere di una delle situazioni di cui al medesimo comma 1 allegando il titolo di viaggio e, nell'ipotesi di cui alla lettera e), la documentazione attestante la programmata partecipazione ad una delle manifestazioni, iniziative o eventi indicati nella medesima lettera e).
Tale comunicazione è effettuata entro trenta giorni decorrenti: a) dalla cessazione delle situazioni di cui al comma 1, lettere da a) a d); b) dall'annullamento, sospensione o rinvio del corso o della procedura selettiva, della manifestazione, dell'iniziativa o dell'evento, nell'ipotesi di cui al comma 1, lettera e); c) dalla data prevista per la partenza, nell'ipotesi di cui al comma 1, lettera f).
3. Il vettore, entro quindici giorni dalla comunicazione di cui al comma 2, procede al rimborso del corrispettivo versato per il titolo di viaggio ovvero all'emissione di un voucher di pari importo da utilizzare entro un anno dall'emissione.
4. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 trovano applicazione anche nei casi in cui il titolo di viaggio sia stato acquistato per il tramite di un'agenzia di viaggio.
5. I soggetti di cui al comma 1 possono esercitare, ai sensi dell'articolo 41 del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, il diritto di recesso dai contratti di pacchetto turistico da eseguirsi nei periodi di ricovero, di quarantena con sorveglianza attiva, di permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva ovvero di durata dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 nelle aree interessate dal contagio come individuate dai decreti adottati dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6. In caso di recesso, l'organizzatore può offrire al viaggiatore un pacchetto sostitutivo di qualità equivalente o superiore, può procedere al rimborso nei termini previsti dai commi 4 e 6 dell'articolo 41 del citato decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, oppure può emettere un voucher, da utilizzare entro un anno dalla sua emissione, di importo pari al rimborso spettante.
6. In relazione alle ipotesi disciplinate dall'articolo 1, comma 2, lettera f), del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, il rimborso può essere effettuato anche mediante l'emissione di un voucher di pari importo da utilizzare entro un anno dall'emissione.
7. Nei casi di cui ai commi 5 e 6, il vettore procede al rimborso del corrispettivo versato per il titolo di viaggio in favore dell'organizzatore ovvero all'emissione di un voucher di pari importo da utilizzare entro un anno dall'emissione.
8. Le disposizioni di cui al presente articolo costituiscono, ai sensi dell'articolo 17 della legge del 31 maggio 1995, n. 218 e dell'articolo 9 del regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, norme di applicazione necessaria.
9. Alla sospensione dei viaggi ed iniziative d'istruzione disposta dal 23 febbraio al 15 marzo ai sensi degli articoli 1 e 2 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, e dei conseguenti provvedimenti attuativi, si applica quanto previsto dall'articolo 41, comma 4, del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79, in ordine al diritto di recesso del viaggiatore prima dell'inizio del pacchetto di viaggio nonché' l'articolo 1463 del codice civile. Il rimborso può essere effettuato anche mediante l'emissione di un voucher di pari importo da utilizzare entro un anno dall'emissione.


giovedì 26 marzo 2020

DECRETO-LEGGE 25 marzo 2020, n. 19 Razionalizzazione delle misure di contenimento alla diffusione della pandemia e differenziazione tra le violazioni “ordinarie” punite con sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie, e la specifica violazione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus

DECRETO-LEGGE 25 marzo 2020, n. 19
Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19
Entrata in vigore del provvedimento: 26/03/2020

Il nuovo decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 propone di razionalizzare le misure di contrasto e contenimento alla diffusione dell’epidemia.
Le misure di contenimento suscettibili di incidere sulla libertà personali di ciascun cittadino vengono tipizzate e devono corrispondere ai “principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio”.
E’ prevista la possibilità di un’evoluzione differenziata delle misure di contenimento, attualmente omogenee per tutto il territorio nazionale.
Le misure possono essere adottate per periodi temporali predeterminati ciascuno di durata non superiore a trenta giorni (ma sono reiterabili e modificabili fino al 31 luglio 2020, termine dello stato di emergenza dichiarato il 31 gennaio 2020).
L’adozione delle misure di contenimento avverrà con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con una procedura definita nell'articolo 2.
Per i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, i provvedimenti sono adottati sentito il Comitato tecnico scientifico di cui all'ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020, art. 2.
E’ prevista l’immediata pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in Gazzetta Ufficiale e una forma di controllo parlamentare, poiché i decreti verranno comunicati alle Camere entro il giorno successivo alla loro pubblicazione e il Presidente del Consiglio dei ministri (o un Ministro da lui delegato) riferirà ogni quindici giorni alle Camere sulle misure adottate.
L’articolo 4 delinea un sistema sanzionatorio che supera lo strumento originariamente individuato nell'articolo 650 del codice penale.

Sussiste pertanto una differenziazione tra le violazioni “ordinarie” delle misure di contenimento, punite con sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie, e la specifica violazione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena perché risultate positive al virus (articolo 1, comma 2, lettera e) costituente reato di cui all’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 (Testo unico delle leggi sanitarie), le cui sanzioni congiunte vengono elevate, dall’articolo 4, comma 7, all’arresto da 3 mesi a 18 mesi e all’ammenda da euro 500 ad euro 5.000.

A norma dell'articolo 4, comma 8, le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà”: con disposizione quindi che riconosce la continuità dell'illecito applica il principio di favor rei.

Per qualsiasi chiarimento o consulenza non esitate a contattarmi: avv.chiaraconsani@gmail.com







mercoledì 25 marzo 2020

FONDO SOLIDARIETÀ’ MUTUI PRIMA CASA - Covid- 2019 Decreto Legge Cura Italia


FONDO SOLIDARIETA’ MUTUI PRIMA CASA

Art. 54 D.L. 17 marzo 2020 n. 18 (cd. “Cura Italia”),

(Attuazione del Fondo solidarietà mutui "prima casa", cd. "Fondo Gasparrini")

1. Per un periodo di 9 mesi dall'entrata in vigore del presente decreto legge, in deroga alla ordinaria disciplina del Fondo di cui all'articolo 2, commi da 475 a 480 della legge 244/2007:
a. l'ammissione ai benefici del Fondo è esteso ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti che autocertifichino ai sensi degli articoli 46 e  47  DPR  445/2000 di aver registrato, in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 ovvero nel minor lasso di tempo intercorrente tra la data della domanda e la predetta data, un calo del proprio fatturato, superiore al 33% del fatturato dell'ultimo trimestre 2019 in conseguenza della  chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall'autorità competente per l'emergenza coronavirus;
b. Per l'accesso al Fondo non è richiesta la presentazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE).
2. Il comma 478, dell'articolo 2 della legge n. 244/2007 è sostituito dal seguente:
"478. Nel caso di mutui concessi da intermediari bancari o finanziari, il Fondo istituito dal comma 475, su richiesta del mutuatario che intende avvalersi della facoltà prevista dal comma
476, presentata per il tramite dell'intermediario medesimo, provvede, al pagamento degli interessi compensativi nella misura pari al 50% degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione.".
3. con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze possono essere adottate le necessarie disposizioni di attuazione del presente articolo, nonché' del comma 1 e dell'art. 26 del decreto legge n. 9/2020.
4. Per le finalità di cui sopra al Fondo di cui all'articolo 2, comma 475 della legge n. 244/2007 sono assegnati 400 milioni di euro per il 2020, da riversare sul conto di tesoreria di cui all'art. 8 del regolamento di cui al DM 132/2010.
5. Alla copertura degli oneri previsti dal presente articolo si provvede ai sensi dell'articolo 126.

La norma sopra riportata allarga l’accesso al Fondo di solidarietà, ai lavoratori autonomi e ai liberi professionisti che autocertifichino, ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000: “di aver registrato, in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 ovvero nel minor lasso di tempo tra la data della domanda e la predetta data, un calo del proprio fatturato, superiore al 33% del fatturato dell’ultimo trimestre 2019 in conseguenza della chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall’autorità competente per l’emergenza coronavirus”.
Basterà un’autodichiarazione per ottenere l’accesso al suddetto fondo, senza la necessità di presentare l’indicatore della situazione economica equivalente, cioè senza la necessità del cd. “ISEE”.
Non è richiesta la chiusura totale della propria attività, ma è sufficiente la mera “restrizione” con il suddetto “calo del proprio fatturato”.
La domanda potrà essere presentata in un periodo di 9 mesi con decorrenza dal 17 marzo 2020 (cioè, dalla data di pubblicazione del D.L. “Cura Italia”) e la sospensione massima dal pagamento delle rate che potrà essere ottenuta sarà di 18 mesi.
Durante tale periodo di sospensione dal versamento delle rate al pagamento degli “interessi compensativi nella misura pari al 50% degli interessi maturati sul debito residuo durante il periodo di sospensione” provvederà il citato Fondo di solidarietà.
Infine, coloro che non avessero i requisiti per ottenere la suddetta “moratoria”, potranno sempre seguire la strada della “rinegoziazione della durata del mutuo” ovvero della “surrogazione”.

Per qualsiasi chiarimento o necessità non esitare a contattarmi avv.chiaraconsani@gmail.com

lunedì 23 marzo 2020

DECRETO CURA ITALIA EMERGENZA COVID - 2019 REGIONE TOSCANA CASSA INTEGRAZIONE ORDINARIA ED IN DEROGA


DECRETO CURA ITALIA
EMERGENZA COVID - 2019
INPS
REGIONE TOSCANA
MISURE A SOSTEGNO REDDITO LAVORATORI


INPS

A seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020, che ha introdotto diverse misure a sostegno dei lavoratori, delle famiglie e delle imprese, l’INPS ha fornito tramite MESSAGGIO N. 1287/2020 una prima sintetica illustrazione relativa alle prestazioni di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga, riferite all’emergenza Covid. Le istruzioni operative e procedurali in merito all’applicazione dei suddetti benefici saranno fornite con la relativa circolare illustrativa, che sarà pubblicata a seguito del parere favorevole del Ministero vigilante.

REGIONE TOSCANA

La Regione Toscana sul proprio sito https://www.regione.toscana.it/tutela-occupazione-e-sostegno-al-reddito ha pubblicato il seguente articolo.

Ai sensi del decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 le Regioni possono riconoscere il trattamento di cassa integrazione in deroga con riferimento a tutti i datori di lavoro del settore privato, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti, ed esclusi i datori di lavoro domestico, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro, e per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro.
La Regione Toscana ha sottoscritto con le Parti Sociali rappresentate nella Commissione Permanente Regionale Tripartita un accordo quadro che definisce criteri e modalità procedurali circa l’utilizzo della cassa integrazione in deroga.
Per l’operatività della Cassa Integrazione in deroga è necessario attendere il decreto interministeriale di riparto delle risorse assegnate a livello nazionale (articolo 22, comma 3 del decreto 18/2020).
Pertanto al momento non è possibile la presentazione delle domande di Cassa integrazione in deroga per Covid 19.


Restiamo quindi in attesa dei Decreti Interministeriali e per una consulenza al fine di inviare le relative domande non esitate a contattarmi avv.chiaraconsani@gmail.com

martedì 17 marzo 2020

IL DIRITTO DI VISITA DEI GENITORI AI TEMPI DEL COVID – 2019


Il Tribunale di Milano -  sez. IX, 10/03/2020, (ud. 11/03/2020, dep. 10/03/2020) - su ricorso urgente promosso da un genitore, inaudita altera parte, ha disposto che i genitori si devono attenere alle previsioni di cui al verbale di separazione consensuale omologato garantendo il diritto di visita di entrambi i genitori, ritendo che le previsioni di cui all'art. 1, comma 1, Lettera a), del DPCM. 8 marzo 2020 n. 11 non siano preclusive dell'attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori, laddove consentono gli spostamenti finalizzati a rientri presso la "residenza o il domicilio", sicché alcuna "chiusura" di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti.

In particolare, il Tribunale di Milano ha rilevato che anche le FAQ diramate dalla Presidenza del CDM in data 10.3.2020 indicano al punto 13 che gli spostamenti per raggiungere i figli minori presso l'altro genitore o presso l'affidatario sono sempre consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione e divorzio.

Per qualsiasi chiarimento avv.chiaraconsani@gmail.com

venerdì 28 febbraio 2020

REVOCA DEL TESTAMENTO PER SOPRAVVENIENZA DI FIGLI.


L'art. 687 c.c. stabilisce che le disposizioni sia a titolo universale sia a titolo particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva oppure ignorava di avere figli o discendenti sono revocate di diritto per l'esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente  del testatore, benché postumo anche adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio naturale.

La fattispecie legale della revocazione di diritto riguarda sia il caso in cui il testatore non aveva discendenza al tempo del testamento, sia l'ipotesi in cui la discendenza c'era già, ma egli ne ignorava l'esistenza.

La disposizione in esame, secondo l'orientamento prevalente non si applica per il caso del testamento redatto dal de cuius che, al momento della sua predisposizione, già avesse figli, dei quali fosse nota l'esistenza, e sia sopraggiunto un altro figlio.

Se il testatore aveva già avuto dei figli dei quali gli era nota l'esistenza al tempo della redazione del testamento e ne siano, successivamente, sopraggiunti degli altri, la revoca non è operante.

Ne deriva che è preclusa l'applicazione in via analogica alla fattispecie di figlio sopraggiunto dopo la redazione del testamento effettuata in presenza di altri figli.

L'eccezionalità dell'art. 687 c.c. si giustifica per due ragioni: da un lato, esso dà luogo a una fattispecie di inefficacia sopravvenuta di un negozio; dall'altro, esso pone una deroga al principio della prevalenza della successione testamentaria su quella legittima, valorizzato dall'art. 457 c.c., secondo cui non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca in tutto o in parte quella testamentaria.
 
CASSAZIONE CIVILE SEZ. II - 21/05/2019, N. 13680


La dichiarazione giudiziale di paternità anche se intervenuta dopo la morte del de cuius comporta la revocazione del testamento per sopravvenienza di figli.In tema di revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, il disposto dell'art. 687 c.c., comma 1, ha un fondamento oggettivo, riconducibile alla modificazione della situazione familiare rispetto a quella esistente al momento in cui il de cuius ha disposto dei suoi beni, sicché, dovendo ritenersi che tale modificazione sussista non solo quando il testatore riconosca un figlio ma anche quando venga esperita nei suoi confronti vittoriosamente l'azione di accertamento della filiazione, il testamento è revocato anche nel caso in cui si verifichi il secondo di tali eventi in virtù del combinato disposto dell'art. 277 c.c., comma 1, e art. 687 c.c., senza che abbia alcun rilievo che la dichiarazione giudiziale di paternità o la proposizione della relativa azione intervengano dopo la morte del de cuius, né che quest'ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza.

La pronunzia in esame conferma il recente orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la dichiarazione giudiziale di paternità (nel caso di specie, intervenuta, fra l'altro, dopo la morte del de cuius) comporta la revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, nonostante l'art. 687 c.c. faccia riferimento alla sola e differente fattispecie di riconoscimento di figlio naturale.
 

La ratio della revocazione, ex art. 687 c.c., delle disposizioni, a titolo universale o particolare, va individuata nell'esigenza di tutelare i figli del disponente.
 

L'art. 687 c.c. realizza a favore dei legittimari un risultato ulteriore rispetto a quello che questi potrebbero conseguire con la semplice azione di riduzione.

Infatti, la disciplina della riserva non contempla l'inefficacia totale delle disposizioni del de cuius, ma la sola riduzione di quelle lesive per i legittimari.
 
Per consulenza legale scrivere al seguente indirizzo mail: avv.chiaraconsani@gmail.com

 

martedì 18 febbraio 2020

IL SUICIDIO ASSISTITO Corte Costituzionale, 22/11/2019, n.242


IL SUICIDIO ASSISTITO

Corte Costituzionale, 22/11/2019, n.242

“È costituzionalmente illegittimo l'art. 580 c.p., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 l. 22 dicembre 2019, n. 217 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) - ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione -, agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.”

La Corte Costituzionale  ammettere l'aiuto al suicidio, qualificandolo alla stregua di una modalità di esplicazione del diritto all'autodeterminazione terapeutica riconosciuto al paziente terminale ex art. 32 Cost. (ed ex art. 1 l. n. 219/2017).
La Corte ha quindi assimilato  tale pratica al rifiuto delle cure ed alla revoca del consenso in precedenza prestato ex art. 1, comma 5, l. n. 219.
In tal modo, è stata eliminata dall'ordinamento la norma penale che sanziona l'aiuto al suicidio per la parte ritenuta incostituzionale ed è stata dettata, in sede ricostruttiva,
In presenza di quattro condizioni soggettive riscontrabili in capo al paziente sarà possibile ricorrere alla “procedura medicalizzata” :

1) affetto da patologia irreversibile: 2) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, per sé assolutamente insopportabili; 3) tenuto in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitali; 4) e, tuttavia, capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

La Corte non ha però legittimato l'eutanasia.
L'ordinamento permette al paziente di porre termine alla sua vita rifiutando le cure e i trattamenti sanitari (tramite la disciplina dettata dalla l. n. 219 del 2017), ma non consente però al medico di aiutare il paziente a porre termine alla sua esistenza in modo più veloce, laddove il malato ritenga tale ultima scelta maggiormente dignitosa per la propria esistenza.

L'eutanasia è l'atto con cui il medico somministra farmaci su richiesta del paziente con lo scopo di provocarne la morte immediata; invece, nel suicidio assistito, è «l'interessato che compie l'ultimo atto che provoca la morte, atto reso possibile grazie alla determinante collaborazione del terzo, il quale prescrive e porge il prodotto letale».

La Corte ammette così la legittimità del suicidio assistito, tuttavia la verifica di queste condizioni è affidato al Servizio Sanitario nazionale, onde evitare “abusi in danno di persone vulnerabili”, previo parere del comitato etico territoriale.

Il Servizio Sanitario Nazionale dovrà quindi verificare le quattro condizioni soggettive legittimanti il paziente a richiedere il suicidio assistito, oltre che stabilire la concreta esecuzione del suicidio tramite intervento del sanitario.

La concreta attuazione del suicidio assistito richiesto da parte di paziente capace di autodeterminarsi è comunque affidata alla libera coscienza del medico, che può “scegliere se prestarsi o no, a esaudire la richiesta del malato”.

La Corte ha conferito al paziente terminale un'importantissima facoltà, esercitabile a seconda della personale sensibilità, nell'individuazione della sua soggettiva dignità nella terminalità; un'innovativa facoltà che si aggiunge e si salda con i diritti che l'ordinamento già oggi gli riconosce: ovvero, il diritto di rifiutare le cure (art. 1, comma 5, l. 219/2017), di richiedere l'applicazione della terapia analgesica, di fruire della medicina palliativa e della sedazione palliativa profonda (art. 2), di redigere il proprio testamento biologico (art. 4) e di pianificare le cure (art. 5).

La posizione soggettiva del paziente terminale è qualificabile alla stregua di un diritto soggettivo finalizzato a conseguire dal servizio sanitario nazionale quella determinata condotta attiva o prestazione: costituito, appunto, dall'aiuto medicalizzato al suicido mediante preparazione del prodotto esiziale.

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TESTAMENTO BIOLOGICO LE DAT: DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO


TESTAMENTO BIOLOGICO

LE DAT: DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO

Legge 2 dicembre 2017 n. 219.

Nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, a tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona, la legge rinforza il principio per cui nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.

Il cuore della legge è l’introduzione della disciplina delle DAT, disposizioni anticipate di trattamento, con le quali le persone possono dare indicazioni sui trattamenti sanitari da ricevere o da rifiutare nei casi in cui si trovassero in condizioni di incapacità.

Le DAT, disposizioni anticipate di trattamento, sono delle disposizioni che la persona, maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione della eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può esprimere in merito alla accettazione o rifiuto di determinati: accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche (in generale), singoli trattamenti sanitari (nutrizione e idratazione artificiale).

Le DAT possono essere redatte per atto pubblico notarile, la legge notarile prevede anche la possibilità di stipulare l’atto in presenza di due testimoni nel caso di impossibilità a firmare, o per scrittura privata autenticata dal notaio, od ancora per scrittura privata semplice consegnata personalmente all’Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza del disponente. L’atto non sconta nessun tipo di imposta (di registro, di bollo) né tassa o diritto.

È possibile inoltre, manifestare le DAT anche attraverso una videoregistrazione o anche altro dispositivo che consenta di comunicare.

La legge stabilisce che la persona acquisisca preventivamente adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte.

Le Dat possono essere revocate o modificate in qualunque momento, utilizzando la stessa forma con cui sono state rilasciate o, quando motivi di urgenza o altra impossibilità, non consentano di rispettare la stessa forma simmetrica, mediante dichiarazione verbale o videoregistrazione raccolta da un medico alla presenza di due testimoni.

Le Dat vengono pubblicizzate in un registro comunale o in un registro sanitario elettronico su base regionale, ove le Regioni abbiano istituito una modalità telematica di gestione della cartella clinica. In tal caso il disponente ha la scelta se far pubblicare copia della DAT ovvero lasciare solo indicazioni di chi sia il fiduciario o dove siano reperibili in copia.

Il Decreto n. 168 del 10 dicembre 2019, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 13 del 17 gennaio 2020, disciplina le modalità di registrazione delle DAT nella Banca dati nazionale che ha la funzione di raccogliere copia delle disposizioni anticipate di trattamento, garantirne il tempestivo aggiornamento in caso di rinnovo, modifica o revoca, assicurare la piena accessibilità delle DAT sia da parte del medico che ha in cura il paziente, in situazioni di incapacità di autodeterminarsi, sia da parte del disponente che del fiduciario eventualmente da lui nominato.

La legge prevede la possibilità (non l’obbligo) di nominare un fiduciario che sostituisca il disponente divenuto incapace nei rapporti con i medici e la struttura sanitaria, eventualmente consentendo di disattenderle, di concerto con il medico, solo nel caso in cui appaiano palesemente incongrue, non siano corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente, siano sopravvenute terapie non prevedibili alla data di redazione delle DAT.


La banca dati registra anche copia della nomina dell'eventuale fiduciario e dell'accettazione o della rinuncia di questi ovvero della successiva revoca da parte del disponente.

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