lunedì 23 marzo 2020

DECRETO CURA ITALIA EMERGENZA COVID - 2019 REGIONE TOSCANA CASSA INTEGRAZIONE ORDINARIA ED IN DEROGA


DECRETO CURA ITALIA
EMERGENZA COVID - 2019
INPS
REGIONE TOSCANA
MISURE A SOSTEGNO REDDITO LAVORATORI


INPS

A seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020, che ha introdotto diverse misure a sostegno dei lavoratori, delle famiglie e delle imprese, l’INPS ha fornito tramite MESSAGGIO N. 1287/2020 una prima sintetica illustrazione relativa alle prestazioni di Cassa integrazione ordinaria, Assegno ordinario e Cassa integrazione in deroga, riferite all’emergenza Covid. Le istruzioni operative e procedurali in merito all’applicazione dei suddetti benefici saranno fornite con la relativa circolare illustrativa, che sarà pubblicata a seguito del parere favorevole del Ministero vigilante.

REGIONE TOSCANA

La Regione Toscana sul proprio sito https://www.regione.toscana.it/tutela-occupazione-e-sostegno-al-reddito ha pubblicato il seguente articolo.

Ai sensi del decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 le Regioni possono riconoscere il trattamento di cassa integrazione in deroga con riferimento a tutti i datori di lavoro del settore privato, ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti, ed esclusi i datori di lavoro domestico, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro, e per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro.
La Regione Toscana ha sottoscritto con le Parti Sociali rappresentate nella Commissione Permanente Regionale Tripartita un accordo quadro che definisce criteri e modalità procedurali circa l’utilizzo della cassa integrazione in deroga.
Per l’operatività della Cassa Integrazione in deroga è necessario attendere il decreto interministeriale di riparto delle risorse assegnate a livello nazionale (articolo 22, comma 3 del decreto 18/2020).
Pertanto al momento non è possibile la presentazione delle domande di Cassa integrazione in deroga per Covid 19.


Restiamo quindi in attesa dei Decreti Interministeriali e per una consulenza al fine di inviare le relative domande non esitate a contattarmi avv.chiaraconsani@gmail.com

martedì 17 marzo 2020

IL DIRITTO DI VISITA DEI GENITORI AI TEMPI DEL COVID – 2019


Il Tribunale di Milano -  sez. IX, 10/03/2020, (ud. 11/03/2020, dep. 10/03/2020) - su ricorso urgente promosso da un genitore, inaudita altera parte, ha disposto che i genitori si devono attenere alle previsioni di cui al verbale di separazione consensuale omologato garantendo il diritto di visita di entrambi i genitori, ritendo che le previsioni di cui all'art. 1, comma 1, Lettera a), del DPCM. 8 marzo 2020 n. 11 non siano preclusive dell'attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori, laddove consentono gli spostamenti finalizzati a rientri presso la "residenza o il domicilio", sicché alcuna "chiusura" di ambiti regionali può giustificare violazioni, in questo senso, di provvedimenti di separazione o divorzio vigenti.

In particolare, il Tribunale di Milano ha rilevato che anche le FAQ diramate dalla Presidenza del CDM in data 10.3.2020 indicano al punto 13 che gli spostamenti per raggiungere i figli minori presso l'altro genitore o presso l'affidatario sono sempre consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione e divorzio.

Per qualsiasi chiarimento avv.chiaraconsani@gmail.com

venerdì 28 febbraio 2020

REVOCA DEL TESTAMENTO PER SOPRAVVENIENZA DI FIGLI.


L'art. 687 c.c. stabilisce che le disposizioni sia a titolo universale sia a titolo particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva oppure ignorava di avere figli o discendenti sono revocate di diritto per l'esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente  del testatore, benché postumo anche adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio naturale.

La fattispecie legale della revocazione di diritto riguarda sia il caso in cui il testatore non aveva discendenza al tempo del testamento, sia l'ipotesi in cui la discendenza c'era già, ma egli ne ignorava l'esistenza.

La disposizione in esame, secondo l'orientamento prevalente non si applica per il caso del testamento redatto dal de cuius che, al momento della sua predisposizione, già avesse figli, dei quali fosse nota l'esistenza, e sia sopraggiunto un altro figlio.

Se il testatore aveva già avuto dei figli dei quali gli era nota l'esistenza al tempo della redazione del testamento e ne siano, successivamente, sopraggiunti degli altri, la revoca non è operante.

Ne deriva che è preclusa l'applicazione in via analogica alla fattispecie di figlio sopraggiunto dopo la redazione del testamento effettuata in presenza di altri figli.

L'eccezionalità dell'art. 687 c.c. si giustifica per due ragioni: da un lato, esso dà luogo a una fattispecie di inefficacia sopravvenuta di un negozio; dall'altro, esso pone una deroga al principio della prevalenza della successione testamentaria su quella legittima, valorizzato dall'art. 457 c.c., secondo cui non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca in tutto o in parte quella testamentaria.
 
CASSAZIONE CIVILE SEZ. II - 21/05/2019, N. 13680


La dichiarazione giudiziale di paternità anche se intervenuta dopo la morte del de cuius comporta la revocazione del testamento per sopravvenienza di figli.In tema di revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, il disposto dell'art. 687 c.c., comma 1, ha un fondamento oggettivo, riconducibile alla modificazione della situazione familiare rispetto a quella esistente al momento in cui il de cuius ha disposto dei suoi beni, sicché, dovendo ritenersi che tale modificazione sussista non solo quando il testatore riconosca un figlio ma anche quando venga esperita nei suoi confronti vittoriosamente l'azione di accertamento della filiazione, il testamento è revocato anche nel caso in cui si verifichi il secondo di tali eventi in virtù del combinato disposto dell'art. 277 c.c., comma 1, e art. 687 c.c., senza che abbia alcun rilievo che la dichiarazione giudiziale di paternità o la proposizione della relativa azione intervengano dopo la morte del de cuius, né che quest'ultimo, quando era in vita, non abbia voluto riconoscere il figlio, pur essendo a conoscenza della sua esistenza.

La pronunzia in esame conferma il recente orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la dichiarazione giudiziale di paternità (nel caso di specie, intervenuta, fra l'altro, dopo la morte del de cuius) comporta la revocazione del testamento per sopravvenienza di figli, nonostante l'art. 687 c.c. faccia riferimento alla sola e differente fattispecie di riconoscimento di figlio naturale.
 

La ratio della revocazione, ex art. 687 c.c., delle disposizioni, a titolo universale o particolare, va individuata nell'esigenza di tutelare i figli del disponente.
 

L'art. 687 c.c. realizza a favore dei legittimari un risultato ulteriore rispetto a quello che questi potrebbero conseguire con la semplice azione di riduzione.

Infatti, la disciplina della riserva non contempla l'inefficacia totale delle disposizioni del de cuius, ma la sola riduzione di quelle lesive per i legittimari.
 
Per consulenza legale scrivere al seguente indirizzo mail: avv.chiaraconsani@gmail.com

 

martedì 18 febbraio 2020

IL SUICIDIO ASSISTITO Corte Costituzionale, 22/11/2019, n.242


IL SUICIDIO ASSISTITO

Corte Costituzionale, 22/11/2019, n.242

“È costituzionalmente illegittimo l'art. 580 c.p., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 l. 22 dicembre 2019, n. 217 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) - ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione -, agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.”

La Corte Costituzionale  ammettere l'aiuto al suicidio, qualificandolo alla stregua di una modalità di esplicazione del diritto all'autodeterminazione terapeutica riconosciuto al paziente terminale ex art. 32 Cost. (ed ex art. 1 l. n. 219/2017).
La Corte ha quindi assimilato  tale pratica al rifiuto delle cure ed alla revoca del consenso in precedenza prestato ex art. 1, comma 5, l. n. 219.
In tal modo, è stata eliminata dall'ordinamento la norma penale che sanziona l'aiuto al suicidio per la parte ritenuta incostituzionale ed è stata dettata, in sede ricostruttiva,
In presenza di quattro condizioni soggettive riscontrabili in capo al paziente sarà possibile ricorrere alla “procedura medicalizzata” :

1) affetto da patologia irreversibile: 2) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, per sé assolutamente insopportabili; 3) tenuto in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitali; 4) e, tuttavia, capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

La Corte non ha però legittimato l'eutanasia.
L'ordinamento permette al paziente di porre termine alla sua vita rifiutando le cure e i trattamenti sanitari (tramite la disciplina dettata dalla l. n. 219 del 2017), ma non consente però al medico di aiutare il paziente a porre termine alla sua esistenza in modo più veloce, laddove il malato ritenga tale ultima scelta maggiormente dignitosa per la propria esistenza.

L'eutanasia è l'atto con cui il medico somministra farmaci su richiesta del paziente con lo scopo di provocarne la morte immediata; invece, nel suicidio assistito, è «l'interessato che compie l'ultimo atto che provoca la morte, atto reso possibile grazie alla determinante collaborazione del terzo, il quale prescrive e porge il prodotto letale».

La Corte ammette così la legittimità del suicidio assistito, tuttavia la verifica di queste condizioni è affidato al Servizio Sanitario nazionale, onde evitare “abusi in danno di persone vulnerabili”, previo parere del comitato etico territoriale.

Il Servizio Sanitario Nazionale dovrà quindi verificare le quattro condizioni soggettive legittimanti il paziente a richiedere il suicidio assistito, oltre che stabilire la concreta esecuzione del suicidio tramite intervento del sanitario.

La concreta attuazione del suicidio assistito richiesto da parte di paziente capace di autodeterminarsi è comunque affidata alla libera coscienza del medico, che può “scegliere se prestarsi o no, a esaudire la richiesta del malato”.

La Corte ha conferito al paziente terminale un'importantissima facoltà, esercitabile a seconda della personale sensibilità, nell'individuazione della sua soggettiva dignità nella terminalità; un'innovativa facoltà che si aggiunge e si salda con i diritti che l'ordinamento già oggi gli riconosce: ovvero, il diritto di rifiutare le cure (art. 1, comma 5, l. 219/2017), di richiedere l'applicazione della terapia analgesica, di fruire della medicina palliativa e della sedazione palliativa profonda (art. 2), di redigere il proprio testamento biologico (art. 4) e di pianificare le cure (art. 5).

La posizione soggettiva del paziente terminale è qualificabile alla stregua di un diritto soggettivo finalizzato a conseguire dal servizio sanitario nazionale quella determinata condotta attiva o prestazione: costituito, appunto, dall'aiuto medicalizzato al suicido mediante preparazione del prodotto esiziale.

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TESTAMENTO BIOLOGICO LE DAT: DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO


TESTAMENTO BIOLOGICO

LE DAT: DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO

Legge 2 dicembre 2017 n. 219.

Nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, a tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona, la legge rinforza il principio per cui nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.

Il cuore della legge è l’introduzione della disciplina delle DAT, disposizioni anticipate di trattamento, con le quali le persone possono dare indicazioni sui trattamenti sanitari da ricevere o da rifiutare nei casi in cui si trovassero in condizioni di incapacità.

Le DAT, disposizioni anticipate di trattamento, sono delle disposizioni che la persona, maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione della eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può esprimere in merito alla accettazione o rifiuto di determinati: accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche (in generale), singoli trattamenti sanitari (nutrizione e idratazione artificiale).

Le DAT possono essere redatte per atto pubblico notarile, la legge notarile prevede anche la possibilità di stipulare l’atto in presenza di due testimoni nel caso di impossibilità a firmare, o per scrittura privata autenticata dal notaio, od ancora per scrittura privata semplice consegnata personalmente all’Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza del disponente. L’atto non sconta nessun tipo di imposta (di registro, di bollo) né tassa o diritto.

È possibile inoltre, manifestare le DAT anche attraverso una videoregistrazione o anche altro dispositivo che consenta di comunicare.

La legge stabilisce che la persona acquisisca preventivamente adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte.

Le Dat possono essere revocate o modificate in qualunque momento, utilizzando la stessa forma con cui sono state rilasciate o, quando motivi di urgenza o altra impossibilità, non consentano di rispettare la stessa forma simmetrica, mediante dichiarazione verbale o videoregistrazione raccolta da un medico alla presenza di due testimoni.

Le Dat vengono pubblicizzate in un registro comunale o in un registro sanitario elettronico su base regionale, ove le Regioni abbiano istituito una modalità telematica di gestione della cartella clinica. In tal caso il disponente ha la scelta se far pubblicare copia della DAT ovvero lasciare solo indicazioni di chi sia il fiduciario o dove siano reperibili in copia.

Il Decreto n. 168 del 10 dicembre 2019, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 13 del 17 gennaio 2020, disciplina le modalità di registrazione delle DAT nella Banca dati nazionale che ha la funzione di raccogliere copia delle disposizioni anticipate di trattamento, garantirne il tempestivo aggiornamento in caso di rinnovo, modifica o revoca, assicurare la piena accessibilità delle DAT sia da parte del medico che ha in cura il paziente, in situazioni di incapacità di autodeterminarsi, sia da parte del disponente che del fiduciario eventualmente da lui nominato.

La legge prevede la possibilità (non l’obbligo) di nominare un fiduciario che sostituisca il disponente divenuto incapace nei rapporti con i medici e la struttura sanitaria, eventualmente consentendo di disattenderle, di concerto con il medico, solo nel caso in cui appaiano palesemente incongrue, non siano corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente, siano sopravvenute terapie non prevedibili alla data di redazione delle DAT.


La banca dati registra anche copia della nomina dell'eventuale fiduciario e dell'accettazione o della rinuncia di questi ovvero della successiva revoca da parte del disponente.

Per qualsiasi chiarimento o per una consulenza non esitare a contattami avv.chiaraconsani@gmail.com

mercoledì 12 giugno 2019

FIDEIUSSIONE BANCARIA


Sentenza Cassazione 13846/19 del 22.5.19
La Suprema Corte è intervenuta ancora in materia di fideiussioni.
Le banche hanno utilizzato, tutte o quasi, lo stesso schema di contratto di fideiussione così come predisposto dall’Abi.
Questo modo di agire, tuttavia, era stato ritenuto illegittimo fino dal 2005 da Bankitalia in quanto limitava la libera concorrenza: gli istituti, così facendo, imponevano ai clienti le medesime condizioni, impedendo all’utenza una libera scelta.
Le banche, naturalmente, non hanno tenuto in nessuna considerazione la direttiva Bankitalia ed anche il provvedimento sanzionatorio emesso dall’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) continuando sulla loro strada.
Ora, però, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 13846/19 del 22.05.2019 statuendo che le intese miranti a limitare la concorrenza, ove sanzionate da un provvedimento emesso dall’ Autorità Garante a seguito di istruttoria, ed eventualmente confermate dal giudice amministrativo, assurgono a prove privilegiate.
In pratica, chi ha prestato una garanzia per un’apertura di credito o un finanziamento, ed il contratto è del tutto simile allo schema prefissato dall’Abi di qualche anno fa, non dovrà domandare una valutazione del giudice sull’illegittimità delle clausole della fideiussione, visto che questa valutazione è già stata fatta, a monte, dall’Autorità Garante e nel caso di specie anche da Bankitalia.
Il Tribunale dovrà quindi limitarsi a verificare se il contratto è sostanzialmente simile a quello dell’Abi, ed in tal caso dichiarare la fideiussione nulla con l'effetto di liberare il garante dal rischio dell'inadempimento del garantito.

Per consulenze o chiarimenti scrivere al seguente indirizzo mail avv.chiaraconsani@gmail.com

mercoledì 5 giugno 2019

COMMERCIALIZZAZIONE DI CANNABIS SATIVA L


E’ stata rimessa alle Sezioni unite la questione se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell'articolo 1, comma 2, della legge 2 dicembre 2016 n. 242 - e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L - rientrino o meno nell'ambito di applicabilità della predetta legge e siano pertanto penalmente irrilevanti, ai sensi di tale normativa.

Ciò a fronte di un contrasto tra due diversi orientamenti giurisprudenziali.

1. Da un lato, un primo orientamento che ha fornito risposta negativa al quesito se la legge 242/2016 consenta anche la commercializzazione dei derivati della coltivazione della canapa (hashish e marijuana), sostenendo che tale normativa disciplini esclusivamente la coltivazione della canapa, consentendola, alle condizioni ivi indicate, soltanto per i fini commerciali elencati dall'articolo 1, comma 3, tra i quali non rientra la commercializzazione dei prodotti costituiti dalle infiorescenze e dalla resina.

2. Dall'altro, un secondo orientamento, di segno opposto, secondo cui, invece, proprio dalla liceità della coltivazione della cannabis, alla stregua della legge 242/2016, deriverebbe naturalmente la liceità dei suoi prodotti, contenenti un principio attivo inferiore allo 0,63, poiché essi non possono più essere considerati, ai fini giuridici, sostanze stupefacenti soggette alla disciplina del Dpr 309/1990, derivandone quindi che, ove sia incontroverso che le infiorescenze sequestrate provengano da coltivazioni lecite ai sensi della legge 242/2016, sarebbe da escludere la responsabilità penale sia dell'agricoltore che del commerciante, anche in caso di superamento del limite dello 0,63, essendo semmai ammissibile soltanto un sequestro in via amministrativa, a norma dell'articolo 4, comma 7, della legge 242/2016.

All’udienza del 30 maggio 2019, le Sezioni Unite hanno adottato la seguente soluzione: «la commercializzazione di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto, integrano il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, dpr 309/1990, le condotte di cessione, vendita e, in genere, commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante».

Per ogni chiarimento: avv.chiaraconsani@gmail.com