mercoledì 8 luglio 2020

Cassazione Civile Sentenza n. 8459/2020 - CAMPIONI BIOLOGICI – PRIVACY – ACCERTAMENTO PATERNITA’

La Cassazione ha chiarito che in sede civile e precisamente in un giudizio di accertamento della paternità sono utilizzabili i campioni biologici consegnati dalle Aziende Ospedaliere al Ctu incaricato, senza che sussista alcuna violazione della privacy, stante la prevalenza dell'interesse giudiziario. Infondata pertanto la contestazione sull'acquisizione dei vetrini con i campioni biologici presso le Aziende ospedaliere, che secondo il ricorrente, una volta cessato il trattamento "avrebbero dovuto essere distrutti, e non potevano essere ceduti dalle strutture sanitarie." Le controversie aventi ad oggetto i diritti dei privati non richiedono infatti le stesse garanzie richieste per il processo penale. In sede civile inoltre il giudice non incontra il limite delle prove tipiche, potendo utilizzare anche prove atipiche, la cui rilevanza dipende da una valutazione del magistrato. Esclusa quindi la possibilità di applicare la regola della inutilizzabilità della prova prevista per il processo penale in quello civile, la Cassazione chiarisce che sul diritto alla privacy del soggetto prevale "il trattamento dei dati personali qualora - effettuato per ragioni di giustizia - per tale intendendosi i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e controversie (art. 47 Dlgs n. 196/2003 nel testo anteriore alla abrogazione disposta con il dlgs n. 101/2018.)" Anche il regolamento europeo n. 679/2016 ammette una deroga al limite della privacy e al trattamento dei dati personali se è necessario "accertare, esercitare o difendere un diritto in sede giudiziaria o ogniqualvolta le autorità giurisdizionali esercitino le loro funzioni giurisdizionali." Pertanto, fermo restando il principio secondo cui rimane precluso l'accesso a quelle prove la cui acquisizione concreti una diretta lesione di interessi costituzionalmente tutelati riferibili alla parte contro cui la prova viene utilizzata, la conservazione dei dati personali, compreso il vetrino che contiene il campione biologico con le indicazioni idonee a identificare il soggetto a cui appartiene, è giustificata nel momento in cui emergono finalità istituzionali dell'ente pubblico, come nel caso di specie, ossia l'impiego giudiziario dei dati biologici. Disposizioni che trovano conferma anche nel regolamento europeo 679/2016. Dalla complessa normativa sulla Privacy emerge che anche la "conservazione" del dato personale (tale dovendo configurarsi anche il vetrino contenente il campione biologico in quanto risulti corredato da indicazioni atte alla identificazione del soggetto cui appartiene) rientra nelle operazioni di trattamento e può, quindi, trovare giustificazione rispetto alle finalità istituzionali dell'ente pubblico, laddove queste prevedano, appunto, forme obbligatorie ex lege di archiviazione dei dati in funzione del perseguimento di interessi pubblici prevalenti, quali - ad esempio - l'impiego giudiziario del campione biologico, ovvero qualora la conservazione venga effettuata per fini scientifici o statistici. Ne segue che un automatico obbligo di distruzione del dato non è configurabile in capo al titolare del trattamento laddove il termine della conservazione sia correlato alle predette finalità istituzionali, come nel caso in esame in cui il cd. "materiale di archivio campionato" (blocchetti in paraffina e vetrini) venga a costituire oggetto di specifico obbligo, imposto alle Aziende ospedaliere, relativo alla conservazione dei referti e delle cartelle cliniche (cfr. Linee guida sulla "tracciabilità, raccolta, trasporto, conservazione e archiviazione di cellule e tessuti per indagini diagnostiche di anatomia patologica" elaborate dal Ministero della Salute Consiglio Superiore di Sanità - maggio 2015) e sia previsto uno specifico obbligo di legge alla conservazione per dieci anni dei campioni biologici riferibili a pazienti deceduti (cfr. L. 30 marzo 2001, n. 130, art. 3, comma 1, lett. h). La consegna dei vetrini da parte delle aziende ospedaliere deve quindi qualificarsi come adempimento alle prescrizioni contenute nel provvedimento giudiziario che ha conferito l'incarico al Ctu di acquisire anche "informazioni" presso terzi ai sensi dell'art. 194 c.p.c.

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