martedì 19 ottobre 2021

SFRATTI SOSPESI E RIMBORSO IMU 2021

 

SFRATTI SOSPESI E RIMBORSO IMU 2021

L’articolo 4-ter, comma 1, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, prevede l’esenzione dal versamento dell’imposta municipale propria (IMU) per l’anno 2021 relativa all’immobile posseduto dalle persone fisiche che lo hanno concesso in locazione a uso abitativo e che abbiano ottenuto in proprio favore l’emissione di una convalida di sfratto per morosità la cui esecuzione è stata sospesa.

Destinatarie del beneficio sono le persone fisiche, proprietarie di un’abitazione, concessa in locazione a uso abitativo, che hanno ottenuto, a proprio favore, l’emissione di una convalida di sfratto per morosità entro il 28 febbraio 2020, la cui esecuzione è stata sospesa fino al 30 giugno 2021. L’agevolazione spetta anche in caso di riconoscimento dello sfratto per morosità dopo il 28 febbraio 2020, con esecuzione rinviata fino al 30 settembre 2021 o fino al 31 dicembre 2021.

Per chi ha già pagato entro il 16 giugno la prima o unica rata dell’Imu, c’è la possibilità di chiedere il rimborso di quanto indebitamente versato presentando istanza al Comune.

L’istanza di rimborso deve essere presentata al Comune competente indicando:

- i dati identificativi del contribuente e dell’immobile;

- il possesso dell’immobile;

- il contratto di locazione a uso abitativo;

- gli estremi del provvedimento con cui è stata ottenuta una convalida di sfratto per morosità entro il 28 febbraio 2020, la cui esecuzione è stata sospesa sino al 30 giugno 2021 oppure una convalida di sfratto per morosità successiva al 28 febbraio 2020, la cui esecuzione è sospesa fino al 30 settembre 2021 o fino al 31 dicembre 2021;

- gli estremi del versamento della prima rata o dell’unica rata dell’Imu relativa al 2021;

- l’importo di cui si chiede il rimborso;

- le coordinate bancarie su cui si richiede l’accredito del rimborso.

Oltre alla domanda da presentare al Comune il proprietario dovrà attestare il possesso dei requisiti che danno diritto all’esenzione dall’Imu 2021 ed al rimborso dell’importo versato, nello spazio dedicato alle annotazioni del modello di dichiarazione Imu che deve esser presentata entro il 30 giugno 2022.


lunedì 24 maggio 2021

Le Società Benefit - la finalità del beneficio comune

 

Le Società Benefit sono una nuova forma giuridica di impresa, introdotta in Italia con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (commi 376-383 e allegati 4 – 5) ed entrata in vigore dal primo Gennaio 2016.

Si tratta di una nuova forma giuridica d’impresa for profit che aggiunge nel proprio oggetto sociale, alla finalità di profitto, la formale finalità di distribuzione di valore condiviso, che viene configurato come un obbligo di natura statutaria.

“376. Le disposizioni previste dai commi dal presente al comma 382 hanno lo scopo di promuovere la costituzione e favorire la diffusione di società, di seguito denominate «società benefit», che nell'esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di  persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse.

377. Le finalità di cui al comma 376 sono indicate specificatamente nell'oggetto sociale della società benefit e sono perseguite mediante una gestione volta al bilanciamento con l'interesse dei soci e con l'interesse di coloro sui quali l’attività sociale possa avere un impatto. Le finalità possono essere perseguite da ciascuna delle società di cui al libro V, titoli V e VI, del codice civile, nel rispetto della relativa disciplina.

378. Ai fini di cui ai commi da 376 a 382, si intende per:

a) «beneficio comune»: il perseguimento, nell'esercizio dell’attività economica delle società benefit, di uno o più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi, su una o più categorie di cui al comma 376;

b) «altri portatori di interesse»: il soggetto o i gruppi di soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, dall’attività delle società di cui al comma 376, quali lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione e società civile;

c) «standard di valutazione esterno»: modalità e criteri di cui all'allegato 4 annesso alla presente legge, che devono essere necessariamente utilizzati per la valutazione dell'impatto generato dalla società benefit in termini di beneficio comune;

d) «aree di valutazione»: ambiti settoriali, identificati nell'allegato 5 annesso alla presente legge, che devono essere necessariamente inclusi nella valutazione dell’attività di beneficio comune.  

379. La società benefit, fermo restando quanto previsto nel codice civile, deve indicare, nell'ambito del proprio oggetto sociale, le finalità specifiche di beneficio comune che intende perseguire. Le società diverse dalle società benefit, qualora intendano perseguire anche finalità di beneficio comune, sono tenute a modificare l'atto costitutivo o lo statuto, nel rispetto delle disposizioni che regolano le modificazioni del contratto sociale o dello statuto, proprie di ciascun tipo di società; le suddette modifiche sono depositate, iscritte e pubblicate nel rispetto di quanto previsto per ciascun tipo di società dagli articoli 2252, 2300 e 2436 del codice civile. La società benefit può introdurre, accanto alla denominazione sociale, le parole: «Società benefit» o l'abbreviazione: «SB» e utilizzare tale denominazione nei titoli emessi, nella documentazione e nelle comunicazioni verso terzi.

380. La società benefit è amministrata in modo da bilanciare l'interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi delle categorie indicate nel comma 376, conformemente a quanto previsto dallo statuto. La società benefit, fermo quanto disposto dalla disciplina di ciascun tipo di società prevista dal codice civile, individua il soggetto o i soggetti responsabili a cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle suddette finalità.

381. L'inosservanza degli obblighi di cui al comma 380 può costituire inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge e dallo statuto. In caso di inadempimento degli obblighi di cui al comma 380, si applica quanto disposto dal codice civile in relazione a ciascun tipo di società in tema di responsabilità degli amministratori.

382. Ai fini di cui ai commi da 376 a 384, la società benefit redige annualmente una relazione concernente il perseguimento del beneficio comune, da allegare al bilancio societario e che include:

a) la descrizione degli obiettivi specifici, delle modalità e delle azioni attuati dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune e delle eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato;

b) la valutazione dell'impatto generato utilizzando lo standard di valutazione esterno con caratteristiche descritte nell'allegato 4 annesso alla presente legge e che comprende le aree di valutazione identificate nell'allegato 5 annesso alla presente legge;

c) una sezione dedicata alla descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell'esercizio successivo.

E richiesto dalla legge che tutte le società benefit nominino un “responsabile dell’impatto” che è responsabile, assieme al management, di assicurare che la società persegua il proprio scopo dichiarato di Beneficio Comune.

Le Società Benefit devono presentare una relazione di Impatto per valutare le performance della società per quanto riguarda i suoi impatti e il Beneficio Comune prodotto. La relazione deve presentare i contenuti indicati nella legge, deve essere completata annualmente e resa disponibile al pubblico.

Con la relazione d’impatto (da allegare al bilancio e pubblicare sul sito aziendale) la Società misura annualmente il proprio impatto sociale, ambientale, per poi certificarlo e mostrarlo a consumatori e investitori. È un documento necessario per soddisfare il requisito imprescindibile di trasparenza, deve essere stilato da un ente esterno e deve contenere:

  • descrizione degli obiettivi, delle modalità e delle azioni messe in atto per perseguire le dichiarate finalità di beneficio comune;
  •  valutazione dell’impatto generato, utilizzando lo standard di valutazione esterno, come descritto nell’allegato 4 della legge 28 dicembre 2015, e le aree di valutazione identificate nell’allegato 5 della stessa.
  •  descrizione dei nuovi obiettivi che la Società Benefit intende perseguire nel corso dell’esercizio successivo.

Sono gli azionisti a determinare se  la società abbia raggiunto un impatto significativo positivo. Questa prerogativa discende dal fatto che agli azionisti è riconosciuto un diritto privato di azione, detto benefit enforcement, che si può esercitare per far rispettare la mission aziendale, qualora l’azienda non sia riuscita a perseguire gli obiettivi prefissati. In caso di controversia spetterà poi al Tribunale determinare se sia stato effettivamente ottenuto l’impatto positivo, o meno.

Inoltre, se la società non fornisce adeguata trasparenza o se emergono irregolarità nei modelli di misurazione, scatta un regime sanzionatorio che è quello in materia di pubblicità ingannevole e del Codice del consumo, il quale si aggiunge alla, forse ancora più temuta, perdita di reputazione e di fiducia da parte del mercato.

La relazione costituisce allegato del bilancio e, in quanto tale, si reputa necessario il deposito presso il Registro Imprese (CCIAA) competente al pari degli altri allegati del bilancio. La prassi, sul territorio nazionale, non è uniforme, tuttavia questo adempimento consente di soddisfare il requisito della trasparenza previsto dalla normativa istitutiva delle Società Benefit.

Al Collegio Sindacale è affidato il dovere di vigilare “sull’osservanza della legge e dello statuto”; oltre che sul “rispetto dei principi di corretta amministrazione”; e questo comporta indubbiamente il dovere, per quest’organo, di verificare anche gli assetti organizzativi dell’impresa esprimendosi in merito alla loro adeguatezza relativamente all’idoneità di raggiungere le finalità sociali.

Per sostenere il rafforzamento, nell’intero territorio nazionale, del sistema delle società benefit di cui all’art. 1, commi 376 e seguenti, Legge n. 208/2015 (che si caratterizzano, nell’esercizio di un’attività economica, anche per il perseguimento di una o più finalità di beneficio comune operando in modo responsabile, sostenibile e trasparente), l’art. 38-ter, DL n. 34/2020, c.d. “Decreto Rilancio” ha previsto il riconoscimento di un contributo sotto forma di credito d’imposta nella misura del 50% dei costi di costituzione / trasformazione in società benefit, sostenuti nel periodo 19.7 - 31.12.2020. In sede di conversione del Decreto in esame, il termine finale per il sostenimento delle spese è prorogato al 30.6.2021.

Ulteriore intervento a favore delle Società Benefit è quello previsto nel Decreto Legge fiscale (emendamento all’art. 49 del DDL 2220 “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”), il quale prevede che le Società Benefit (e in generale tutte le imprese che opereranno in modo trasparente e responsabile, anche senza la qualifica giuridica di Società Benefit) potranno vedersi riconosciuta una primalità nei bandi pubblici.

L’acquisizione della qualifica di Società Benefit comporta la modifica della denominazione sociale, bisognerà indicare gli autoveicoli e gli immobili intestati alla società, per consentire di effettuare le formalità relative al cambio del nome della società presso il catasto ed i Registri Immobiliari per gli immobili e presso il P.R.A. per le autovetture o veicoli iscritti;

Se la società è titolare di brevetti e/o dovrà comunicare le modifiche da apportare, al fine di aggiornare i documenti ufficiali di dominio pubblico con tutte le informazioni in maniera corretta;

In generale dovrà essere predisposta idonea informazione a tutti i fornitori al fine di rendere nota la variazione di denominazione sociale.

Infine si dovrà aver cura di valutare se la società è oggetto di autorizzazioni particolari che comportino la notifica della variazione ad autorità e/o enti competenti.

Se hai bisogno di una consulenza non esitare a contattarmi avv.chiaraconsani@gmail.com 

lunedì 1 marzo 2021

La deducibilità dal reddito ai fini IRPEF dei canoni concessori ex art. 10 comma I lettera a Dpr n. 917/86

La Sentenza n. 203/2021 della Commissione tributaria regionale Toscana di Firenze ha statuito la deducibilità dal reddito ai fini IRPEF, dei canoni concessori ex art. 10 comma I lettera a Dpr n. 917/86 La sentenza in commento rappresenta una pietra miliare sul contenzioso avente ad oggetto la deducibilità dei canoni di concessione Comunale che ormai va avanti da anni tra i contribuenti e l’Agenzia delle Entrate di Viareggio. La vexata quaestio si basa su due assunti diametralmente opposti: - il contribuente ritiene deducibili dal reddito i canoni corrisposti al Comune, che rappresentano il corrispettivo annuale per mantenere in essere il diritto reale di superficie che consente di fare (o mantenere) una costruzione al di sopra del suolo di proprietà Comunale ex art. 952 c.c.; - l’Agenzia delle Entrate, invece, ritiene che il diritto del contribuente non sia un diritto reale, sebbene obbligatorio, non consentendo la deducibilità del canone ex art. 10 dpr. perché rientrante nella fattispecie di cui all’art. 70 dello stesso Dpr.917/86. Con la sentenza in parola la Commissione regionale fiorentina traccia un indirizzo molto netto sulla vicenda: -da una parte statuisce, senza mezzi termini, la realità dei diritti del concessionario tenuto conto della facoltà attribuita al concessionario di costruire opere nella zona assentita in concessione e di costituire su di esse ipoteca, principi già declinati dalla Suprema Corte di Cassazione ed anche dal TAR; -dall’altra, ha statuito, sempre in linea con la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, che il canone di concessione non costituisce il valore della costruzione, e cioè un entrata a titolo di capitale, bensì la facoltà di mantenere l’opera senza che essa acceda al suolo demaniale stabilendo che i canoni concessori, a prescindere dalla loro realità, abbiano natura di corrispettivo per la concessione del bene, sia quando dalla concessione derivino diritti assimilabili alla locazione, oppure diritti reali limitati quale il diritto di superficie. Ne consegue, in ogni caso, la detraibilità dei canoni ex art. 10 comma 1 lettera a) Dpr n. 917/86, in quanto i canoni costituiscono il presupposto logico giuridico ed economico del reddito derivante dal fabbricato, tenuto conto che la proprietà del fabbricato è condizionata all’esistenza del diritto di superficie che si perpetua mediante il pagamento del canone, quale condizione dell’esistenza stessa del reddito (gravante sul reddito degli immobili), reddito che fra l’altro deriva da contratto di locazione e non corrisponde alla rendita catastale. Per chiarimenti o pareri non esitare a contattarci avv.chiaraconsani@gmail.com Segui la pagina Studio Legale Consani e metti mi piace sarai aggiornato con novità giurisprudenziali e normative.

venerdì 19 febbraio 2021

DIVIETO DI LICENZIAMENTO FINO AL 31 MARZO 2021

La legge di Bilancio 2021 proroga fino al 31 marzo 2021 il divieto di licenziamento in scadenza il 31 gennaio 2021 previsto dall’articolo 12, commi 9 e 10 del decreto-legge n. 137/2020, cd. decreto Ristori, convertito, con modificazioni, dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176. Attualmente lo stop ai licenziamenti è esteso a tutte le ipotesi di recesso giustificate da motivi estranei alla persona del lavoratore o a sue condotte extra-lavorative (tali sono i licenziamenti per giustificato motivo soggettivo o giusta causa). Il divieto riguarda tutti i datori di lavoro a prescindere dal requisito dimensionale e non è più dipendente dalla fruizione integrale degli ammortizzatori COVID-19. La violazione di tale divieto comporta la nullità del licenziamento e la reintegra del lavoratore. Senza attendere la fine del blocco, le aziende possono ricorrere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo nelle seguenti ipotesi: - dipendenti interessati dal recesso impiegati in un appalto e successivamente passati al nuovo appaltatore in forza di una norma di legge, contratto collettivo nazionale di lavoro ovvero clausola prevista all’interno del contratto di appalto, in virtù della quale si è obbligati a riassumere il personale in forza al momento del subentro; - fallimento, nel caso in cui non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’attività di impresa ovvero ne venga decretata la cessazione; - cessazione definitiva dell’attività di impresa; - messa in liquidazione della società senza continuazione dell’attività (qualora non si possa configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo della stessa); - accordo collettivo aziendale di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, concluso dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. In questo caso i lavoratori che aderiscono all’accordo possono accedere all’indennità di disoccupazione NASPI, in presenza degli altri requisiti. Il divieto di licenziamento non interessa le ipotesi di licenziamento giustificate da motivi estranei all’attività produttiva ovvero all’organizzazione del lavoro. L’azienda potrà sempre risolve il contratto per ragioni attinenti le caratteristiche o la condotta del lavoratore interessato: Licenziamenti per giusta causa; Licenziamenti per giustificato motivo soggettivo; Licenziamenti per superamento del periodo di comporto; Licenziamenti intimati in periodo di prova o al termine dello stesso; Licenziamento riguardante il lavoratore domestico o il dirigente; Cessazione dell’apprendistato al termine del periodo formativo; Licenziamento per raggiunti limiti di età per la fruizione della pensione di vecchiaia; Licenziamento che interessa il socio di una cooperativa di produzione e lavoro, laddove preceduto dalla risoluzione dal rapporto associativo. Per una consulenza non esitare a contattarmi: avv.chiaraconsani@gmail.com

giovedì 18 febbraio 2021

ACQUISTARE UNA CASA ALL’ASTA

L’acquisto di un immobile all’asta può risultare conveniente ma può nascondere inconvenienti e sorprese che in concreto riducono l’appetibilità dell’investimento. Per questo è sempre meglio rivolgersi ad esperti per procedere all’acquisto tramite asta. Innanzi tutto bisogna visionare nella cancelleria del tribunale o presso il professionista incaricato i relativi documenti: l'avviso di vendita, che contiene le condizioni e i termini della vendita, una breve descrizione dell'immobile ed il prezzo base; la perizia di stima, redatta da un tecnico nominato dal giudice, che contiene una dettagliata descrizione dell'immobile: i dati catastali, la planimetria, lo stato di fatto, le eventuali irregolarità e la loro sanabilità, i vincoli, le servitù, i debiti e se l'immobile è libero od occupato. Un altro aspetto importante da considerare qualora si scelga di comprare casa all’asta, è quello legato alle modalità e tempistiche di pagamento. Per quel che riguarda l’accensione di un mutuo, sarà necessario organizzarsi per tempo, scegliendo un istituto di credito che preveda questo genere di erogazioni. Ad ogni modo, tuttavia, le tempistiche partono naturalmente dal momento in cui ci si aggiudica l’asta, dunque vengono calcolati dai 60 ai 90 giorni successivi per saldare il debito. Da un punto di vista di tassazione fiscale, invece, non ci sono particolari cambiamenti rispetto alle tassazioni standard di acquisto e si dovrà calcolare l’imposta di registro secondo le aliquote prima o seconda casa, a seconda se chi compra abbia o meno i requisiti. La base di calcolo è rappresentata dal valore catastale (in caso risulti più basso rispetto al prezzo di aggiudicazione) se si tratta di abitazione e se l’aggiudicatario è una persona fisica. Le cosiddette aste telematiche o miste ormai in tempi di Covid sono entrate a far parte a tutti gli effetti della consuetudine. Le offerte dovranno essere inviate in maniera telematica al portale unico del Ministero. L’asta sarà poi gestita da software creati da soggetti abilitati dal Ministero stesso. Per consulenze o chiarimenti scrivere al seguente indirizzo mail avv.chiaraconsani@gmail.com

POLIZZE VITA – DESIGNAZIONE - SUCCESSIONE IURE PROPRIO

Le polizze assicurative sulla vita si prestano ad essere utilizzate sia per la protezione del patrimonio (con un’importante funzione previdenziale), sia nell’ambito della pianificazione del passaggio generazionale e della successione in genere. In virtù della loro funzione previdenziale, le polizze sulla vita sono caratterizzate da impignorabilità e insequestrabilità. La legge dispone che le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare, dunque sono impignorabili ed insequestrabili. Sono però fatte salve, rispetto ai premi pagati, le disposizioni relative alla revocazione degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori (azione revocatoria) e quelle relative alla collazione, all'imputazione e alla riduzione delle donazioni. (art. 1923 c.c.). I creditori del contraente possono, dunque, far valere i propri diritti (esercitando l’azione revocatoria, se ne ricorrono i presupposti) sulla somma dovuta dalla compagina assicuratrice soltanto fino all’importo dei premi pagati dal contraente, e non sull’intera somma liquidata. Anche ai fini di determinare l’eventuale lesione dei diritti di legittima, si deve tenere conto soltanto della somma dei premi pagati dal contraente, e non della somma che viene liquidata al beneficiario dalla compagnia assicuratrice. La giurisprudenza ha precisato che l’impignorabilità e insequestrabilità riguarda soltanto la disciplina civile e non la responsabilità penale, in presenza della quale è possibile il sequestro preventivo (si veda, per esempio, Cass. 6 maggio 2014, n. 18736, relativa a un ipotesi di evasione fiscale, e Cass. 2 maggio 2007, n. 16658). La Corte di Cassazione ritiene inoltre che l’impignorabilità ed insequestrabilità della polizza sulla vita si applichi anche in caso di fallimento (Cass. 31 marzo 2008, n. 8271). Un aspetto importante alle polizze vita ed alla designazione del beneficiario attiene all'interpretazione della clausola con cui il contraente di un'assicurazione sulla vita designa quali beneficiari i propri eredi legittimi. Non è chiaro, infatti, se il riferimento alle regole sulla devoluzione ereditaria assuma rilevanza solo ai fini dell'individuazione dei soggetti o anche ai fini della ripartizione tra loro della somma assicurata. Nelle polizze vita esistono fondamentalmente quattro parti: il contraente, l’assicurato (che spesso coincidono), il beneficiario e l’assicuratore. Com’è noto, poi, la polizza vita ha la natura di un contratto a favore di un terzo, ossia di un contratto nel quale il beneficiario ottiene per diritto proprio inter vivos l’indennità, sebbene la liquidazione avvenga solo successivamente alla morte dell’assicurato. È infine, pacifico che i beneficiari possano sempre essere modificati, salvo che il beneficio sia stato accettato e perciò sia irrevocabile Il contratto di assicurazione difetta di quell'elemento essenziale dei negozi a causa di morte che consiste nell'attribuzione di un quod superest appartenente al patrimonio del de cuius al quale, invece, restano estranee le somme assicurate, a prescindere dalla forma della designazione. Anche in caso di designazione testamentaria, infatti, a dispetto di quanto affermato dalla tesi più tradizionale, l'acquisto deve intendersi pur sempre come acquisto tra vivi, limitandosi in tal caso il testamento a veicolare una manifestazione di volontà priva di carattere attributivo Molto spesso i beneficiari vengono individuati con designazioni che richiamano categorie generiche, o per relazione, quali “eredi legittimi”. Da questa generica designazione potrebbe nascere dei problemi. 1 – Se dopo la stipula dell’assicurazione e la designazione generica in favore degli eredi legittimi procedo alla stipula di un testamento il beneficiario della polizza cambia? Il potere di revoca della designazione fatta nel contratto di assicurazione si può realizzare attraverso la specifica individuazione di un nuovo soggetto beneficiario compiuta con il contratto o con il testamento, ma in quest’ultimo caso dovrà contenere un esplicito riferimento alla modifica dei beneficiari della polizza stessa, altrimenti vale la prima generica individuazione fatta nei confronti degli eredi legittimi. In pratica il testamento successivo alla stipula della polizza non revoca automaticamente la designazione dei beneficiari nella polizza sostituendo gli eredi testamentari a quelli legittimi, ma occorre un espresso riferimento alla loro revoca, quali beneficiari della polizza, in quanto il diritto si è acquisito al momento della designazione, anche se la liquidazione avviene in momento successivo, ossia al momento della morte dell’assicurato. Per evitare rischi è opportuno, non solo revocare espressamente nel testamento la designazione fatta in polizza, ma indicare nominativamente i beneficiari, nonché i vari sostituti, in una sorta di rappresentazione volontaria e non legale (art.1412, 2 comma c.c.). 2 – Se indico genericamente quali beneficiari gli eredi legittimi come avviene la liquidazione della polizza? La generica designazione degli eredi legittimi senza l’esatta identificazione delle quote da liquidare a ciascun beneficiario, in quanto è discusso se la suddivisione debba avvenire in parti uguali, oppure secondo il criterio proporzionale indicato dalla legge per le quote attribuite al singolo erede. Ebbene la Corte di Cassazione precisa che “quando in un contratto di assicurazione sulla vita sia stato previsto per il caso di morte dello stipulante che l’indennizzo debba corrispondersi agli eredi tanto con formula generica, quanto e, a maggior ragione, con formulazione evocativa degli eredi testamentari o in mancanza degli eredi legittimi, tale clausola, sul piano della corretta applicazione delle norme di esegesi del contratto e, quindi, conforme a detta disposizione, dev’essere intesa sia nel senso che le parti abbiano voluto tramite dette espressioni individuare per relationem con riferimento al modo della successione effettivamente verificatosi negli eredi chi acquista i diritti nascenti dal contratto stipulato a loro favore (art. 1920, comma secondo e terzo, cod. civ.), sia nel senso di correlare l’attribuzione dell’indennizzo ai più soggetti così individuati come eredi in misura proporzionale alla quota in cui ciascuno è succeduto secondo la modalità di successione effettivamente verificatasi, dovendosi invece escludere che, per la mancata precisazione nella clausola contrattuale di uno specifico criterio di ripartizione che a quelle modalità di individuazione delle quote faccia riferimento, che le quote debbano essere dall’assicuratore liquidate in misura eguale”. In questo contesto, per evitare questi rischi o equivoci potrebbe essere opportuno indicare anche la misura della quota, precisando anche l’accrescimento qualora qualcuno non possa o non voglia profittarne. PER CHIARIMENTI E CONSULENZE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: avv.chiaraconsani@gmail.com

venerdì 12 febbraio 2021

EREDITÀ DIGITALE APPLE I-CLOUD PRIVACY E TUTELA POST-MORTEM

Il Tribunale di Milano con una ordinanza emessa il 10 febbraio 2021 all’interno di un procedimento cautelare promosso ai sensi degli artt. 669 bis e 700 c.p.c. ha condannato la Apple Italia S.r.l. a fornire assistenza a due genitori per il recupero dei dati personali dagli account del figlio scomparso improvvisamente. I ricorrenti, eredi del figlio deceduto, avevano intenzione di recuperare i dati contenuti nel I-cloud ed ivi archiviati, consistenti in video, fotografie allo scopo di realizzare un progetto dedicato alla sua memoria. I genitori sono stati costretti a ricorrere al Tribunale perché la società Apple rifiutava loro tale accesso e comunicava che dopo un determinato periodo di inattività dell’account iCloud, la medesima proceda normalmente alla distruzione dei dati contenuti. PROFILI NORMATIVI: L’art 27 del Reg. 2016/679 c.d. “GDPR”, precisa che il regolamento non si applica ai dati personali delle persone decedute, lasciando tuttavia agli Stati Membri dell’Unione la possibilità di prevedere delle norme interne riguardanti il trattamento dei dati personali delle stesse. Sul punto, il decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101 ha introdotto una specifica disposizione nel Codice in materia di protezione dei dati, ossia l’art. 2-terdecies, la quale è dedicata al tema della tutela post-mortem e dell’accesso ai dati personali del defunto: “I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell'interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione (…) L'esercizio dei diritti di cui al comma 1 non è ammesso nei casi previsti dalla legge o quando, limitatamente all'offerta diretta di servizi della società dell'informazione, l'interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest'ultimo comunicata”. Non risulta tuttavia chiarito dal legislatore se l’acquisto dei diritti dell’interessato deceduto sia un acquisto mortis causa oppure rappresenti una legittimazione iure proprio, limitandosi a prevedere quello che la più attenta dottrina ha qualificato in termini di “persistenza” dei diritti oltre la cessazione della vita della persona fisica interessata. Tale persistenza assume un rilievo preminente a livello dei rimedi giudizialmente esperibili. CONSIDERAZIONI: Sarà sempre più importante valutare il destino dei nostri dati anche tramite un testamento, in quanto, sui dati del defunto potrebbero sorgere criticità non solo di legittimazione all’esercizio dei diritti (si pensi che tali diritti siano in capo a più coeredi anche in contrapposizione tra di loro) ma anche in termini di definizione della normativa applicabile. Per una consulenza non esitare a contattarmi via mail avv.chiaraconsani@gmail.com