mercoledì 30 maggio 2012

IMU E DIRITTO DI ABITAZIONE TEMPORANEO:


L’IMU si applica alla prima casa e alla seconda anche se concessa dai genitori in comodato d’uso al figlio che non ha il possesso di altre case.

Questa è la grande novità dell’IMU. 
Con l’ICI i genitori non pagavano la tassa su entrambe le case.
L’ICI precedente era una tassa imposta solo sulle seconde case e la casa concessa in comodato d’uso al figlio, non titolare di altri immobili abitativi, era considerata anch’essa come prima casa.
L’Imu, invece, si applica a tutte e due le abitazioni: su quella dove vivono i genitori si applica l’aliquota agevolata (il 4 per mille) destinata alla prima casa, su quella dove il figlio o la figlia l’aliquota più severa (7,6 per mille) destinata alle seconde case.

Perché l’abitazione dei figli sia considerata prima casa non bastano dimora e residenza, serve anche il possesso. Per esempio, per effetto di una donazione di un diritto reale minore su di essa, come l’usufrutto o abitazione.

Considerando l’elevato ammontare della tassa per ovviare alla stessa conviene (i costi notarili di registro e ipotecarie sono nettamente minori) costituire un diritto di abitazione sulla seconda casa dei genitori in favore dei figli anche solo temporaneo per ¾ anni fino a quando questa ingiusta tassa venga ridotta.

Ovviamente è necessario tenere in considerazione che la costituzione del diritto di abitazione diminuisce il valore ipotecario della nuda proprietà non avendo più il genitore grande spazio per prendere un mutuo ipotecario da garantire sulla casa per la durata del diritto di abitazione, salvo che l’ipoteca non venga concessa sull’intera piena proprietà e congiuntamente da genitore e figlio.

Infine non si può non notare l’ineguaglianza di questa tassa.
Il parametro di calcolo dell’IMU è la rendita catastale.
Purtroppo in Italia non tutti hanno le rendite catastali aggiornate e succede che immobili di gran valore abbiano una rendita catastale aggiornata agli anni 90 ben più ridotta di un appartamento la cui rendita è aggiornata al 2006. 
Sarei curiosa di vedere le rendite delle ville dei ministri.


Per qualsiasi chiarimento chiedete una consulenza legale chiara.consani@virgilio.it

giovedì 5 aprile 2012

IL PUNTO LEGALE SULLA BOLKESTEIN:



Vari sono gli elementi sui quali s’invita il Governo a riflettere, al fine di trovare una via di uscita dall’applicazione, della Direttiva Bolkestein, agli attuali concessionari di spiaggia.

Si evidenzia come la legge n. 135/2000 riconosca importanza preminente alle imprese balneari italiane, esaltando il ruolo strategico del turismo per lo sviluppo economico ed occupazionale del paese.
L’Italia si è, in tal senso, impegnata a sostenere il ruolo delle imprese operanti nel settore turistico con particolare riguardo alle piccole e medie imprese, al fine di migliorare la qualità dell'organizzazione, delle strutture e dei servizi.

Il Parlamento europeo, il 27 settembre 2011 con la risoluzione n 56,“ ribadisce l'importanza del turismo balneare come peculiarità di alcune regioni costiere europee ed  invita la Commissione a valutare se la direttiva 2006/123/CE abbia ripercussioni negative sulle PMI di questo settore e, se lo ritiene necessario, a proporre misure per attenuare tali ripercussioni e garantire che le caratteristiche specifiche di questa categoria professionale siano prese in considerazione nell'applicazione della direttiva; invita inoltre gli Stati membri a valutare, in cooperazione con le autorità competenti, l'introduzione di misure compensative per attenuare i danni causati agli operatori turistici dall'introduzione di una nuova legislazione che comporta la perdita dei diritti acquisiti e causa perdite correlate a investimenti non ammortizzati destinati a rinnovare o adeguare le sue strutture nel rispetto della legislazione precedentemente in vigore; ritiene che tali misure siano necessarie al fine di salvaguardare gli investimenti degli operatori e migliorare la qualità del servizio alla clientela.”


Le varie associazioni di categoria hanno più volte fatto notare al Governo la grave situazione in cui si trovano le piccole imprese balneari, gestite prevalentemente a conduzione  familiare.

Fin dall’assunzione in Europa della Direttiva Servizi nel 2006 il comparto balneare Italiano ha subito e subisce, gravi danni. I danni economici e non solo, sono stati causati dalla situazione d’incertezza in cui sono state fatte vivere le imprese balneari e dalla totale assenza di un quadro normativo coerente e lineare che permetta a dette società di svilupparsi, avendo contezza della sorte delle loro aziende.
Tutto ciò, unito alla crisi economica globale, non ha certamente permesso alle imprese in esame, dal 2006 ad oggi, di effettuare alcun investimento e di assumere nuovo personale qualificato. Il comparto balneare e conseguentemente tutto l’indotto, è pertanto paralizzato.

L’Italia è l’Europa nel contempo si sono impegnate a «Pensare anzitutto in piccolo».
Con lo «Small Business Act», infatti, Italia e Europa si sono assunte, in considerazione della centralità per l'economia europea del sistema delle imprese di ridotte dimensioni e della fortissima incidenza, all'interno di tale sistema, delle micro imprese, l’impegno inderogabile di dare nuovo impulso alle piccole e medie imprese europee.
Il Governo Italiano si è, infatti, impegnato a dar vita ad un contesto normativo ed economico nazionale in cui gli imprenditori e le imprese familiari possano sviluppare la propria attività. 
La produzione legislativa ed amministrativa deve essere valutata sulla base delle esigenze e delle capacità dei piccoli e medi imprenditori. 
Al riguardo occorre che i testi normativi aventi riflessi sulle PMI siano redatti con disposizioni chiare e facilmente comprensibili mettendosi nell'ottica interpretativa di tali imprenditori.

In quest’ottica normativa sopra delineata si denuncia come il Governo Italiano sia stato mancante nei confronti della piccola impresa balneare e non abbia ottemperato ai suoi doveri di tutele e garanzia per l’attività imprenditoriale italiana in un così importante settore, danneggiando così tutto il comparto turistico balneare, di non poco conto, in un paese come il nostro, penisola immersa nel mare.

Tutti gli imprenditori balneari si augurano che il Governo tenga conto delle loro necessità, senza contravvenire ai principi di libera concorrenza e libertà di stabilimento da sempre garantiti nel nostro paese, e senza nascondere, al contempo, la necessità per il nostro paese di un cambiamento liberale.

L’ordinamento italiano preesistente all’ondata della Direttiva Bolkestein prevedeva in favore dei concessionari balneari prima il “diritto di preferenza” e poi il “diritto d’insistenza” finalizzati a sviluppare un principio di stabilità del rapporto concessorio (Cod. della Nav., legge 493\1993, legge 88/2001, legge 135/2001 sul turismo, legge 296/2006).
Tale costante ed uniforme attività legislativa ha consentito la promozione di un modello turistico virtuoso che tutta l’Europa non a caso ci invidia, garantendo alle imprese famigliari una adeguata prospettiva economica.

Le imprese balneari infatti erano garantite dalla legittima aspettativa di avere davanti un orizzonte temporale lungo, per poter effettuare gli investimenti per l’ammodernamento e il rinnovamento delle strutture e delle attrezzature.

Il Governo Italiano è chiamato pertanto a salvaguardare i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento che ha alimentato con i provvedimenti normativi sopra elencati e che sono principi parte non solo del nostro ordinamento ma anche di quello europeo (si veda, ad esempio la sentenza della Corte Ue, sez. VI, 24 gennaio 2002, procedimento n. C-500/99 e 29 aprile 2004, cause riunite C- 487/01 e C-7/02 e  le sentenze della Corte Costituzionale  264/05 e 302/2010). 


In merito all’opportunità della deroga alla Direttiva Servizi si sottolinea quanto segue.

1) In primo luogo l’articolo uno della Direttiva Servizi (cd. Direttiva Bolkestein) dispone che “La presente direttiva non riguarda la liberalizzazione dei servizi d’interesse economico generale riservati a enti pubblici o privati, né la privatizzazione di enti pubblici che forniscono servizi. “

Le nostre imprese balneari sono state chiamate negli anni a soddisfare interessi pubblici generali. Gli stabilimenti balneari hanno infatti, svolto un ruolo decisivo per la tutela dell’ambiente naturale costiero ed in particolare nelle operazioni di pulizia, di sorveglianza e di manutenzione degli arenili. Oltre ai servizi di manutenzione ambientale dell’ecosistema marino nei tratti di costa di competenza, dette imprese private sono state chiamate a svolgere altresì servizi di tutela pubblica dei bagnanti garantendo il diritto di ciascun cittadino, italiano e non, di usufruire dei servizi di spiaggia in modo accessibile, non discriminatorio, garantendosi la sicurezza delle nostre spiagge costantemente sorvegliate da dipendenti delle imprese concessionarie.

E’ opportuno pertanto che lo Stato Italiano riconosca ai servizi offerti dalle imprese balneari italiane le caratteristiche di «servizi d’interesse economico generale», ai sensi dell’articolo 14 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), in quanto assicurano un «accesso efficiente ed equo di tutte le persone a servizi di alta qualità in grado di rispondere alle loro esigenze». Si tratta di servizi i cui caratteri sono «il servizio universale, la continuità, la qualità del servizio, l’accessibilità delle tariffe, la tutela degli utenti e dei consumatori».
Il servizio universale assicura «che taluni servizi siano messi a disposizione di tutti gli utenti e consumatori finali al livello qualitativo stabilito, a prescindere dall’ubicazione geografica dei medesimi e, tenuto conto delle specifiche circostanze nazionali, ad un prezzo accessibile»; continuità significa che «il prestatore del servizio è tenuto a garantire la fornitura del servizio senza interruzione»; la qualità del servizio implica «la definizione, il monitoraggio e l’applicazione di requisiti di qualità da parte delle autorità pubbliche»; l’accessibilità delle tariffe «impone che un servizio di interesse economico generale sia offerto ad un prezzo abbordabile per renderlo accessibile a tutti»; la tutela degli utenti e dei consumatori si esprime nei caratteri sopra menzionati (il virgolettato riporta passi del Libro verde sui servizi di interesse generale).


2) In secondo luogo non esistono le condizioni di “scarsità delle risorse naturali” previste dall’articolo 12, comma 1 della direttiva servizi in esame.
Attualmente infatti solo il 20% circa, delle coste Italiane disponibili alla balneazione è occupato dai concessionari.

Si invita il Governo a consentire l’apertura di nuovi stabilimenti balneari mediante procedura ad evidenza pubblica, nel rispetto dei piani regolatori delle amministrazioni garantendo così il diritto di concorrenza e di libero stabilimento.


In merito alle concessioni attualmente esistenti e da rilasciare, di là della Deroga si, Deroga no, resta comunque ferma la necessità di dettare un quadro normativo di riordino e coerente della materia legislativa, avente ad oggetto le concessioni demaniali, normativa saccheggiata dalla Direttiva Servizi (c.d Bolkestein) e dai vari provvedimenti statali di attuazione.  Il sistema normativo che per anni ha regolamentato la gestione delle spiagge Italiane, è stato infatti smantellato.

Ed ecco che entrano in gioco i criteri della legge delega contenuti nell’articolo 11 della Legge comunitaria 2010.
Il governo ha avuto, infatti, mandato di redigere un decreto legislativo sulle concessioni demaniali marittime che tenga conto dei principi e criteri direttivi dettati dalla Legge comunitaria medesima.

Il complesso normativo nuovo si auspica sia coerente con quello passato anche se innovativo.
Si auspica altresì che vengano esaltate la peculiarità delle attività imprenditoriali esistenti, che usano il demanio marittimo non per interessi individuali, ma per soddisfare interessi pubblici  e che sono volte a soddisfare l’esigenza di tutela del bene pubblico in genere e degli utenti in particolare, che hanno diritto a usufruire dei servizi di spiaggia in modo accessibile e non discriminatorio.

Il governo Italiano ai sensi dell’art 11 comma due della legge comunitaria 2012, dovrà tenere conto nel decreto legge di riordino della materia del demanio marittimo dei seguenti criteri:

“a) stabilire limiti minimi e massimi di durata delle concessioni, entro i quali le regioni fissano la durata delle stesse in modo da assicurare un uso rispondente all’interesse pubblico nonché proporzionato all’entità degli investimenti;
b) prevedere criteri e modalità di affidamento nel rispetto dei princıpi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti;
c) individuare modalita` per la riscossione e per la suddivisione dei proventi derivanti dai canoni tra comuni, province e regioni;
d) fermo restando, in assoluto, il diritto libero e gratuito di accesso e di fruizione della battigia, anche ai fini di balneazione, disciplinare le ipotesi di costituzione del titolo di uso o di utilizzo delle aree del demanio marittimo;
e) individuare i casi in cui le concessioni nuove, decadute o revocate sono assegnate nell’ambito dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni;
f) prevedere criteri per l’equo indennizzo del concessionario nei casi di revoca della concessione demaniale, nei casi previsti dall’articolo 42 del codice della navigazione;
g) stabilire criteri per l’eventuale dichiarazione di decadenza delle concessioni, nonchè criteri e modalità  per il subingresso in caso di vendita o di affitto delle aziende.
4. Dall’attuazione del decreto legislativo di cui al comma 2 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. “



A tal fine si rileva:


DIRITTO DI PREFERENZA:

- Non è sostituendo al vecchio concessionario un nuovo concessionario con procedura di evidenza pubblica che si garantisce la concorrenza.

Si invita lo Stato Italiano a tenere conto che il sistema normativo pregresso, ha fatto si che gli attuali concessionari abbiano svolto nel tempo, attività spettanti in linea di principio alle autorità pubbliche e che sono state demandate loro in via sussidiaria ai sensi dell’art. 118, 4° comma della Costituzione italiana.

Nel concedere le spiagge e gli arenili per un uso turistico/balneare ai concessionari sono stati attribuiti le seguenti attività di interesse generale:
- la salvaguardia della pubblica incolumità, a cui essi provvedono assicurando il servizio di salvataggio e la costante segnalazione delle condizioni meteo-marine;
- la tutela e il monitoraggio dell’ambiente costiero;
- la cura dell’igiene e della sanità pubblica, alle cure salsoiodiche e di elioterapia.
 Si è realizzata nel tempo quindi tra la pubblica amministrazione e i concessionari un rapporto improntato alla massima collaborazione e fiducia, che ha consentito a quest’ultimi la tutela di interessi generali.
In considerazione di ciò si ritiene che il principio di selezione per evidenzia pubblica, contenuto all’art. 12, 1° paragrafo della Direttiva Servizi, non possa e non debba essere applicato alla materia delle concessioni demaniali marittime.

Inoltre, il paragrafo 3 dell’art 12 della Direttiva Servizi consente agli Stati membri “di tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario.” 

Pertanto si auspica che le concessioni demaniali già esistenti non vengano messe all’asta pubblica. Detta procedura di evidenza pubblica, potrà essere seguita solo per le nuove concessioni demaniali.
Si invita così il governo a rispettare la libera concorrenza e il principio del libero stabilimento ampliando il numero delle concessioni demaniali attualmente esistenti in Italia e lasciando le concessioni in vigore in capo ai loro titolari. Il rapporto di fiducia e lealtà che ha legato e che lega tali concessionari con lo Stato Italiano è tale da non poter ammettere uno spossessamento del bene aziendale così dannoso per le imprese balneari.

Si chiede allo Stato Italiano di assumersi la propria responsabilità di fronte a realtà imprenditoriali che il medesimo Stato ha permesso di svilupparsi, in forza di una legislazione favorevole al rinnovo delle concessioni balneari, ed adesso non può avvallare un tale danno ingiusto.
Si pretende in tal senso coerenza alle normative che lo Stato Italiano sta per emettere nella regolamentazione della piccola impresa balneare.

Si propone al governo:

a)            di riconoscere ai concessionari attuali il diritto di superficie sul terreno demaniale ove insistano i manufatti stabili, le pertinenze fisse ed amovibili.

Il procedimento di sdemanializzazione, realizzato attraverso il riconoscimento del diritto di superficie, trasformabile in diritto di proprietà, porterebbe al rilancio dell’economia turistica balneare italiana.
Il diritto di superficie, di durata pari a 99 anni dovrebbe essere in seguito trasformabile in diritto di proprietà sul terreno demaniale con espressa previsione del diritto di prelazione in capo al suo titolare. La spiaggia definita come l’area destinata alla sola posa ombrelloni dovrà essere riconosciuta come pertinenza diretta del bene in diritto di superficie, mediante concessione demaniale in uso al titolare del diritto de quo.

In alternativa

b) di confermare le imprese balneari attualmente concessionarie di pezzi di spiaggia quali nuovi concessionari.
I rapporti concessionari in atto infatti, hanno dato prova di soddisfare le  esigenze pubbliche imperative di tutela della spiaggia e di servizio pubblico. Nel caso in cui un rapporto concessorio non sia più conforme al pubblico interesse, l'amministrazione avrà sempre il potere di revocare o dichiarare la decadenza del titolo legittimante all’uso del demanio marittimo.
Inoltre si pone luce altresì in merito alla previsione di un “diritto di preferenza” come tale principio di diritto sia espresso in materia di locazione commerciale stagionale dall’articolo 27 comma 6, il quale dispone che“se la locazione commerciale ha carattere stagionale il locatore è obbligato a locare l’immobile, per la medesima stagione dell’anno successivo allo stesso conduttore che gliene a fatto richiesta......L’obbligo del locatore ha la durata massima di sei anni consecutivi o di nove se si tratta di utilizzazione alberghiera.”
Detto principio espresso in materia di ordinamento civile è ampiamente spendibile anche in materia di concessioni demaniali in quanto garantisce e tutela l’attività commerciale ivi esercitata.

- Durata delle concessioni riconfermate:

Si ritiene, possibile e lecito, anche in applicazione della Direttiva Servizi, chiedere concessioni con durata illimitata non essendovi, come in precedenza sottolineato, alcuna scarsità delle risorse naturali, ripristinando così la procedura di rinnovo automatico sopra auspicata, perché, come dice il “Manuale per l’attuazione della direttiva servizi”:“Un’autorizzazione limitata nel tempo ostacola l’esercizio delle attività di servizi, in quanto può impedire al prestatore di servizi di sviluppare una strategia di lungo termine, anche in relazione agli investimenti, e introduce, in generale, un elemento di incertezza per le imprese. Una volta che il prestatore di servizi abbia dimostrato di soddisfare i requisiti relativi alla prestazione di servizi, normalmente non vi è alcuna necessità di limitare la durata delle autorizzazioni. Sulla scorta di tali considerazioni, l’articolo 11 (della Direttiva, n.d.r.) dispone che l’autorizzazione debba essere rilasciata, di regola, per una durata illimitata.”

In alternativa alla durata illimitata si potrebbe valutare una durata minima trentennale o maggiore o minore ma che possa comunque garantire continuità all’attività balneare e l’ammortamento degli investimenti effettuati.
La continuità nella attività balneare è garantita solo da una lunga durata delle concessioni, in perfetta corrispondenza con l’interesse pubblico degli utenti e con la tutela della piccola impresa.

- Rinnovo delle concessioni demaniali:

Si invita il governo a valutare la possibilità di reintrodurre il rinnovo delle concessioni in scadenza.
Tale “diritto al rinnovo” ritenuto anticoncorrenziale dall’Europa, rappresenta invero un principio consolidato nel nostro ordinamento civile nella normativa relativa ai contratti di locazione ad uso commerciale.
In particolare si da atto come ai sensi della Legge 392/1978 articolo 28, la previsione del rinnovo della durata del contratto di locazione commerciale posto in essere sia automatica.

 EQUO INDENNIZZO:

Nel caso di mancato rinnovo delle concessioni in essere o nel caso in cui concessionario uscente che abbia partecipato alla procedura e sia risultato perdente, avrà diritto ad un equo indennizzo.
Si deve riconoscere al concessionario uscente il valore commerciale della propria azienda, affinché siano adeguatamente valorizzati gli investimenti da lui effettuati e il lavoro prestato nel corso della durata della concessione.
A tal fine si ritiene che in sede di procedura di evidenza pubblica il valore commerciale  dovrà essere determinato in base ad una perizia asseverata, tenendo conto dell’ intera struttura dello stabilimento balneare, comprensiva di tutti beni mobili ed immobili, materiali ed immateriali tra cui l’avviamento commerciale e che il bando della procedura specifichi espressamente che il valore indicato in tale perizia sia corrisposto in modo automatico al momento dell’assegnazione della concessione dal subentrante, che contestualmente acquisirà l’azienda del precedente concessionario.

RESPONSABILITA’ SOLIDALE NEI RAPPORTI OBBLIGATORI PENDENTI

Nel caso di mancata conferma della concessione agli attuali titolari, o di successiva aggiudicazione di un terzo della concessione all’asta, si configurerebbe nel subentro dell’aggiudicatario vincitore dell’asta, una cessione di azienda.
L’art. 2560 c.c. esplicitamente prende in considerazione la sola responsabilità dell’acquirente nei confronti dell’alienante e dei terzi,  configurando una responsabilità solidale esterna.
Nei rapporti interni cosa succederebbe?  Il concessionario estromesso costretto a pagare  ha diritto di regresso nei confronti dell’acquirente o viceversa? Si ha trasferimento nei rapporti interni dei debiti dall’alienante all’acquirente?

Si rileva infatti come nei rapporti contrattuali del libero commercio tra privati, la norma dell’art. 2560 c.c. è ritenuta inderogabile dalle parti nei limiti della responsabilità nei rapporti esterni dei debiti. In tal senso le parti, alienante ed acquirente, non possono escludere la responsabilità solidale dell’acquirente con l’alienante nei confronti dei terzi, ma possono certamente liberamente regolare la sorte dei debiti nei loro rapporti interni per esempio attraverso un accollo interno.

Chiediamo al Governo di porre attenzione a tale aspetto al fine di regolamentare trasferimento dei debiti anche nei rapporti interni.

Subingresso ed affidamento ad altri delle attività oggetto della concessione

Il concessionario, nei limiti di durata della propria concessione, potrà, previa semplice comunicazione all’Autorità competente, sostituire altri soggetti nel godimento della stessa ovvero affidare ad essi le attività oggetto della concessione, purché i subentranti abbiano gli stessi requisiti richiesti per i concessionari. In ogni caso la procedura di evidenza pubblica si applica solo al termine della durata della concessione ed in sede di rinnovo.


CONCLUDENDO:


Lo Stato Italiano deve, ad avviso di chi scrive, tenere nella dovuta considerazione il ragionevole affidamento ingenerato dalle sue leggi ( Decreto legge 400/1993, L.88/2001, art 37 codice della navigazione), le quali hanno negli anni garantito all’impresa balneare italiana la conservazione della posizione giuridica di vantaggio che gli è stata attribuita.

Con la presente relazione s’intende in particolar modo mettere in luce come il mancato ottemperamento, da parte del Governo Italiano, a tale legittimo affidamento possa essere causa sicuramente di “maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”
Non pochi, infatti, potranno essere i Giudizi introdotti innanzi ai nostri Tribunali per impugnare le inammissibili procedure d’asta sulle concessioni già esistenti ed in corso di scadenza.



Avv. Chiara Consani

martedì 20 marzo 2012

NUOVE NORME PER IL CAMBIO NOME E COGNOME


A fine febbraio è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il Decreto Presidenziale approvato nel consiglio dei Ministri del 12/02/2012 che delega ai Prefetti la decisione in merito alle richieste di cambio nome e cognome estendendone altresì la casistica.

I cambiamenti riguardano in particolare il cambio di cognome. Tra le tipologie previste quelle più ricorrenti sono:

1. Chiunque potrà chiedere di aggiungere il cognome materno a quello paterno. Il numero di questo tipo di domande è in costante aumento (oltre 400 all’anno).

2. Le donne divorziate o vedove potranno aggiungere il cognome del nuovo marito ai propri figli.

3. Infine, per coloro che hanno ricevuto la cittadinanza italiana sarà possibile mantenere il cognome con il quale erano identificato all’estero.


Tali novità entreranno in vigore solo una volta decorsi 60 giorni dalla pubblicazione del Decreto nella Gazzetta ufficiale.

Si riporta il testo come modificato dal Governo Monti:

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA RECANTE MODIFICA DELLE DISPOSIZIONI DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 3 NOVEMBRE 2000, N. 396, IN MATERIA DI STATO CIVILE RELATIVAMENTE ALLA DISCIPLINA DEL TITOLO X, DEI CAMBIAMENTI E DELLE MODIFICAZIONI DEL NOME E DEL COGNOME.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l’articolo 87, quinto comma,

della Costituzione;

Visto l’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396;
Ravvisata l’esigenza di apportare modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, per adeguarne la disciplina a criteri di semplificazione e snellimento;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del …;

Sentito il parere della Conferenza Stato - città ed autonomie locali ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, reso nella seduta del …;

Consultato il Garante per la protezione dei dati personali;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del …;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del …;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro dell’interno e del Ministro della giustizia;

Emana

il seguente regolamento:

ART. 1

(Oggetto)

1. Il presente regolamento introduce modifiche ed abrogazioni al Titolo X del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, recante regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127.

ART. 2

(Cambiamenti del nome o del cognome)

1. All’articolo 89 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, il comma 1 è sostituito dal seguente: “1. Salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l’istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta.”.

ART. 3

(Eventuale notifica del contenuto della domanda di modificazione del nome o del cognome)

1. All’articolo 90 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: “ 1-bis. Il decreto di autorizzazione della pubblicazione può stabilire che il richiedente notifichi a determinate persone il sunto della domanda.”

ART. 4

(Opposizione)

1. L’articolo 91 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, è sostituito dal seguente: "ART. 91 1. Chiunque ne abbia interesse può fare opposizione alla domanda entro il termine di trenta giorni dalla data dell’ultima affissione ovvero dalla data dell’ultima notificazione alle persone interessate, effettuata ai sensi dell’articolo 90. L’opposizione si propone con atto notificato al prefetto.”.

ART. 5

(Decreto di concessione del prefetto)

1. L’articolo 92 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, è sostituito dal seguente: "ART. 92 1. Trascorso il termine di cui all’articolo 91, il richiedente presenta al prefetto un esemplare dell’avviso con la relazione attestante l’eseguita affissione e la sua durata nonché la documentazione comprovante le avvenute notificazioni, ove prescritte. 2. Il prefetto, accertata la regolarità delle affissioni e delle notificazioni e vagliate le eventuali opposizioni, provvede sulla domanda con decreto, che deve essere notificato, a cura del richiedente, agli opponenti. 3. Il decreto di concessione, nei casi in cui vi è stata opposizione, deve essere notificato, a cura del richiedente, agli opponenti.”.

ART. 6

(Norme abrogate)

1. Dall’entrata in vigore del presente regolamento sono abrogati gli articoli 84, 85, 86, 87 e 88 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.

ART. 7

(Clausola di invarianza della spesa)

1. Dall’attuazione del presente regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

ART. 8

(Entrata in vigore)

1. Il presente regolamento entra in vigore sessanta giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque di osservarlo e di farlo osservare.


Se vuoi avere una consulenza in merito al cambio nome o cognome non esitare a contattare il nostro studio legale: chiara.consani@virgilio.it


lunedì 19 marzo 2012

IVA SUI RIFIUTI


La Cassazione n 3756/2012 ha nuovamente riconosciuto l’illegittimità dell’Iva.

La Corte di Cassazione, sopra citata, ribadisce nuovamente che la tassa sui rifiuti sia essa “non è assoggettabile all’ IVA del 10% in quanto costituisce un entrata tributaria e non un corrispettivo per il servizio reso”.

Già con la Sentenza n 238/09, la Cassazione aveva dichiarato che la T.I.A. (Tariffa di Igiene Ambientale), introdotta dal decreto Ronchi, essendo una tassa e non una tariffa, non doveva essere soggetta all’Iva in quanto sarebbe stato come pagare una tassa sulla tassa.

Ma la disposizione interpretativa nell’articolo 14, comma 33 del decreto legge 78/2010, da parte del Governo di allora, rimise tutto in gioco facendo sì che la Sentenza della Cassazione del 2009 restasse una voce inascoltata. Come se la Corte non valesse nulla. Il Governo, dal canto suo, con la circolare la n. 3 del 2010 esplicitò la continuità tra Tia1 e Tia2 come una normale entrata di servizio e quindi soggetta a Iva.

Vari consumatori si sono rivolti ai Giudici di pace ed alle Commissioni tributarie chiedendo sia di non applicare l’Iva per il futuro, sia il rimborso di quella versata.

Le associazioni in rappresentanza dei consumatori hanno richiesto all’attuale governo Monti in carica, un intervento politico che, nel chiarire una volta per tutte, la normativa, eviti la valanga di ricorsi che i cittadini sarebbero costretti a depositare presso il Giudice di Pace per ottenere il giusto rimborso, sostenendo spese e intasandone l’Ufficio, fino a bloccarne il funzionamento.

Il  rimborso,  come  sancito dalla Corte Cassazione, dovrà essere erogato,  entro  60  giorni  dal  ricevimento  della  istanza,  in  un’unica  soluzione  dal  gestore  del  servizio  pubblico  che  ha  applicato  la  tariffa  e  addebitato  l’Iva oppure  dal  Comune,  nel  solo  caso  in  cui  la  tariffa  sia  stata  applicata  da  quest’ultimo.

Ci auguriamo che il Governo alla stregua della sentenza della Corte di Cassazione citata, chiuda per sempre  la  questione  relativa  all’applicazione  dell’Iva  sulla  Tia.  Anche  perché    le  Tariffe  (tributi  in  realtà)    saranno  destinate  alla  sostituzione  con  la R.E.S.  (Tributo  comunale  rifiuti  e  servizi)  che  verrà  introdotta  a  partire  dal  1.1.2013   (art. 14   – DL 201/2011) il decreto recante Disposizioni urgenti per  la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici.

Per chiedere il rimborso Iva è necessario avere tutte le fatture pagate relative alla Tariffa di Igiene Ambientale.
Qualora il rimborso venisse negato, si potrà agire in giudizio.

Si deve, poi, chiedere alla società che gestisce il servizio dei rifiuti, la sospensione dell’applicazione Iva. Nel caso in cui nella fattura emessa fosse ancora calcolata l'IVA, al momento del pagamento della Tia,  consiglio,  di inviare una lettera alla società competente nella quale dare atto che si è provveduto a pagare regolarmente la tassa stessa con lo scorporo dell'IVA posta la sua illegittimità.
In tal modo si evita almeno per il futuro lunghe attese per il rimborso.

Per ogni consulenza in materia scrivete al nostro studio legale chiara.consani@virgilio.it

martedì 6 marzo 2012

LE UNIONI OMOSESSUALI IN ITALIA SOLUZIONI IN ATTESA DI UNA NORMATIVA AD HOC:


Manca in Italia una normativa che riconosca alle coppie omosessuali la facoltà di unirsi in matrimonio civile.

LA LEGISLAZIONE ITALIANA:

L’art 29 della Costituzione prevede il riconoscimento dei “diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

L’art 30 della Costituzione tutela i diritti dei figli nati all’interno o fuori dal matrimonio.

Dal combinato disposto degli artt. 29 e 30 cost. emerge con chiarezza che l’attenzione del Costituente è volta ad una formazione familiare esclusivamente eterosessuale capace (almeno in astratto) di procreare.

Il requisito della “naturalità” osta alla possibilità di celebrare il matrimonio tra persone del medesimo sesso, evidenziandosi tale assunto anche dall’art. 3 comma 3 lettera g) della legge n.898/1970 (c.d. “legge sul divorzio”), per cui la rettificazione dell’attribuzione di sesso determina l’immediato scioglimento del matrimonio.

In conclusione, non ricorrendo le peculiarità del fenomeno «famiglia» cosí come considerato nella Costituzione, è da escludere – allo stato attuale della normativa – che le unioni tra persone dello stesso sesso possano trovare una qualche rilevanza propriamente «familiare» nel contesto costituzionale, con la possibilità, in prospettiva de iure condendo, di acquisire una tutela analoga a quella prevista per la famiglia legittima od anche a quella che si potrebbe prospettare per la famiglia di fatto o convivenza more uxorio nei termini e con i limiti dettati dalla considerazione preferenziale espressa dal Costituente per la comunità familiare fondata sul matrimonio di cui all’art. 29, comma 1, cost.

In tal senso sulla base di tale legislativa nazionale l’unione matrimoniale tra persone del medesimo sesso non sarebbe solo invalida, bensì giuridicamente e legalmente inesistente


LA LEGISLAZIONE EUROPEA:

In Europa, il matrimonio omosessuale è previsto e giuridicamente disciplinato in Olanda (dall’anno 2001), Belgio (dall’anno 2003), Spagna e Regno Unito (dall’anno 2005).

Nel contesto europeo, occorre distinguere gli ordinamenti giuridici:
-       che ammettono in toto il matrimonio omosessuale, quindi facendone discendere in capo ai coniugi tutti gli obblighi relativi;
In tal caso l’unione omosessuale viene del tutto parificata al matrimonio e quindi ciascun soggetto acquisisce lo status coniugale, perdendo di conseguenza lo stato libero;

-       che ammettono esclusivamente le unioni civili costituenti istituti giuridici differenti dal matrimonio vero e proprio venendo attribuita rilevanza giuridica alla convivenza “di fatto”, more uxorio;

LA VALIDITA’ DEL MATRIMONIO OMOSESSUALE CONTRATTO ALL’ESTERNO TRA CITTADINI ITALIANI:

Poiché in un numero crescente di paesi il matrimonio ha visto l’abbandono del requisito della diversità di sesso fra i coniugi spesso le coppie tra persone dello stesso sesso guardano all’estero per contrarre matrimonio.

In tal senso è necessario verificare se un matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso e cittadine italiane sia o meno riconosciuto in Italia.

L’art. 27, l. n. 218/1995, rinvia alla legge nazionale di ciascun nubendo per la sussistenza dei requisiti della capacità matrimoniale e per le altre condizioni per contrarre matrimonio.

L’art. 115 c.c. stabilisce che al cittadino italiano che contragga matrimonio all’estero si applicano le disposizioni contenute nella sezione I del capo III del c.c. in tema di condizioni necessarie per contrarre matrimonio.

Ancorché la diversità di sesso non sia espressamente contemplata dalla norme menzionate, si sostiene comunemente l’invalidità del matrimonio contratto all’estero con persona dello stesso sesso per mancanza, nel cittadino italiano, di uno dei requisiti sostanziali.

Poiché, dunque, la diversità di sesso assurge ad elemento essenziale della fattispecie «matrimonio», è legittimo il rifiuto dell’ufficiale di stato civile «per l’assenza dei requisiti minimi essenziali che consenta di inquadrare la fattispecie in esame nella stessa previsione legale “matrimonio”, presupposto questo indefettibile per la trascrizione». Emerge pertanto che la trascrizione del matrimonio contratto all’estero fra persone dello stesso sesso, entrambe cittadine italiane, non è ammissibile perché detto vincolo sarebbe inesistente secondo il punto di vista del foro italiano.


UNIONI TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO E COMUNIONE DI VITA:

Le unioni omosessuali rappresentano una comunione di vita e di affetti, pur sempre prive della capacità di riprodursi.

Pur non avendo queste unioni, a livello costituzionale, rilevanza propriamente «familiare» con le conseguenze anzidette, tuttavia non può revocarsi in dubbio che esse costituiscono espressione dell’esercizio di un diritto inviolabile della persona quale è il diritto di libertà sessuale.

In tal senso nella attuale mancanza di una normativa ad hoc che tuteli le unioni fra persone dello stesso sesso, è possibile mediante un contratto di convivenza, avente mera efficacia fra le parti, disciplinare i rispettivi rapporti in particolar modo quelli patrimoniali attraverso una regolamentazione ad hoc. Prevedendo ad esempio: la sorte dei beni mobili e degli arredi della casa in caso di separazione. Obbligandosi una parte a corrispondere all’altra, somme a titolo di mantenimento, sempre per il caso della separazione.


L’OPPORTUNITA’ DI FARE TESTAMENTO SE SI INTENDE LASCIARE DEI BENI AL PROPRIO COMPAGNO/A DI VITA:

L’assenza di una norma che riconosca valore giuridico alle unioni omosessuali incide notevolmente anche in merito ai diritti successori.
Mentre il coniuge in forza del matrimonio acquista la qualità di legittimario, il compagno/a di una coppia omosessuale non ha alcun titolo per vantare dei diritti di riserva sulla successione del compagno/a.
Per tale ragione è opportuno, se la volontà è quella di tutelare economicamente il compagno nel caso di morte, procedere alla stesura, nelle forme di legge, di un testamento con il quale lasciare la disponibile al compagno/a.
Nulla toglie che con tale testamento si possa disporre in favore del compagno/a dell’intera eredità fermo restando il rischio dell’azione di riduzione di eventuali legittimari (i genitori) pretermessi o lesi.

Questo studio è a vostra completa disposizione per ogni consulenza in merito alla redazione di un contratto di convivenza ad hoc e per rendervi consulenza testamentaria. Non esitare a contattarmi via mail chiara.consani@virgilio.it  

martedì 17 gennaio 2012

DISASTRO COSTA CROCIERE COME AGIRE PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO

Lo studio legale Consani è vicino alle vittime del disastroso incidente della nave Costa Crociere ed esprime solidarietà ai feriti e cordoglio ai familiari delle vittime della terribile sciagura del mare che ha coinvolto i passeggeri ed i marittimi della Costa Concordia.

La strage ed il disastro causato dalla nave Costa Concordia, non può lasciarci indifferenti.

Con il presente Post si intende mettere a disposizione gratuita dei passeggeri e dei familiari delle vittime la nostra esperienza legale così da sapere come agire tempestivamente per ottenere il risarcimento dovuto.

E’ importante che tutti sappiano che i passeggeri hanno diritto al risarcimento dei danni alla salute (morte o lesioni), dei danni ai bagagli ed alle cose trasportate, degli altri danni patrimoniali (ad esempio, il costo della crociera, le spese a terra dopo il naufragio etc.), dei danni da vacanza rovinata, dei danni morali (qualora siano accertate responsabilità penali, quali disastro o lesioni colpose).

I passeggeri devono provare l'entità del danno, in particolare alla persona ed alle cose. In tal senso è necessario raccogliere tutta la documentazione possibile relativa alle eventuali lesioni subite (certificati medici) ed ai beni persi o danneggiati (scontrini fiscali, fotografie, testimonianze). Dovranno inoltre rivolgersi al tour operator che ha organizzato per loro la sfortunata crociera al fine di recuperare i documenti relativi al contratto di viaggio.

Quanto alla forma della richiesta del risarcimento, la legge prevede l’invio entro il termine di 10 giorni di una raccomandata AR con la richiesta di risarcimento dei danni, allegando tutta la documentazione disponibile, riservandosi la produzione di quella mancante e la quantificazione definitiva del danno.

Non deve essere sottovalutato neppure il ricorso all’azione penale, da promuovere con denuncia nei confronti della società proprietaria della nave, per omicidio colposo e mancata osservanza delle norme sulla sicurezza, oltre ad eventuali altri reati che fossero rilevati e rilevabili nel corso del’inchiesta.

Merita inoltre porre l’attenzione sulle ventilate “Class Action” che le varie associazioni di tutela dei consumatori propongono e reclamizzano, a mio parere anche in palese violazione sulle norme deontologiche e professionali a noi imposte, in quanto le ragioni di danno dei singoli passeggeri potrebbero differenziarsi l’uno dall’altro e non è detto che una azione comune porti sempre ad un risarcimento più vantaggioso. Il singolo denunciante potrebbe ottenere di più, specialmente in sede penale, non piegandosi alla volontà della maggioranza che potrebbe contrastare con le sue personali aspettative.

Per qualsiasi chiarimento non esitate a contattare il nostro studio anche via e-mail al seguente indirizzo di posta elettronica: chiara.consani@virgilio.it
Garantiamo assistenza legale anche per i cittadini stranieri, lo studio legale offre consulenza in lingua inglese e spagnola.


martedì 3 gennaio 2012

LA NATURA DELLA RESPONSABILITA’ DEL FALSUS PROCURATOR


L'art. 1398 c.c. contempla la figura del falsus procurator, cioè di colui che contratta come rappresentante senza averne i poteri.
“Colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto”.
Si parla in tal caso di rappresentante senza potere perché la caratteristica tipica della rappresentanza, cioè la produzione diretta degli effetti nella sfera giuridica del rappresentato, presuppone la legittimazione del rappresentante ad agire in nome del dominus.
Per aversi rappresentanza senza potere è sempre necessaria la spendita del nome altrui da parte dell’agente (Cass. civ. n. 78/1993).
La ratio della responsabilità che sorge a carico del falsus procurator  nei confronti del terzo incolpevole va ricercata nell’esigenza di garantire uno svolgimento pacifico e lineare delle contrattazioni,  improntate ai principi di correttezza e diligenza di ambo le parti nello  svolgimento delle trattative negoziali.
Il rappresentante senza potere è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per aver confidato nella validità del contratto e che tale responsabilità postula la conclusione di un contratto idoneo a produrre effetti in capo al rappresentato in seguito alla ratifica del medesimo (Cass. civ. n. 8831/1990).
Si tratta, secondo attenta dottrina, di una tipica ipotesi di culpa in contraendo (Cass. civ. n. 10882/2006) che consente la risarcibilità del solo interesse negativo, cioè dei danni costituiti dalle spese sostenute, dalle occasioni perdute e dall’attività impiegata nelle trattative. Presupposti di tale responsabilità, considerata extra contrattuale (Cass. civ. n. 12969/2000), sono che il falsus procurator abbia stipulato un contratto con il terzo senza aver comunicato l’inesistenza della legittimazione ad agire in nome e per conto del rappresentato. Perché sussita il risarcimento dell’interesse negativo occorre altresì che il terzo contraente non abbia confidato per sua colpa nella validità del contratto stipulato con il falsus procurator.
Circa la natura del negozio concluso dal rappresentate senza potere  la tesi preferibile ritiene che esso sia meramente inefficace nei confronti del soggetto falsamente rappresentato. Non potrebbe infatti dirsi nullo poiché appunto idoneo ad essere ratificato (mentre la nullità non è suscettibile di essere sanata), neppure annullabile, perché comunque privo di efficacia interinale sia tra rappresentato e terzo, sia tra rappresentante e terzo (Cass. Civ., 1929/93; Cass. Civ., 2802/95; Cass. Civ., Sez. II, 21441/10).

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La Corte di Appello di Firenze, Sezione II Civile sentenza n. 1689 dell’anno 2011 nuovamente torna a parlare di responsabilità del falsus procurator adeguandosi al sentito della giurisprudenza di Cassazione la quale qualifica la responsabilità ex art 1398 c.c. come responsabilità precontrattuale e prevedendo la risarcibilità dell’interesse negativo nel solo caso in cui il contraente abbia confidato senza sua colpa nella validità del negozio concluso con il rappresentate non legittimato.

La Vicenda Giudiziaria:

Si tratta di una vicenda nata in merito alla inefficacia di un negozio di transazione ed alla conseguente richiesta di risarcimento dei danni, tra la allora titolare della concessione del noto parco giochi Pitagora, presso Lido di Camaiore, e due degli allora assessori comunali.
La titolare della concessione ed i due assessori, in nome e per conto del Comune, mediante transazione si erano accordati ed avevano fissato la data di scadenza della concessione del Parco Pitagora, prevedendo altresì che il Comune avrebbe ottemperato al pagamento del valore delle attrezzature installate nel parco dalla stessa concessionaria.
Era accaduto però che Comune avesse rifiutato di provvedere al pagamento di tali attrezzature adducendo che la transazione non aveva alcun effetto vincolante per il Comune stesso, non essendo stato proceduto da alcuna deliberazione della Giunta Municipale né ratificato successivamente dal Sindaco.
La ex concessionaria citava allora in giudizio il Comune, ed Tribunale di Lucca con sentenza 649/94 rigettava la domanda, statuendo che “la transazione stipulata tra xxx ed il Comune di Camaiore non poteva essere ritenuta vincolante, essendo venuto meno un regolare iter amministrativo sfociante in una delibera della Giunta Comunale con la firma del Sindaco” precisando altresì “resta salva l’azione di risarcimento nei confronti dei due assessori firmatari della transazione a azione possibile di arricchimento senza causa del Comune”.

Giudizio di Primo Grado
La ex titolare della concessione del Parco Pitagora chiamava allora in giudizio i due assessori i quali, nello stipulare l’atto assicurando di disporre dei relativi poteri, avevano creato nell’attrice un legittimo affidamento che la aveva indotta a sottoscrivere la convenzione e ad eseguire gli impegni con essa assunti – perché fossero ritenuti personalmente responsabili e condannati a pagare la somma di  lire 163.861.000, indicata nella transazione ed a risarcire gli ulteriori danni subiti.
I convenuti assessori si costituivano in giudizio, separatamente, uno per mezzo dell’avv. Consani e l’altro per mezzo dell’avv. xxxx, contestando la domanda di parte attrice e chiedendone il rigetto.
All’esito della istruttoria il giudizio di primo grado si conclude con la condanna degli assessori. il Tribunale di Lucca, infatti, osservato che la fattispecie non poteva che essere ricondotta all’ipotesi del “falsus procurator”, avendo gli stessi convenuti riconosciuto di avere agito senza averne i poteri, riteneva che la loro difesa, secondo cui la concessionaria era perfettamente consapevole del fatto che la transazione necessitasse di una ratifica, fosse priva di fondamento poiché per le circostanze di fatto in cui si era svolta l’operazione  - sede comunale, firma degli assessori, consegna del parco al Comune - era lecito aspettarsi una regolarità del procedimento, considerato anche che nella convenzione non esisteva alcuna condizione o clausola di ratifica. Giudicava pertanto i due convenuti responsabili in solido per i danni causati e li condannava al pagamento della somma di € 82.000,00, determinata equitativamente, oltre interessi dalla domanda e spese processuali.

IL GIUDIZIO DI APPELLO
Gli assessori appellanti lamentavano, in separato appello, che il primo giudice, non avesse considerato che l’atto compiuto da chi oltrepassa il potere rappresentativo o ne è sprovvisto, è inefficace e perciò i convenuti non potevano essere condannati al risarcimento di un danno in relazione agli effetti del contratto non concluso, ma semmai ai danni per responsabilità precontrattuale nei limiti dello stretto interesse negativo, ossia delle spese inutilmente sostenute e della eventuale perdita di ulteriori occasioni di contratti più vantaggiosi.
La Corte di Appello esaminando la domanda con riferimento all’azione di responsabilità ex art. 1398 c.c. - come prospettata da parte attrice e come espressamente qualificata anche dal primo giudice nella sentenza impugnata – chiarisce che tale responsabilità si configura come responsabilità precontrattuale e presuppone che il terzo contraente abbia confidato “senza sua colpa” nella legittimazione del falso rappresentante.
Secondo un principio giurisprudenziale ampiamente consolidato (Cass. 2.3.2006, n. 4635; Cass. 6.4.2001, n. 5144; Cass. 26.6.1998, n. 6337) e ulteriormente ribadito anche in epoca recente (Cass. 8.7.2010, n. 16149) non può configurarsi responsabilità per culpa in contraendo allorché la causa di invalidità del negozio derivi da una norma di legge che, per presunzione assoluta, è nota alla generalità dei consociati.
Tale situazione ricorreva emblematicamente nel caso in esame in relazione alle norme di legge che disciplinano specificamente ed inderogabilmente l’iter di formazione della volontà contrattuale dell’ente pubblico.
Si aggiunga che, secondo quanto emerge dagli atti, nel corso della trattativa intercorsa con gli esponenti dell’amministrazione comunale e la concessionaria,  quest’ultima era assistita da un avvocato di fiducia, che era presente al momento della stipula dell’atto di transazione stesso.
La Corte di Appello di Firenze ha ritenuto pertanto, che non ricorressero nel caso in esame i presupposti della responsabilità fatta valere in giudizio dalla concessionaria nei confronti degli appellanti, non potendo affermarsi che essa abbia confidato “senza sua colpa” nella validità del contratto.
Inoltre il danno risarcibile nel caso di responsabilità ex art 1398 c.c. del falsus procurator si limita al cosiddetto "interesse negativo" e risiede nelle spese e nelle perdite strettamente dipendenti dalla conclusione del contratto inefficace e nell’ eventuale vantaggio perduto conseguibile per il tramite di contrattazioni alternative, tutte componenti di danno che non sono state provate e, prima ancora, allegate nel caso di specie. Il danno risarcibile non si estende invece ad danno emergente ed al lucro cessante derivanti dall’inadempimento del contratto e pertanto del tutto ingiustificata deve in ogni caso ritenersi la determinazione operata dal primo giudice, sostanzialmente commisurata al valore della controprestazione dedotta nell’atto di transazione a favore della concessionaria e rimasta inadempiuta.
La Corte di Appello ha così riformato in toto la sentenza di primo grado impugnata aderendo alle motivazioni in appello dell’avv. Consani e dal collega avv. xxxx, rigettando la domanda attrice, dichiarando integralmente compensate fra tutte le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.