mercoledì 27 agosto 2014

OPPOSIZIONE ALLA DONAZIONE DIRETTA - INDIRETTA - SIMULATA


L’OPPOSIZIONE ALLA DONAZIONE DIRETTA

SCOPI E FINI NEI CONFRONTI DEI TERZI AVENTI CAUSA

Art 563 c.c.

La reintegrazione dei diritti del legittimario si compie dapprima attraverso l’esperimento dell'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che provocano la lesione della legittima, e poi con l’esperimento dell'azione di restituzione nei confronti dei beneficiari delle disposizioni ridotte e dell'azione di restituzione nei confronti dei loro aventi causa

La legge n.80/2005 ha novellato il quadro normativo di riferimento, e le novità concernono:

1)      LA TUTELA DEGLI ACQUIRENTI DI BENI PROVENIENTI DA DONAZIONE:

Prima del 15 maggio 2005, data di entrata in vigore della citata legge, i terzi acquirenti dei beni donati o pervenuti per testamento al loro dante causa erano sempre a rischio di doverli restituire al legittimario leso, e difficilmente potevano, poi, soddisfare il loro credito di regresso.

La novità introdotta nel quadro normativo è che l'azione di restituzione nei confronti dei terzi aventi causa non può essere promossa qualora siano decorsi oltre venti anni dalla donazione; Al fine di evitare che il termine ventennale pregiudichi i legittimari, costoro possono formulare un'opposizione stragiudiziale alla donazione.

In pratica essi notificano la volontà e la ferma determinazione di opporsi alla donazione al beneficiario della stessa, e la rendono pubblica mediante trascrizione nei registri della conservatoria immobiliare. In tal caso, il termine di venti anni è sospeso, ed i terzi ben si guarderebbero dall'acquistare beni precedentemente donati.

Le disposizioni contenute nella citata legge, hanno previsto, pertanto, un'ulteriore scadenza ventennale, entro cui i legittimari devono esercitare le loro pretese, altrimenti non potranno più rivendicare le loro ragioni verso i terzi acquirenti, ed in tal modo hanno agevolato e migliorato la circolazione giuridica dei beni provenienti da donazioni; ma al contempo hanno istituito l'opposizione alla donazione che costituisce, sicuramente, una maggiore tutela per i legittimari lesi.

L’effetto della opposizione è quello di sospendere il decorso del ventennio dalla donazione conservando in tal modo l’azione di restituzione contro il terzo avente causa dal donatario ed evitando l’effetto purgativo dei pesi e delle ipoteche.

L’OPPOSIZIONE ALLE DONAZIONI INDIRETTE E/O SIMULATE

SCOPI E FINI NEI CONFRONTI DEI FUTURI COEREDI

2)      LA TUTELA DEL LEGITTIMARIO NON DONATARIO NEI CONFRONTI DEL DONATARIO AI FINI DELLA FUTURA COLLAZIONE E DEL CALCOLO DELLA LEGITTIMA;

Una volta accertato che la nuova legge sancisce che l’atto di opposizione va diretto contro l’atto di donazione, sorge immediatamente la questione di approfondire se l’opposizione sia proponibile anche contro le donazioni “indirette” o “dissimulate” (“dietro” un atto non donativo) e quindi, conseguentemente, di verificare il tema della trascrivibilità di una tale opposizione nei Registri Immobiliari.

Prima della novella del 2005, l’azione di simulazione finalizzata all’esperimento della azione di riduzione a tutela del legittimario leso da un atto sostanzialmente donativo ma formalmente oneroso non era ovviamente concepibile prima della morte del donante poiché solo a questo punto ci si poteva porre un problema di lesione della legittima

Dopo la novella del 2005, invece, in vita del donante ben si può invece porre il problema della declaratoria della simulazione, poiché si tratta non più di una azione di simulazione finalizzata all’ esperimento dell’azione di riduzione ma di una azione di simulazione finalizzata alla trascrizione dell’atto di “opposizione”.

Pertanto durante la vita del “donante” e prima del decorso del ventennio, il legittimato a proporre “opposizione” in tanto potrà trascriverla in quanto preventivamente trascriva una domanda giudiziale di accertamento della simulazione dell’atto formalmente oneroso cosi il terzo acquirente che trascrive il proprio acquisto dopo la trascrizione della domanda di simulazione non può beneficiare del decorso del ventennio e quindi resta esposto ad un possibile esperimento dell’azione di restituzione.

PER CHIARIMENTI E CONSULENZE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: CHIARA.CONSANI@VIRGILIO.IT

lunedì 30 giugno 2014

IL DECRETO SALVA INQUILINI: DUBBI E PERPLESSITA'

IL DECRETO SALVA INQUILINI DL 47/14 (convertito nella L. 80/14) e precisamente l’art. 5 comma 1-ter.

Il legislatore è reintervenuto come avevamo previsto con l’art. 5 comma 1 ter della l 80/2014, che ha fatto salvi fino al 31.12.15 gli effetti e i rapporti sorti dai contratti nati ex art. 3.
 
Questa norma è stata emanata con il solo intento di evitare agli inquilini di pagare gli arretrati e di godere per un altro anno e mezzo del pagamento del canone ridotto.

La legge che ha nuovamente soccorso gli affittuari stabilisce, infatti, che sono fatti salvi, fino al 31 dicembre 2015, gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.
 
La norma ha voluto, puramente e semplicemente, procrastinare gli effetti di una norma dichiarata incostituzionale: in questo caso è ineluttabile un nuovo intervento della Corte volto a sanzionare la violazione del giudicato costituzionale.

Si evidenzia a tal fine la copiosa giurisprudenza costituzionale che impedisce al legislatore di fare salvi o prolungare gli effetti di una norma incostituzionale.

Restano dubbi e perplessità in merito a questa nuova normativa.
Non ci resta che attendere le numerose sentenze che stanno emettendo i vari Tribunali in merito agli sfratti richiesti e ottenuti nonostante le norme incostituzionali che il nostro paese riesce inesorabilmente ad approvare.

 
 


DIRITTO DEL LAVORO LA TRANSAZIONE


Somme corrisposte dal datore di lavoro al proprio dipendente in esecuzione di una transazione, conseguita al fine di evitare l’insorgere di una lite. Assoggettabilità a contribuzione degli importi corrisposti nell’ambito dell’accordo transattivo.

Con sentenza n. 9180 del 23 aprile 2014, la Cassazione ha affermato che di per se stesso il titolo transattivo attribuito dalle parti alla erogazione di una somma, finalizzata anche a prevenire una lite e senza alcun riconoscimento relativo all’intercorso rapporto di lavoro, non è idoneo ad escludere la pretesa contributiva dell’INPS. Alla base delle motivazioni ci sono alcuni ragionamenti che scaturiscono dai contenuti dell’art. 12 della legge n. 153/1969 che ricomprende nella natura dell’imponibile contributivo tutto ciò che il prestatore ha percepito in relazione al rapporto di lavoro. Sotto l’aspetto contributivo la nozione di retribuzione è molto ampia e tale da superare i confini della corrispettività, essendo escluse unicamente le erogazioni frutto di una causa diversa e distinta dal rapporto , nonché le voci riportate nell’ art. 12 della suddetta legge.

La Suprema Corte, ha preso le mosse dalla L. 153/1969 (art. 12) la quale dispone che “per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in denaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro”.

La norma è stata interpretata autenticamente dal D.L. 173/1988 (convertito in L. 291/1988) nel senso che “dalla retribuzione imponibile sono escluse anche le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori”.

Dalla sopracitata disciplina legislativa consegue che affinché sia esclusa la debenza dell’obbligo contributivo occorre che risulti un titolo autonomo diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che giustifichi la corresponsione della somma nell’ambito della transazione, a nulla rilevando una volontà negoziale che regoli in maniera diversa la obbligazione retributiva, ovvero risolva con un contratto di transazione la controversia insorta in ordine al rapporto di lavoro.

La Suprema Corte ha rilevato come gli accordi transattivi prendessero le mosse da pretese dei lavoratori collegate al rapporto di lavoro di talché restava ininfluente la volontà delle parti contraenti di escludere tale nesso, non potendo siffatta intenzione valere ad elidere gli effetti che la legge correla ad erogazioni comunque connesse al rapporto di lavoro.

Quanto alla volontà dichiarata dalle parti di attribuire la somma quale incentivo all’esodo, la Corte di Cassazione ha rilevato la ingiustificatezza di una elargizione finalizzata ad agevolare la fuoriuscita del dipendente dall’azienda, per un rapporto di lavoro già cessato al momento della pattuizione.

Pertanto alla luce di tale sentenza gli emolumenti elargiti ai lavoratori nell’ambito transattivo, anche a titolo di incentivo all’esodo, rientrano nell’ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi, di cui alla L. 153/1969, e per l’effetto sono soggetti a contribuzione.

mercoledì 19 marzo 2014

DECRETO LEGISLATIVO 23/2011 LA PRONUNCIA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA 50/2014,


La Consulta cancella le sanzioni previste dall'articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 23/2011 per i contratti in nero.

La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale per eccesso di delega dell'art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23/2011, nella parte in cui prevedeva la possibilità del conduttore di registrare tardivamente il contratto di locazione “in nero”, ottenendo un “nuovo” contratto di durata quadriennale e con riduzione del canone d'affitto pari al triplo della rendita catastale dell'immobile. Una disciplina estesa anche alle ipotesi di contratto di locazione registrato con un canone inferiore a quello effettivo e di contratti di comodato

Tale norma così disponeva: “ Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina:

a) la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio;

b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'articolo 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998;

c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti.

La dichiarazione di incostituzionalità di una legge o di un atto avente forza di legge rende la norma inefficace ex tunc e, quindi, estende la sua invalidità a tutti i rapporti giuridici ancora pendenti al momento della decisione della corte, pertanto finiranno nel nulla i contratti che sono stati registrati dagli inquilini e dai funzionari del Fisco a partire dal 6 giugno 2011.

Gli inquilini che hanno denunciato all’agenzia delle entrate il contratto di locazione in nero dovranno  liberare l'abitazione, perché il contratto cadrà insieme alla norma di legge che lo prevedeva, inoltre il proprietario avrà diritto a un'indennità per l'arricchimento senza causa, e per indebita occupazione nel caso di ritardata consegna dell’immobile.

Per chiarimenti e consulenze scrivere alla seguente mail: chiara.consani@virgilio.it

venerdì 14 marzo 2014

Recesso unilaterale da contratto di locazione per crisi economica

Come noto, il recesso dai contratti di locazione degli immobili ad uso commerciale è disciplinato dagli ultimi due commi dell’art. 27 della legge n° 392 del 1978.

Tale legge prevede la facoltà delle parti di inserire nel contratto, clausole che diano la possibilità per il conduttore di poter recedere dal contratto, senza obbligo di motivazione, con un preavviso di mesi sei da effettuarsi a mezzo lettera raccomanda r.r..

Tuttavia, in assenza di una tale pattuizione, nel silenzio delle parti, l’ultimo comma dell’art. 27 prevede che il conduttore, solo per gravi motivi, possa recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi sempre con lettera raccomandata r.r..

 Definire oggettivamente i “gravi motivi” è compito arduo, perché si offre la possibilità al Giudice del merito un ampia casistica di valutazione, che non sempre corrisponde con le desiderata delle parti.

La recente sentenza n° 549 del 17.01.2012 della Cassazione Civile, ha negato che la generica crisi economica eccepita, fosse “grave motivo” invocato per il recesso.

La Suprema Corte ha motivato sul punto, come i  gravi motivi debbano ricercarsi in fatti involontari, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto contrattuale,  ed essere tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore, sotto il profilo economico, la prosecuzione della locazione.

In buona sostanza, poiché la legge n° 392/1978 tutela l’interesse di entrambe le parti alla prosecuzione del contratto, risulta necessario che la parte recedente giustifichi la richiesta chiarendo quali siano di fatto “gravi motivi” che come anzidetto debbono essere estranei, imprevedibili e sopravvenuti alla stipula del contratto.

Ora, pur essendo pacifico che la crisi economica che sta investendo il nostro paese ben possa essere considerata estranea (al rapporto), imprevedibile e sopravvenuta, tuttavia il locatore deve essere messo nella possibilità di contestare gli assunti di colui che intenderebbe esercitare il recesso, che pertanto non possono essere generici , né possono derivare da situazioni soggettive quali l’opportunità di continuare ad utilizzare l’immobile oggetto di locazione, o la riduzione del volume d’affari. Altrimenti il rischio d’impresa ricadrebbe sul locatore.

Quindi, secondo la Suprema Corte, la crisi economica è un motivo generico e vago al fine di legittimare il recesso, se sfornita da altri motivi oggettivamente imprevedibili e sopravvenuti alla stipula del contratto, ben evidenziati ed eccepiti, tali da rendere oggettivamente gravoso la continuazione del rapporto contrattuale, talché il locatore possa eventualmente contestarli e su di essi instaurare un vero e proprio contraddittorio.

 

Avv. Alberto Consani

mercoledì 5 febbraio 2014

Concordato “in bianco” e contratti pendenti

Il novellato art. 161 comma 6 l.fall. offre la possibilità per l’azienda in crisi, rectius l’imprenditore, di depositare al competente Tribunale un ricorso corredato da pochissimi dati essenziali, prenotativo di una vera e propria domanda di concordato.

La prassi ha definito tale istituto, nuovo per il nostro diritto fallimentare, come concordato “in bianco”,  “pre-concordato”, “domanda prenotativa” etc., che ha lo scopo di far emergere la crisi dell’azienda e tuttavia consente la cristallizzazione del patrimonio del debitore. In buona sostanza impedisce ai singoli creditori di iniziare o proseguire iniziative esecutive sui beni dell’impresa in difficoltà, nelle more della presentazione della domanda completa del piano concordatario che richiede tempo.

La legge, come anzidetto, impone l’obbligo del deposito degli ultimi tre bilanci, la rendicontazione periodica e l’impossibilità di presentazione della domanda stessa, ove l’imprenditore ne abbia già presentata un'altra nel biennio precedente.

L’argomento che oggi vado a focalizzare, è relativo alla sorte dei contratti pendenti ed in corso d’esecuzione nel concordato preventivo, così come regolato dall’art. 169 bis L. fall., ove gli stessi siano troppo onerosi per l’azienda in crisi.

Il medesimo art. 169 bis l.fall. permette infatti al debitore in concordato di domandare, o nel ricorso introduttivo, o successivamente allo stesso, l’autorizzazione al Tribunale ,per sciogliersi dai contratti in corso ed anche, eventualmente a sospenderne solo alcuni di essi.

Naturalmente è bene subito chiarire che la presentazione della domanda di concordato non è di per sé causa di risoluzione dei contratti in essere, talché il giudizio prognostico di convenienza per il loro scioglimento è demandato agli organi della procedura che valuteranno caso per caso nell’interesse esclusivo dei creditori.

Da ciò ne consegue come di norma, l’autorizzazione allo scioglimento dei contratti, possa essere valutata con favore ove si tratti di contratti particolarmente onerosi e non più necessari per il proseguimento dell’attività, specialmente ove questa avvenga in misura ridotta rispetto a quella dell’azienda in bonis, anche per ragioni di giro d’affari o per ridotta capacità finanziaria: cash flow.

L’art. 169 bis l.fall., delimita poi in modo ben preciso quali contratti non possano essere sciolti, evidenziando in primis, come siano esclusi i rapporti di lavoro subordinato.

Ciò chiarito, appare evidente come la disciplina di riferimento sia finalizzata all’interesse supremo del ceto creditorio. Tuttavia, rimane un quid juris: sarà possibile applicare tale normativa al concordato con riserva, c.d. “in bianco” o “prenotativo”, di cui abbiamo dato conto, posto che all’atto del deposito della domanda-ricorso, manca un preciso schema di risoluzione della crisi?

La giurisprudenza nel tempo ha ritenuto prevalentemente applicabile la norma di cui all’art. 169 bis l.fall. anche alla domanda con riserva od “in bianco”, osservando come la norma di cui all’articolo in questione richiami l’art. 161 l.fall. senza effettuare un distinguo fra la domanda c.d. “in bianco” e quella vera e propria, completa in buona sostanza in ogni sua parte, compreso il fatidico piano e nella quale l’imprenditore abbia “svelato” la propria scelta ai creditori, optando ad esempio per un concordato liquidatorio anziché per uno “in continuità”, posizioni evidentemente antitetiche fra di loro giacché uno prevede la cessazione dell’attività e l’altro, invece, la continuità o la sopravvivenza dell’azienda.

In questa direzione si sono infatti pronunciati alcuni Tribunali, chiedendo infatti al ricorrente di anticipare la tipologia del concordato prescelto. Al fine di offrire al Tribunale, ad agli organi della procedura, di valutare la convenienza nell’interesse dei creditori. Diverse, infatti, possono essere le convenienze per i creditori, come anzidetto, a secondo di quale via si prenda.

Altri Tribunali, invece, hanno ritenuto addirittura la norma non applicabile alla domanda di concordato “in bianco”, ad altri ancora propendono, al limite, per una sospensione dei contratti nella fase “pre-concordataria” e non per lo scioglimento.

La ratio di una tale duplice interpretazione è evidente. Da una parte si ritiene che la domanda prenotativa, produca solo effetti di conservazione del patrimonio del debitore, in attesa della valutazione di ammissibilità da parte del Tribunale, e pertanto nelle more non si possa stravolgere l’impresa che nello stesso tempo sarebbe tenuta anche al pagamento di un indennizzo. Dall’altra, la ratio è dettata da ragioni strettamente giuridiche: l’art. 169 bis. L. fall. non fa esplicito riferimento al ricorso ex art. 161 comma 6 l.fall., mentre tale richiamo è contenuto nell’art. 182 quinques.

In buona sostanza e concludendo, a parere dello scrivente pare logico propendere, nella fase “pre-concordataria”, cioè dopo aver presentato la domanda in bianco o contestualmente ad essa, nelle more del termine imposto dal Tribunale per la presentazione della domanda vera e propria e del relativo piano, per una eventuale richiesta al Tribunale di sospensione temporanea dei contratti più onerosi o non più essenziali per il proseguimento dell’attività, e solo alla presentazione del piano definitivo domandare invece, una volta esplicata la road-map concordataria, lo scioglimento dai contratti gravosi che comporterà, nella maggior parte dei casi la corresponsione di un equo indennizzo.

Avv. Alberto Consani

venerdì 20 dicembre 2013

LA PROROGA FINO AL 2020



Si segnala come l’articolo 34-duodecies del D.L. n. 179/2012, novellando l’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del D.L. n. 194/2009) ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015.

Successivamente l’articolo 1, comma 547 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) ha esteso le previsioni dell’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, come sopra modificato, alle concessioni aventi ad oggetto:

-          il demanio marittimo, per concessioni con finalità sportive;

-          il demanio lacuale e fluviale per concessioni con finalità turistico-ricreative e sportive;

-          i beni destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto.

Sulla scorta di tanto, si può affermare che le coordinate sopra esposte siano riferibili anche alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica, tali cioè da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese, fungendo da parametro di interpretazione ed, al contempo, di limitazione del disposto di cui all'art. 37 cod. nav.

Tanto più ove si consideri che, di recente, anche la giurisprudenza amministrativa di primo grado si è perfettamente allineata all'impostazione comunitaria fatta propria dal Consiglio di Stato, rilevando che “nel rispetto delle regole dettate dal Trattato e dalla giurisprudenza comunitaria le concessioni di beni pubblici possono essere assentite solo in esito ad una procedura di gara caratterizzata da idonea pubblicità preventiva; esse ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni comunitarie in relazione ai principi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità”.

Articolo 34-duodecies
(Concessioni demaniali marittime)

L’articolo 34-duodecies, introdotto al Senato, proroga di cinque anni, dal 31 dicembre 2015 al 31 dicembre 2020, la scadenza delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.

La proroga viene concessa novellando l’art. 1, comma 18 del D.L. n. 194 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 25/2010 il quale, in attesa della revisione della legislazione nazionale in materia, ha prorogato sino al 31 dicembre 2015 le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative che erano in essere al 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del decreto-legge) e la cui scadenza era fissata entro la suddetta data del 31 dicembre 2015.

L’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009, stabilisce che, ferma restando la disciplina relativa all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all'articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino a tale data.

Il termine di durata delle concessioni in essere viene pertanto prorogato, dall’articolo 34-duodecies in commento, al 31 dicembre 2020.

Lo stesso articolo 18, mediante un richiamo all’articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge. n. 400 del 1993, aveva espressamente confermate le scadenze delle concessioni fissate in una data successiva al 31 dicembre 2015. Il comma 18 aveva inoltre previsto l'abrogazione del secondo periodo del secondo comma dell'articolo 37 del Codice della navigazione che dava preferenza al concessionario uscente in occasione del rinnovo delle concessioni.

Si ricorda che il codice della navigazione, all’art. 37, comma 2, stabiliva che per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative, fosse data preferenza alle richieste che comportano attrezzature non fisse, amovibili, nonché, in caso di rinnovo, fosse data preferenza, rispetto alle nuove, alle concessioni già rilasciate precedentemente.

La necessità di procedere alla revisione della normativa in materia di concessioni demaniali marittime era stata sollevata dall'apertura di una procedura di infrazione comunitaria (n. 2008/4908) nei confronti dell'Italia circa la disciplina che prevedeva il rinnovo automatico delle concessioni e la preferenza accordata al concessionario uscente.

Il legislatore italiano è dapprima intervenuto, come detto, con l’art. 1, co. 18, del D.L. 194/2009[338], abrogando il secondo comma dell'articolo 37 del Codice della navigazione, che dava preferenza al concessionario uscente in occasione del rinnovo delle concessioni. La Commissione europea, con un atto successivo (messa in mora complementare 2010/2734 del 5 maggio 2010), ha però evidenziato ulteriori profili di illegittimità della normativa italiana.

In seguito agli ulteriori rilievi, con l’art. 11 della legge n. 217/2011 (legge comunitaria 2010), è stato abrogato il co. 2 dell’art. 01 del D.L. n. 400/1993, il quale fissava in sei anni la durata delle concessioni demaniali marittime e prevedeva il loro rinnovo automatico alla scadenza per la stessa durata.

L’articolo 11 della legge comunitaria 2010 ha infine delegato il Governo ad emanare, entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime.

In conseguenza di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa in data 27 febbraio 2012.
La disposizione andrebbe quindi valutata alla luce del contenuto dei rilievi di compatibilità con il diritto dell’Unione europea oggetto della procedura di infrazione richiamata.
Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 27 febbraio 2012 la Commissione europea ha archiviato la procedura di infrazione n. 2008/4908, che aveva avviato il 29 gennaio 2009, rilevando l’incompatibilità con l’ordinamento dell’UE di alcuni profili della normativa italiana riguardante le concessioni demaniali marittime.

La Commissione ha proceduto all’archiviazione ritenendo che le disposizioni di cui all’articolo 11 della legge comunitaria per il 2010 (legge 15 dicembre 2011, n. 217) rendano conforme la normativa italiana in materia a quella dell’Unione europea.

Con la lettera di messa in mora, con cui era stata avviata la procedura di infrazione, la Commissione europea contestava la compatibilità con l’ordinamento dell’UE dell’art. 37, comma 2, del codice della navigazione, e dell’art. 9, comma 4, della legge regionale Friuli Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22, che, prevedendo una preferenza per il concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo, risultavano a suo avviso discriminatorie per le imprese provenienti da altri Stati membri.

Facendo seguito all’avvio della procedura di infrazione, il 21 gennaio 2010 il Governo italiano aveva notificato alla Commissione il decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (convertito in legge 26 febbraio 2010, n. 25), volto ad adeguare le disposizioni del Codice della navigazione oggetto di rilievi, eliminando, in particolare, la preferenza in favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni.

Dopo aver esaminato tali disposizioni, la Commissione tuttavia aveva tenuto ferma la procedura di infrazione formulando ulteriori contestazioni all’Italia.
In particolare, la Commissione aveva rilevato alcune discrepanze tra il testo originario del decreto-legge n. 194/2009 e quello della relativa legge di conversione la quale, in particolare, all’articolo 1, comma 18, recava un rinvio - non previsto nel decreto legge n. 194/2009 - all’articolo 1, comma 2, del decreto legge 5 ottobre, 1993, n. 400.
La Commissione aveva ritenuto che i rinvii alle norme in questione, stabilendo esse il rinnovo automatico, di sei anni in sei anni, per le concessioni che giungono a scadenza, privassero nella sostanza di effetto il decreto-legge n. 194/2009, fossero contrari alla normativa UE, in particolare con riferimento:
§       all’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno che prevede una procedura di selezione imparziale e trasparente, con un’adeguata pubblicità, nel caso in cui il numero delle autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsezza delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili. Il paragrafo 2 dell’articolo 12, inoltre, vieta il rinnovo automatico delle autorizzazioni nonché eventuali altri vantaggi al prestatore uscente. La Commissione riteneva che le concessioni di beni pubblici marittimi oggetto della procedura di infrazione costituissero autorizzazioni il cui numero è limitato ai sensi dell’articolo 12 in esame; pertanto l’articolo 01, comma 2, del decreto-legge n. 400/93, violava il citato articolo 12 laddove favoriva l’attribuzione di concessioni marittime a concessionari già titolari di una concessione e quindi già stabiliti in Italia, attribuendo un privilegio ai prestatori uscenti per i quali viene rinnovata la concessione senza applicare una procedura imparziale o trasparente;
§       all’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’UE che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. A tale riguardo la Commissione richiamava alla giurisprudenza della Corte di giustizia che ha sottolineato l’incompatibilità delle norme nazionali che rendono più difficile l’accesso al mercato di operatori provenienti dagli altri Stati membri[340]. Sottolineava altresì che nel caso del rinnovo automatico delle concessioni marittime a favore dell’operatore uscente previsto dalla normativa italiana non si possano applicare le deroghe previste dagli articoli 51 e 52 del medesimo Trattato (attività che partecipano all’esercizio di pubblici poteri, motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica e sanità pubblica).