venerdì 20 dicembre 2013

LA PROROGA FINO AL 2020



Si segnala come l’articolo 34-duodecies del D.L. n. 179/2012, novellando l’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, ha disposto la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del D.L. n. 194/2009) ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015.

Successivamente l’articolo 1, comma 547 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013) ha esteso le previsioni dell’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194/2009, come sopra modificato, alle concessioni aventi ad oggetto:

-          il demanio marittimo, per concessioni con finalità sportive;

-          il demanio lacuale e fluviale per concessioni con finalità turistico-ricreative e sportive;

-          i beni destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto.

Sulla scorta di tanto, si può affermare che le coordinate sopra esposte siano riferibili anche alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica, tali cioè da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese, fungendo da parametro di interpretazione ed, al contempo, di limitazione del disposto di cui all'art. 37 cod. nav.

Tanto più ove si consideri che, di recente, anche la giurisprudenza amministrativa di primo grado si è perfettamente allineata all'impostazione comunitaria fatta propria dal Consiglio di Stato, rilevando che “nel rispetto delle regole dettate dal Trattato e dalla giurisprudenza comunitaria le concessioni di beni pubblici possono essere assentite solo in esito ad una procedura di gara caratterizzata da idonea pubblicità preventiva; esse ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni comunitarie in relazione ai principi di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità”.

Articolo 34-duodecies
(Concessioni demaniali marittime)

L’articolo 34-duodecies, introdotto al Senato, proroga di cinque anni, dal 31 dicembre 2015 al 31 dicembre 2020, la scadenza delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.

La proroga viene concessa novellando l’art. 1, comma 18 del D.L. n. 194 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 25/2010 il quale, in attesa della revisione della legislazione nazionale in materia, ha prorogato sino al 31 dicembre 2015 le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative che erano in essere al 30 dicembre 2009 (data di entrata in vigore del decreto-legge) e la cui scadenza era fissata entro la suddetta data del 31 dicembre 2015.

L’articolo 1, comma 18, del D.L. n. 194 del 2009, stabilisce che, ferma restando la disciplina relativa all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all'articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino a tale data.

Il termine di durata delle concessioni in essere viene pertanto prorogato, dall’articolo 34-duodecies in commento, al 31 dicembre 2020.

Lo stesso articolo 18, mediante un richiamo all’articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge. n. 400 del 1993, aveva espressamente confermate le scadenze delle concessioni fissate in una data successiva al 31 dicembre 2015. Il comma 18 aveva inoltre previsto l'abrogazione del secondo periodo del secondo comma dell'articolo 37 del Codice della navigazione che dava preferenza al concessionario uscente in occasione del rinnovo delle concessioni.

Si ricorda che il codice della navigazione, all’art. 37, comma 2, stabiliva che per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative, fosse data preferenza alle richieste che comportano attrezzature non fisse, amovibili, nonché, in caso di rinnovo, fosse data preferenza, rispetto alle nuove, alle concessioni già rilasciate precedentemente.

La necessità di procedere alla revisione della normativa in materia di concessioni demaniali marittime era stata sollevata dall'apertura di una procedura di infrazione comunitaria (n. 2008/4908) nei confronti dell'Italia circa la disciplina che prevedeva il rinnovo automatico delle concessioni e la preferenza accordata al concessionario uscente.

Il legislatore italiano è dapprima intervenuto, come detto, con l’art. 1, co. 18, del D.L. 194/2009[338], abrogando il secondo comma dell'articolo 37 del Codice della navigazione, che dava preferenza al concessionario uscente in occasione del rinnovo delle concessioni. La Commissione europea, con un atto successivo (messa in mora complementare 2010/2734 del 5 maggio 2010), ha però evidenziato ulteriori profili di illegittimità della normativa italiana.

In seguito agli ulteriori rilievi, con l’art. 11 della legge n. 217/2011 (legge comunitaria 2010), è stato abrogato il co. 2 dell’art. 01 del D.L. n. 400/1993, il quale fissava in sei anni la durata delle concessioni demaniali marittime e prevedeva il loro rinnovo automatico alla scadenza per la stessa durata.

L’articolo 11 della legge comunitaria 2010 ha infine delegato il Governo ad emanare, entro il 17 aprile 2013, un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime.

In conseguenza di questi interventi legislativi, la procedura di infrazione è stata chiusa in data 27 febbraio 2012.
La disposizione andrebbe quindi valutata alla luce del contenuto dei rilievi di compatibilità con il diritto dell’Unione europea oggetto della procedura di infrazione richiamata.
Procedure di contenzioso
(a cura dell’Ufficio rapporti con l’Unione Europea)

Il 27 febbraio 2012 la Commissione europea ha archiviato la procedura di infrazione n. 2008/4908, che aveva avviato il 29 gennaio 2009, rilevando l’incompatibilità con l’ordinamento dell’UE di alcuni profili della normativa italiana riguardante le concessioni demaniali marittime.

La Commissione ha proceduto all’archiviazione ritenendo che le disposizioni di cui all’articolo 11 della legge comunitaria per il 2010 (legge 15 dicembre 2011, n. 217) rendano conforme la normativa italiana in materia a quella dell’Unione europea.

Con la lettera di messa in mora, con cui era stata avviata la procedura di infrazione, la Commissione europea contestava la compatibilità con l’ordinamento dell’UE dell’art. 37, comma 2, del codice della navigazione, e dell’art. 9, comma 4, della legge regionale Friuli Venezia Giulia 13 novembre 2006, n. 22, che, prevedendo una preferenza per il concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo, risultavano a suo avviso discriminatorie per le imprese provenienti da altri Stati membri.

Facendo seguito all’avvio della procedura di infrazione, il 21 gennaio 2010 il Governo italiano aveva notificato alla Commissione il decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 (convertito in legge 26 febbraio 2010, n. 25), volto ad adeguare le disposizioni del Codice della navigazione oggetto di rilievi, eliminando, in particolare, la preferenza in favore del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione delle concessioni.

Dopo aver esaminato tali disposizioni, la Commissione tuttavia aveva tenuto ferma la procedura di infrazione formulando ulteriori contestazioni all’Italia.
In particolare, la Commissione aveva rilevato alcune discrepanze tra il testo originario del decreto-legge n. 194/2009 e quello della relativa legge di conversione la quale, in particolare, all’articolo 1, comma 18, recava un rinvio - non previsto nel decreto legge n. 194/2009 - all’articolo 1, comma 2, del decreto legge 5 ottobre, 1993, n. 400.
La Commissione aveva ritenuto che i rinvii alle norme in questione, stabilendo esse il rinnovo automatico, di sei anni in sei anni, per le concessioni che giungono a scadenza, privassero nella sostanza di effetto il decreto-legge n. 194/2009, fossero contrari alla normativa UE, in particolare con riferimento:
§       all’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno che prevede una procedura di selezione imparziale e trasparente, con un’adeguata pubblicità, nel caso in cui il numero delle autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsezza delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili. Il paragrafo 2 dell’articolo 12, inoltre, vieta il rinnovo automatico delle autorizzazioni nonché eventuali altri vantaggi al prestatore uscente. La Commissione riteneva che le concessioni di beni pubblici marittimi oggetto della procedura di infrazione costituissero autorizzazioni il cui numero è limitato ai sensi dell’articolo 12 in esame; pertanto l’articolo 01, comma 2, del decreto-legge n. 400/93, violava il citato articolo 12 laddove favoriva l’attribuzione di concessioni marittime a concessionari già titolari di una concessione e quindi già stabiliti in Italia, attribuendo un privilegio ai prestatori uscenti per i quali viene rinnovata la concessione senza applicare una procedura imparziale o trasparente;
§       all’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’UE che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. A tale riguardo la Commissione richiamava alla giurisprudenza della Corte di giustizia che ha sottolineato l’incompatibilità delle norme nazionali che rendono più difficile l’accesso al mercato di operatori provenienti dagli altri Stati membri[340]. Sottolineava altresì che nel caso del rinnovo automatico delle concessioni marittime a favore dell’operatore uscente previsto dalla normativa italiana non si possano applicare le deroghe previste dagli articoli 51 e 52 del medesimo Trattato (attività che partecipano all’esercizio di pubblici poteri, motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica e sanità pubblica).

martedì 26 novembre 2013

SPESE CONDOMINIALI IL NUOVO ’ART. 63, COMMA 5, DISP. ATT. RIFORMA DEL CONDOMINIO.


Il nuovo testo è entrato in vigore dal 18 giugno 2013.

ART. 63 DISP. ATT. C.C.

Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.

I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini.

In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.

Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente.

Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto.

In relazione alla disposizioni dell’art. 63, c.4, disp. Att. come già sottolineato nel precedente Post http://avvocatochiaraconsani.blogspot.it/2011/08/spese-condominiali-carico.html vi è la necessità di far risultare nell’atto con cui si trasferisce un’unità in condominio la posizione dell’acquirente in ordine ai contributi condominiali.

La norma in commento tiene ferma la responsabilità solidale esterna dell’acquirente per il pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.

Se il venditore non avesse già saldato tutte le sue pendenze l’acquirente assumerà responsabilità solidale per il pagamento e di ciò deve essere dato atto.

L’acquirente, a propria tutela, potrà pretendere l’esibizione di un’apposita attestazione rilasciata dall’Amministratore dalla quale risulti lo stato dei pagamenti dell’alienante. Si segnala che l’art. 1130 C.C (nuova versione) prevede ora espressamente l’obbligo dell’Amministratore di fornire al condomino che ne faccia richiesta l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali in corso.

Per prassi le spese condominiali ordinarie maturate sino alla data di trasferimento (o Sino alla data di effettiva consegna dell'immobile) sono poste a carico del venditore, mentre per le spese condominiali straordinarie si ha riguardo alla data in cui è stata assunta la delibera condominiale che le ha autorizzate, per cui sono poste a carico del venditore le spese deliberate sino alla data del trasferimento (salva Sempre la responsabilità esterna solidale dell’acquirente ex art. 63 disp. a.) Peraltro, per quanto riguarda le spese straordinarie, in giurisprudenza, non vi è un orientamento unanime, per il caso in cui manchi una disciplina pattizia.

La Legge 220/2012 ha altresì introdotto una responsabilità solidale anche a carico del venditore.

Chi cede diritti su unità immobiliari in condominio resta obbligato solidalmente con il suo avente causa per i contributi maturati sino al momento in cui è trasmessa all’Amministratore copia autentica del titolo traslativo.

Pertanto fino a quando non venga prodotta all’Amministratore copia autentica dell’atto traslativo, l’alienante resta obbligato solidalmente per gli oneri condominiali maturati fermo restando il diritto di rivalsa nei confronti dell’avente causa, obbligato principale.

giovedì 3 ottobre 2013

On line il nuovo sito dello Studio Legale Consani.

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Avv. Chiara Consani

martedì 24 settembre 2013

Danni da abusiva occupazione di un bene immobile

Quid juris: la domanda giudiziale per ottenere il risarcimento del danno da abusiva occupazione di un immobile ex art. 2043 c.c. deve essere provata secondo i normali canoni del diritto ex art. 1223 e 2056 c.c., trattandosi di un danno conseguenza con prova specifica che l’attore richiedente deve fornire in giudizio per aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio, oppure il danno può ritenersi in re ipsa, coincidente con l’evento, e quindi liquidabile attraverso presunzioni semplici quali una ctu che determini il suo valore locativo?

Sul punto c'è un forte contrasto giurisprudenziale:

-In alcuni casi la Suprema Corte sostiene come tale danno sia in re ipsa e cioè coincidente con l'evento; quindi, liquidabile attraverso presunzioni semplici con riferimento al c. d. danno figurativo, valutabile e quantificabile attraverso una ctu che stabilisca il valore locativo del bene, senza alcun riferimento e prova in giudizio circa l'utilizzo, anche eventuale, del bene stesso da parte del proprietario nel periodo di abusiva occupazione (perdita di chance da locazione, vendita etc.).

-In altri, sostiene invece la stessa Corte di Cassazione, a ragione per quanto riguarda il parere dello scrivente, che un tale ragionamento sovvertirebbe e sovverte il nostro sistema civilistico del risarcimento del danno extra contrattuale, invertendo addirittura l’onere probatorio che incombe sull’attore. Su tale falsariga si potrebbe anche arrivare ad affermare che anche il danno alla persona, per esempio, possa senz’altro essere liquidato in via esclusiva, attraverso il ricorso alla dichiarazione dei redditi della persona offesa! Sic et simpliciter. Mentre invece, in quest’ultimo caso (ed in tutti gli altri), c’è la necessità per il danneggiato (o per gli eredi), di dover scrupolosamente fornire in giudizio rigorosa prova dell’effettiva lesione patrimoniale subita, secondo i principi cardine del nostro ordinamento. Prova, che in molte circostanze è difficile ed onerosa, come è giusto che sia, trattandosi di spostamenti di denaro da una parte all’altra anche di notevole entità e come tali, degni della massima attenzione.

Ed allora, cosa dire con due posizioni così contrastanti, che poi in ogni caso tanto contrastanti non sono?

Come anzidetto, sono fra coloro che pensano come nessun tipo di danno, secondo il nostro ordinamento scritto, possa essere considerato in re ipsa, vieppiù il danno da abusiva occupazione di un immobile. Il danno, infatti, non coincide con l’evento che viceversa è un elemento del fatto che produce il danno stesso, talché il proprietario è tenuto a provare in giudizio la lesione patrimoniale subita giacché il danno che domanda è danno conseguenza, e quindi necessita anch'esso di rigorosa prova in giudizio.

Ad ogni buon conto, anche a seguire la tesi contraria (danno in re ipsa coincidente con l’evento), perché il Giudice possa ricorrere a presunzioni semplici per la sua quantificazione, è necessario che il proprietario provi in giudizio, almeno la propria intenzione di utilizzare il bene usurpato o l’interesse concreto per lo stesso, giacché ricordo che il Giudice non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti che non possono essere basate sul nulla e tantomeno su di una ctu che assurgerebbe in tal caso a mezzo di prova.

Ritengo infine, che anche in assenza di prova sull’effettiva lesione patrimoniale subita, al proprietario usurpato, tuttavia solo in particolari casi specifici, potrebbe essere riconosciuta un’indennità compensativa dal mancato utilizzo personale del bene tramite valutazione secondo equità (lasciata quindi alla prudente valutazione del Giudice), ove domandata dall’attore in subordine alla domanda principale.

Mi è capitato, alcuni mesi or sono, di veder pesantemente condannare una cliente per abusiva occupazione di un immobile di grandi dimensioni, con il Giudice di prime cure completamente appiattito sulla giurisprudenza che considera il danno in re ipsa. Questi, senza minimamente tener conto della assoluta carenza di prove offerte in giudizio dall’attore sull'esistenza e sull’entità della contestata lesione patrimoniale asseritamente subita e senza aver provato neppure un minimo interesse all’utilizzo del bene de quo, ha liquidato in sentenza il danno richiesto, quantificandolo in una somma stratosferica attraverso una ctu che fra l’altro ha stimato il valore locativo del bene asserito usurpato in modo completamente avulso dalla realtà locale e fattuale. Come è noto, la sentenza di condanna in primo grado è immediatamente esecutiva.

Proposto immediato appello con richiesta d’inibitoria ex art. 283 cpc, sviluppato secondo le tesi in diritto come sopra esposte, la Corte adita, con estremo equilibrio, dando atto del contrasto giurisprudenziale, ha ritenuto non manifestamente infondati i motivi dell’impugnazione ed anzi ha motivato come non “convincente” la liquidazione del danno così come assegnato dal giudice di prime cure, talché anche per la presenza di periculum in mora, ha sospeso l'efficacia esecutiva dell'impugnata sentenza.

Avv. Alberto Consani

venerdì 30 novembre 2012

LEGGE STORICA I FIGLI NATURALI COME QUELLI LEGITTIMI


Il Parlamento ha approvato definitivamente un progetto di legge volto ad eliminare dall'ordinamento le residue distinzioni tra figli legittimi e figli naturali, affermando il principio dell'unicità dello stato giuridico dei figli.

Il 27 novembre 2012 l'Assemblea della Camera ha definitivamente approvato l'AC. 2519-B.

Il provvedimento era già stato approvato dalla Camera in prima lettura nel giugno 2011, per essere poi modificato dal Senato il 16 maggio 2012. La Camera in seconda lettura non ha apportato ulteriori modifiche al testo.

L'AC. 2519-B, approvato dalla Camera il 27 novembre 2012, consta di sei articoli concernenti:

- nuove disposizioni, sostanziali e processuali, in materia di filiazione naturale e relativo riconoscimento, ispirate al principio "tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico";

- delega al Governo per la modifica delle disposizioni vigenti per eliminare ogni discriminazione tra figli legittimi, naturali e adottivi;

- ridefinizione delle competenze fra tribunali ordinari e tribunali dei minorenni in materia di procedimenti di affidamento e mantenimento dei figli; sono inoltre dettate disposizioni a garanzia del diritto dei figli agli alimenti e al mantenimento;

- disposizioni transitorie e in materia di stato civile (artt. 4 e 5);

- la clausola di invarianza finanziaria.


I principali profili sui quali era intervenuto con modifiche il Senato sono i seguenti:

- art. 251 c.c., con una novella volta ad ampliare le ipotesi di riconoscimento dei figli incestuosi;

- cognome del figlio naturale, con la soppressione della disposizione introdotta dalla Camera che, intervenendo sull'art. 262 c.c., prevedeva che il figlio potesse assumere il cognome del padre aggiungendolo (e non più sostituendolo) a quello della madre;

- art. 276 c.c., in materia di legittimazione passiva alla domanda di dichiarazione giudiziale di paternità naturale;

- competenza del tribunale per i minorenni attraverso l'integrale riformulazione dell'articolo 3 del disegno di legge. Il Senato ha infatti attribuito al tribunale ordinario - al posto del tribunale per i minorenni - un'ampia serie di controversie (dal riconoscimento dei figli naturali all'affidamento del figlio naturale ed al suo inserimento nella famiglia legittima; assunzione del cognome del minore; autorizzazione all’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale; decisioni nell’interesse del figlio in caso di contrasto tra i genitori; esercizio della potestà dei genitori; dichiarazione giudiziale di paternità o maternità).


La norma interviene a sanare le differenze ancora esistenti nello status dei figli nati da coppie non sposate. Prima fra tutte, il pieno riconoscimento all’interno della famiglia.
Fino ad ora i figli naturali essi hanno avuto come parenti solo i genitori con profonde ricadute sulla possibilità della famiglia di tutelarli, in caso di scomparsa o impossibilità dei genitori, sul diritto successorio e sulle procedure in caso di separazione, affidate al Tribunale dei minorenni e non a quello ordinario.

La norma ha notevoli effetti sul piano ereditario.

a) Il diritto di commutazione:
La principale discriminazione dei figli naturali rispetto ai figli legittimi è rappresentato dal diritto di commutazione di cui all’articolo 537, comma 2 del codice civile.
Tale norma, prevede, infatti, che “i figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongano. Nel caso di opposizione decide il giudice valutate le circostanze personali e patrimoniali”.
Con la riforma in esame venendo meno la distinzione tra i figli naturali e figli legittimi dovrebbe venir meno anche il diritto di commutazione che ad essi si riferiva. Insomma da ora in poi i figli al di fuori del matrimonio non potranno più essere liquidati ma entreranno a pieno titolo e pari merito con i legittimi nella comunione ereditaria.

B) Successione tra fratelli
La novità maggiore riguarda la successione tra fratelli.
Prima della riforma posto che il riconoscimento del figlio naturale  faceva sorgere rapporti solo tra il genitore e figlio riconosciuto e non tra quest’ultimo e i suoi fratelli non vi era alcun rapporto di parentela tra fratelli naturali e fratelli legittimi.
La Corte costituzionale, con la sentenza del 4 luglio 1979 e quella successiva del 12 aprile 1990 n. 184, aveva solo parzialmente posto rimedio a questa situazione stabilendo che alla morte del fratello naturale, l’altro fratello avrebbe ereditato qualora il defunto non avesse coniuge, figli ed altri parenti entro il sesto grado. Pertanto soltanto in assenza di parenti entro il sesto grado sarebbe subentrato il fratello naturale con priorità sullo Stato.
Oggi con l’equiparazione della filiazione naturale a quella legittima, se muore una persona priva di figli, muore, i suoi fratelli erediteranno sia che siano fratelli legittimi o fratelli naturali senza più alcuna discriminazione.



martedì 28 agosto 2012

Dlgs 122/2005 TUTELA DELL’ACQUIRENTE DI IMMOBILI DA COSTRUIRE:


Già in altri paesi esiste da anni una disciplina avente ad oggetto gli immobili da costruire. L’italia arriva nel 2005 a dettare tale normativa di tutela attraverso uno schema legislativo insoddisfacente, essenzialmente per l’inefficacia delle sue sanzioni.

RATIO della normativa:

E’ quella di offrire protezione a soggetti deboli in una contrattazione avente rapporti con soggetti considerati forti, in quanto operatori dell’edilizia e della costruzione.
Tale normativa si inserisce in uno schema più ampio che anima il legislatore europeo verso la tutela del consumatore. In realtà questa disciplina non si inserisce con pienezza nella  normativa di riferimento di tutela dei consumatori, tanto che non è stata inserita all’interno del codice del consumo, ma ha delle profonde affinità con questa.

La norma in esame tende ad utilizzare espressioni molto generiche, relativamente alla indicazione degli elementi soggettivi oggettivi e dei presupposti contrattuali necessari al fine dell’applicazione della disciplina de quo. Tale genericità corrisponde all’esigenza di rendere sempre più capiente l’ambito applicativo della stessa.

AMBITO SOGGETTIVO:

Le parti contrattuali devono essere:

- il costruttore: deve essere un imprenditore.

- L’acquirente: deve essere persona fisica.

PRESUPPOSTO CONTRATTUALE:

La normativa si applica tutte le volte in cui i soggetti di cui sopra negozino con qualunque strumento contrattuale che realizzi dal punto di vista economico uno scambio tra un prestazione immediata di denaro (acconto-caparra) o di altro genere (trasferimento immediato del terreno in natura, permuta di bene presente) e altra prestazione futura, avente ad oggetto la costruzione e pertanto il successivo trasferimento del diritto di proprietà.
Lo squilibrio di forze si viene a creare, in quanto, il soggetto debole a fronte di un trasferimento immediato di ricchezza riceve come controprestazione solo l’assunzione di un obbligo in capo al soggetto forte di dare o di fare.
Si deve trattare di negozi che abbiano come finalità un trasferimento non immediato della proprietà:
- contratti ad effetti obbligatori, contratti ad effetti reali differiti che comunque non comportino l’immediato trasferimento della proprietà;
La normativa sul punto è estremamente generica. La dottrina invita ad utilizzare la normativa in esame ogni volta in cui dal punto di vista economico le parti  realizzino l’effetto disciplinato e che si intende tutelare.

OGGETTO DEL CONTRATTO:

E’ necessario precisare quanto segue:
Per immobile da costruire si intende: qualunque immobile per il quale sia richiesto il permesso di costruire in epoca successiva al 21 luglio 2005 (PRESUPPOSTO TEMPORALE) e che sia ancora da edificare o la cui costruzione non risulti essere ultimata versando in stato tale da non consentire il rilascio del certificato di agibilità/abitabilità (ex art 24 Dpr 380/2001).

In tal senso si da atto che vi siano norme che qualificano in modo differente il concetto di venuta ad esistenza del bene al fine del passaggio della proprietà.
Ai sensi e per gli effetti di cui all’art 1472 c.c. e degli art 2645 bis e art 32 L 47/1985 l’immobile si intende venuto ad esistenza quando è stato realizzato il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e sia stata completata la copertura.

Pertanto l’immobile al rustico deve qualificarsi come “immobile da costruire” ai sensi del dlgs 122/2005 ma altresì deve considerarsi già venuto ad esistenza.

Cosicchè se le parti intendano concludere un preliminare, avente mera efficacia obbligatoria di un immobile al rustico nonostante sia ritenuto bene venuto ad esistenza si applica la disciplina di cui al Dlgs 122/2005.

Diversamente nel caso in cui le parti intendano concludere un negozio avente efficacia immediata, quale un definitivo od una permuta avente ad oggetto un rustico la disciplina del dlgs 122/2005 non si applica in quanto essendo il rustico bene esistente il trasferimento del diritto ad esso inerente è immediato e garantisce la parte acquirente senza che si debba applicare la normativa in esame.

Si da atto che tale discrasia normativa rende opportuno chiarire in sede contrattuale quando le parti intendono il bene venuto ad esistenza al fine altresì di individuare il limite di efficacia della fideiussione la quale deve garantire tutte le somme versate fino al momento del trasferimento della proprietà.

Si da atto altresì che si considera futuro non solo l’immobile che debba essere costruito ma altresì l’immobile sia oggetto di ristrutturazioni maggiori ai sensi dell’art 3 primo comma lettera d e 10 primo comma lettera c del Dpr. 380/2001.

TUTELA SPECIFICA DEL DLGS 122/2005:

LA FIDEIUSSIONE: ART 2 e 3

Devono essere garantite tutte le somme che sono state versate dall’acquirente fino al momento del trasferimento della proprietà.
All’atto della stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della proprietà di un immobile da costruire, il costruttore è obbligato a pena di nullità relativa a procurare il rilascio ed a consegnare all’acquirente una fideiussione rilasciata da una banca o da una impresa esercente le assicurazioni o da intermediari finanziari iscritti in apposito elenco speciale di cui all’art 7 del Testo Unico Bancario.
La fideiussione ai sensi dell’art 1938 c.c. deve indicare l’importo massimo garantito, corrispondente alle somme di cui sopra. La fideiussione deve prevedere la rinuncia del garante al beneficio della preventiva escussione del debitore principale e deve essere escutibile verificatesi le condizioni di crisi dell’impresa di cui al comma 3 del medesimo articolo (fallimento, pignoramento) a richiesta scritta dell’acquirente corredata da idonea documentazione comprovante l’ammontare delle somme ed il valore di ogni altra prestazione eseguita in favore del costruttore. L’efficacia della fideiussione cessa al momento del trasferimento del diritto di proprietà.

Il punto debole della normativa è quello relativo alle conseguenze della mancanza della fideiussione o la carenza di alcune sue caratteristiche, si ha infatti un caso di NULLITÀ RELATIVA, cosi detta protettiva che può essere attivata unicamente da parte del soggetto protetto, acquirente di immobile da costruire.

La posizione del Notaio rispetto alla fideiussione: verifica non formale dell’esistenza della fideiussione, non va allegata, né bisogna menzionare in atto gli estremi della stessa è sufficiente verificarne la sua sussistenza. E’ buona regola quantomeno menzionare la consegna in atto e accertarne la regolarità. La norma in esame non detta le sanzioni in capo al Notaio. Le nullità relative non danno luogo alla sanzione ex art 28 della legge notarile seppur sorge in capo al Notaio la responsabilità professionale ex mandato.

Si ammette la possibilità di stipulare un contratto in tal senso sospensivamente condizionato alla consegna della fideiussione da parte del costruttore. (La fideiussione non è presupposto di validità del negozio stipulato posta la nullità relativa della sanzione, inoltre si veda l’ammissibilità della condizione di adempimento relativa ad elementi strutturali del contratto). In un contratto sospensivamente condizionato non si producono effetti pertanto manca uno sborsamento di somme che giustifica l’esistenza della fideiussione stessa.

Non si può rinunciare alla garanzia fideiussoria.

LA POLIZZA ASSICURATIVA: ART 4.

Rappresenta un altro punto cardine dell’intera disciplina, evidentemente teso a rafforzare la tutela dell’acquirente, in una fase successiva rispetto a quella in cui opera la fideiussione, cioè quando il trasferimento della proprietà è già avvenuto. (nel caso di preliminare, al definitivo o nel caso di permuta di cosa presente con cosa futura, all’atto di accertamento dell’avvenuta esistenza del bene).
Il costruttore, infatti, all’atto del trasferimento della proprietà deve consegnare all’acquirente una polizza assicurativa indennitaria decennale, stipulata dal medesimo costruttore con effetto dalla data di conclusione dei lavori a copertura dei danni che possono derivare dalla rovina totale o parziale dell’edificio o da gravi difetti costruttivi delle opere, ossia dei vizi costruttivi che incidono in maniera profonda sugli elementi strutturali essenziali, escludendo le ipotesi di cui all’art. 1667 c.c. (mere difformità o vizi dell’opera).

Per qualsiasi consulenza in merito alla stipula di un contratto avente ad oggetto un immobile da costruire non esitate a contattare il nostro studio.



lunedì 23 luglio 2012

GUIDA IN STATO DI EBREZZA ? ANCHE IN BICI!!! ATTENZIONE!!!!


Art 186 Codice della Strada - Guida sotto l'influenza dell'alcool.

1. E' vietato guidare in stato di ebbrezza in conseguenza dell'uso di bevande alcoliche.
2. Chiunque guida in stata di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato:
a) con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500,00 a euro 2.000,00, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l). All'accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
b) con l'ammenda da euro 800,00 a euro 3.200,00 e l'arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
c) con l'ammenda da euro 1.500,00 a euro 6.000,00, l'arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l). All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata. La patente di guida è sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, in caso di recidiva nel biennio. Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all'articolo 224-ter .
.......commi seguenti mancanti.......”

 L’uso della bicicletta in condizioni di tasso alcolemico alterato, rientra nell’applicazione dell’art 186 del Codice della Strada.
La norma sopra riportata, dispone, infatti, genericamente, che è vietato guidare in stato di ebrezza.
Non si specifica il mezzo che si sta conducendo.

La Sentenza 10684/2012 della Corte di Cassazione ha condannato un padre all’arresto per un mese e mezzo (e mille euro di ammenda) per essersi messo alla guida del velocipede, portando con sé anche il figlio minore, dopo aver abbondantemente alzato il gomito, al punto da risultare al test alcolemico molto oltre la soglia massima (se fosse stato trovato alla guida della macchina sarebbe scattata anche la sanzione accessoria della sospensione della patente).
L’imputato ha cercato di sostenere l’illegittimità costituzionale dell’articolo 186 del Cds, con riferimento all’articolo 3 della Costituzione, ritenendo che la prevista applicazione della sanzione amministrativa per tutti i casi di guida di un veicolo in stato di ebbrezza senza differenziare tra la guida di un mezzo a motore e quella di uno a pedale violasse il principio di uguaglianza.
La Corte ha bocciato detta eccezione ritenendola irrilevante.  Nella condanna inflitta al padre non era scattata l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente prevista obbligatoriamente dal codice della strada per chi superi un determinato tasso alcolemico.

I giudici ritengono che la misura della sospensione della patente non possa mai applicarsi nel caso in cui “la violazione si realizzi ponendosi alla guida di un mezzo per il quale non è prescritta alcuna abilitazione alla guida”.