giovedì 3 marzo 2016

UNIONI CIVILI E CONVIVENZE DI FATTO ISTRUZIONI PER L'USO - ASPETTANDO GODOT


Il disegno di legge Cirinnà è una proposta che per la prima volta in Italia riconosce diritti e doveri delle coppie omosessuali che vogliono unirsi civilmente e delle coppie eterosessuali e omosessuali che non vogliono sposarsi, ma solo registrare la loro convivenza.

In attesa della conferma alla Camera ecco alcuni chiarimenti sul disegno di legge approvato al Senato.

L’UNIONE CIVILE:

Definisce il rapporto tra due persone maggiorenni, dello stesso sesso, che vogliano organizzare la loro vita in comune.

La legge inserisce nel diritto di famiglia un nuovo istituto specifico per le coppie omosessuali, chiamandolo “unione civile”, diverso dal matrimonio regolato dall’articolo 29 della costituzione, ma che si può equiparare a quest’ultimo per diritti e doveri previsti.

Per stipulare un’unione civile, le due persone devono essere maggiorenni e recarsi con due testimoni da un ufficiale di stato civile, il quale provvede alla registrazione. Le due persone che hanno contratto l’unione civile devono dichiarare il regime patrimoniale vogliono (comunione legale o separazione dei beni), un indirizzo di residenza comune e possono assumere un cognome comune che può anche sostituire o affiancare quello da celibe o nubile.

Non possono contrarre l’unione civile:

- persone già sposate o che hanno già contratto un’unione civile;

- persone a cui è stata riconosciuta un’infermità mentale o persone che tra loro sono parenti.

Come nel matrimonio, le parti acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri: hanno l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale, alla coabitazione ed entrambi sono tenuti a contribuire ai bisogni comuni, in base alle proprie possibilità; entrambi concordano l'indirizzo della vita familiare e la residenza comune, esattamente come avviene per le coppie sposate; in assenza di indicazioni diverse, si applica la comunione dei beni.In caso di morte la parte dell’unione civile ancora in vita ha diritto all'eredità, alla pensione di reversibilità.

In merito alla cessazione dell’unione la stessa si scioglie quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento davanti all'ufficiale di stato civile. In tal caso la domanda di scioglimento dell’unione è proposta decorsi tre mesi dalla data di manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione. Si fa presente sul punto che nel caso delle unioni civili ( diversamente dal matrimonio) è stato previsto un vero e proprio divorzio breve, senza previa separazione ed in tempi brevissimi. In questo punto le unioni civili rispetto al matrimonio sono davvero innovative!

In ogni modo si applicano allo scioglimento delle unioni le disposizioni in materia di divorzio, come espressamente richiamate dal disegno di legge, con la possibilità di vedere riconosciuto ad uno dei due partner il diritto di mantenimento, tenendo conto delle condizioni dei due uniti.

LE CONVIVENZE DI FATTO:

Con il termine convivenze di fatto, si fa riferimento a tutte le coppie formate da due persone maggiorenni (sia etero che omosessuali) non legate da vincoli giuridici ma da un legame affettivo e che possono regolare i propri rapporti patrimoniali attraverso un "contratto di convivenza".

Il fine di questa regolamentazione è quello di concedere alle coppie conviventi i diritti basilari per l’assistenza reciproca, riconoscendoli quindi come un’unione di fatto meritevole di tutela giuridica.

Il contenuto del contratto è sostanzialmente libero: le parti possono indicare i rispettivi obblighi e diritti come, ad esempio, le modalità di cooperazione e collaborazione ai bisogni della convivenza. Inoltre dovranno regolare il regime patrimoniale, optando per la comunione dei beni o la separazione. Inoltre potranno stabilire quanto dello stipendio va nella cassa comune o quali spese sostiene l’uno o l’altro dei conviventi. Si possono sottoscrivere in qualsiasi momento della convivenza e possono anche definire rapporti patrimoniali in caso di cessazione del rapporto, evitando discussioni e rivendicazioni al momento della rottura.

I conviventi assumono solo alcuni dei diritti e dei doveri riconosciuti alle coppie sposate: l'assistenza ospedaliera, penitenziaria e gli alimenti a fine convivenza (nel caso in cui uno dei due non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento).

Inoltre:

se il proprietario della casa di comune residenza muore, il convivente ha diritto a continuare ad abitare nella stessa casa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore ai due anni e comunque non oltre i cinque anni;
se l'intestatario del contratto di affitto della casa di comune residenza muore o dovesse recedere dal contratto di locazione dalla casa di comune residenza, il convivente di fatto può succedere nel contratto;

se il convivente di fatto presta abitualmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente ha diritto ad una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, commisurata al lavoro prestato. Questo diritto non è valido invece se tra i conviventi vi sia un rapporto di società o di lavoro subordinato. In caso di morte di uno dei conviventi causato da un fatto illecito di un terzo, il superstite viene equiparato al coniuge nell’individuazione del danno risarcibile.

se la convivenza finisce ed uno dei coniugi si trova in uno stato di difficoltà economica, il giudice può inoltre stabilire che l’ex partner lo sostenga economicamente per un periodo proporzionale alla durata della convivenza.

Il contratto di convivenza si risolve per:
accordo delle parti;

recesso unilaterale;

matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;

morte di uno dei contraenti;

La risoluzione del contratto di convivenza può avvenire pertanto anche per volontà di uno solo dei due partner, volontà a cui l’altro non può opporsi.

Nel caso di rottura della convivenza non c’è l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento, ma solo quello degli alimenti nel caso di stretta necessità economica del compagno e comunque per un periodo di tempo proporzionale alla durata della convivenza.

Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza se la casa familiare è nella disponibilità esclusiva del recedente la dichiarazione di recesso a pena di nullità deve contenere il termine non inferiore a novanta giorni concesso al convivente per lasciare l’abitazione.

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Se il presente disegno legge dovesse venire confermato alla Camera le fattispecie “del vivere insieme” saranno varie e variopinte e qui riassunte:

il matrimonio: è la tradizionale unione tra un uomo e una donna, regolata dal codice civile e dalle leggi speciali sul diritto di famiglia.

le unioni civili: sono le unioni tra omosessuali. L’insieme dei diritti e dei doveri è molto simile alla tutela prevista per le coppie sposate se non per alcune differenze (come l’obbligo della fedeltà);

i contratti di convivenza: sono le unioni tra soggetti maggiorenni sia etero che omosessuali, ma che hanno preferito di non passare per il matrimonio tradizionale o per le unioni civili, predisponendo un contratto di convivenza che ha tutele inferiori rispetto al matrimonio o alle unioni civili ma che garantisce alcuni diritti e tutele.

Resta fermo che i soggetti conviventi sono liberi di scegliere se siglare o meno un contratto di convivenza, che quindi non costituisce un obbligo.

Aspettando Godot ……………………………

Per consulenze o chiarimenti scrivere al seguente indirizzo mail chiara.consani@virgilio.it

 

lunedì 29 febbraio 2016

USUCAPIONE e MEDIAZIONE


L’art. 84-bis del cd. decreto del Fare D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, ha ampliato l’elenco degli atti soggetti a trascrizione di cui all’art. 2643 del codice civile, col nuovo comma 12-bis), “gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.

Sulla interpretazione della norma è intervenuto lo studio civilistico del Consiglio Nazionale del notariato n. 718-2013/C “La trascrizione dell’accordo conciliativo accertativo dell’usucapione” che ha posto alcune riflessioni partendo dalla definizione dell’istituto giuridico dell’usucapione disciplinato dagli artt. 1158 e seguenti del codice civile, in forza del quale l’acquisto della proprietà o di altro diritto reale non è altro che un effetto legale che consegue al contemporaneo ricorrere di una serie di presupposti quali:

– il possesso continuato, ininterrotto e indisturbato del bene,

– la durata di tale possesso per il tempo previsto dalla legge.

Pertanto se l’usucapione è un effetto legale, non può nascere da una volontà negoziale, che pretenda di sostituirsi ai presupposti di legge ed in sede di mediazione, l’accordo conciliativo potrà avere ad oggetto solo il riconoscimento dei fatti che costituiscono i presupposti di un acquisto per usucapione, non potrà invece consistere in un atto volitivo finalizzato a riconoscere l’acquisto di un diritto reale, in quanto non è la volontà delle parti a poter determinare questo effetto.

Le differenze della trascrizione dell’accordo di mediazione di usucapione rispetto alla trascrizione di una sentenza di usucapione, che è invece regolata dal diverso art. 2651 c.c:

La sentenza accertativa dell’usucapione, viene emessa all’esito di un’istruttoria con cui il giudice, terzo imparziale, accerta la fondatezza della pretesa, ed ha l’effetto di far nascere, in capo all’usucapiente, un diritto nuovo, opponibile erga omnes;

L’accordo di mediazione con cui si accerta l’intervenuta usucapione, invece, regolamenta una vicenda che riguarda le sole parti che intervengono all’accordo e non è opponibile a nessun altro terzo.

Ne deriva che:

la sentenza accertativa dell’usucapione, trascritta ex art. 2651 c.c., è opponibile erga omnes e fa nascere un diritto del tutto nuovo in capo all’usucapiente, travolgendo i diritti di qualsiasi terzo su quel bene; essa sarà quindi trascritta a favore dell’usucapiente ed a carico di nessun soggetto, perché prescinde da e travolge qualsiasi diritto precedente in capo ad altri;

– l’accordo di conciliazione accertativo dell’usucapione, trascritto ex art. 2643 n. 12-bis) c.c., invece, verrà trascritto a favore dell’usucapiente e contro il solo soggetto usucapito intervenuto all’accordo, a significare che quel diritto è usucapito solo nei confronti della controparte, trova fondamento nei limiti in cui quel diritto aveva efficacia e valore per l’usucapito e quindi nei titoli di provenienza a suo favore, restando invece del tutto impregiudicati i diritti dei terzi. Tutto questo in linea con l’applicazione degli art. 2644, 2650 e 2645 c.c.

In conclusione, si può ragionevolmente concludere che il risultato “usucapione” non è identico a seconda che derivi da una sentenza o da un accordo conciliativo, nemmeno a seguito della novella legislativa sopra citata.

Infine, in relazione alla tassazione dell’atto, che dovrà essere curata dal notaio, l’art. 17, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 28/2010 dispone che tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. La norma altresì prevede che il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di € 50.000,00, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente.

lunedì 11 gennaio 2016

L'IMPUGNAZIONE DEL TESTAMENTO OLOGRAFO FALSO


Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore. La sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni. Se anche non è fatta indicando nome e cognome, è tuttavia valida quando designa con certezza la persona del testatore. La data deve contenere l'indicazione del giorno, mese e anno. La prova della non verità della data è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della capacità del testatore, della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento.

Il testamento produce effetti nella sfera giuridica degli eredi con la semplice pubblicazione ex art. 620, comma 6, c.c., senza alcuna necessità di un accertamento della sua autenticità o trascrizione.

Le Sezioni Unite, con sentenza 15 giugno 2015 n. 12307 (rimarcando quanto affermato nella Sent. Cass. 15 giugno 1951 n. 1545), hanno affermato il principio secondo il quale, ove la parte contesti l’autenticità del testamento olografo, la stessa è tenuta a proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura e, quindi, su di essa grava l’onere della relativa prova.

Le Sezioni Unite hanno superato il contrasto esistente nella Corte di legittimità. Più precisamente, tra l’indirizzo che riteneva necessaria la proposizione della querela di falso e quello che, invece, considerava sufficiente il mero disconoscimento della autenticità del testamento.

In base ai principi generale, l'onere della prova grava in capo a colui che contesta la validità del testamento olografo. Ciò è anche in linea con la disposizione dell'art 456 c.c. che afferma che non si fa luogo alla successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria: ne consegue, quindi, che colui che si afferma successore ex lege dovrà esercitare un'azione di accertamento negativo - volta a far valere la nullità del testamento e, quindi, il verificarsi della delazione legale - il cui onere della prova ricade su di lui, in conformità ai principi generali (in tal senso Corte di Cassazione, 1545/51).

Si sottolinea infine come la falsificazione del testamento olografo sia perseguibile d'ufficio (art.493 bis, comma secondo, c.p.), ed è soggetta ad una specifica pena (art. 491 c.p.).

Inoltre ai sensi dell'art. 654 c.p.p., l'accertamento dei fatti effettuato in sede penale, che abbia portato ad una sentenza di condanna o di assoluzione, «ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa».

Per chiarimenti e consulenze scrivere alla seguente mail: chiara.consani@virgilio.it

lunedì 31 agosto 2015

L’INCOSTITUZIONALITA’ DEL DECRETO SALVA INQUILINI N47/2014 CONVERTITO CON L.80/2014


LA SENTENZA CORTE COSTITUZIONALE N.169/2015
 
Giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014 n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015) convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80,

La disposizione all’esame è stata introdotta in sede di conversione, ad opera della legge n. 80 del 2014, del d.l. n. 47 del 2014, a seguito e in conseguenza della sentenza di questa Corte n. 50 del 2014, depositata il 14 marzo 2014, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 8 e 9, del d.lgs. n. 23 del 2011, in tema di rideterminazione ex lege di elementi di contratti di locazione non registrati nei termini. Essa è stata inserita nell’ambito di un provvedimento diretto in primis, secondo le intenzioni dichiarate nel preambolo del provvedimento d’urgenza, «a fronteggiare la grave emergenza abitativa in atto e a adottare misure volte a rilanciare in modo efficace il mercato delle costruzioni» e nel contesto di un articolo (il 5) dedicato, secondo l’originaria rubrica, alla «Lotta all’occupazione abusiva di immobili». Con essa il legislatore ha, nella sostanza, prorogato l’efficacia e la validità dei contratti di locazione registrati sulla base delle disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime.

La disposizione censurata si porrebbe, dunque, in contrasto, anzitutto con l’art. 136 Cost., in quanto il legislatore avrebbe inteso non già introdurre una norma riproduttiva di quella precedente, ma solo enunciare «una “clausola di salvaguardia”» volta a preservare gli effetti prodottisi in applicazione delle disposizioni dichiarate incostituzionali ed i rapporti che ne erano stati originati; senza, per di più, che il richiamo ai “diritti quesiti” ed ai “rapporti consolidati” – ai quali ha fatto riferimento il parere espresso, nella fase di conversione in legge, dalla Commissione permanente affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni della Camera dei deputati – risulti corretto né pertinente, trattandosi di rapporti di durata non sciolti né estinti e senza possibilità di alcuna “cristallizzazione” dei relativi effetti.

Sarebbe poi compromesso anche l’art. 3 Cost., in quanto si sarebbe introdotto un regime irragionevolmente discriminatorio rispetto ai medesimi rapporti di locazione, dal momento che, a seguito della predetta dichiarazione di illegittimità costituzionale, sarebbe venuta meno la funzione «preventiva e deterrente» circa l’adempimento degli obblighi tributari connessi alla tempestiva registrazione dei contratti di locazione: il che renderebbe priva di ragion d’essere la previsione di un «termine finale» scollegato dalla originaria funzione.

Si denuncia, infine, la violazione anche dell’art. 42, secondo comma, Cost., in quanto la facoltà del legislatore di limitare la proprietà privata è tuttavia sottoposta al rispetto del «limite teleologico della funzionalità alle esigenze delle collettività, mediante un bilanciamento di interessi di rango costituzionale che non può tradursi in uno “svuotamento di rilevante entità ed incisività del suo contenuto” (v. sentenza Corte Cost. n. 55/1968)». Evenienza che, nella specie, non si sarebbe verificata, avendo il legislatore previsto misure in chiave sanzionatoria, tanto della durata che del canone locatizio, svuotando di contenuto l’autonomia negoziale, senza una proporzionale ricaduta sul piano della funzione sociale della proprietà.

La questione incostituzionalità è stata ritenuta fondata, pertanto la norma impugnata è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 136 Cost.

Alla luce di quanto esposto tutti i contratti di locazione sorti a seguito della denuncia all’Agenzia delle entrate ai sensi dell’art 3 commi 8 e 9 del Dlgs 23/2011 sono invalidi. Essendo venuta meno la sanatoria degli effetti del contratto registrato in base alle norme dichiarate incostituzionali la detenzione del bene non può ritenersi sostenuta da alcun titolo legittimante stante la nullità del contratto di locazione stipulato senza l’osservanza della forma di legge.

giovedì 8 gennaio 2015

LA TIPIZZAZIONE E LA TRASCRIVIBILITA' DEI CONTRATTI RENT TO BUY:


L’art. 23 del D.L. 12 settembre 2014, n. 133 (in G.U. n. 212 del 12.9.2014), in vigore dal 13 settembre 2014, convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164 (in Suppl. ord. alla G.U. n. 262 dell’11.11.2014), in vigore dal 12 novembre 2014, ha introdotto la disciplina dei “contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili”, altresì indicati come rent to buy. Detto art. 23 dispone quanto segue:

1. I contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l'immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell'articolo 2645-bis codice civile. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all'articolo 2643, comma primo, numero 8) del codice civile.

1-bis. Le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell'immobile entro il termine stabilito.

2. Il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore ad un ventesimo del loro numero complessivo.

3. Ai contratti di cui al comma 1 si applicano gli articoli 2668, quarto comma, 2775-bis e 2825-bis del codice civile. Il termine triennale previsto dal comma terzo dell'articolo 2645-bis del codice civile è elevato a tutta la durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore a dieci anni. Si applicano altresì le disposizioni degli articoli da 1002 a 1007 nonché degli articoli 1012 e 1013 del codice civile, in quanto compatibili. In caso di inadempimento si applica l'articolo 2932 del codice civile.

4. Se il contratto di cui al comma 1 ha per oggetto un'abitazione, il divieto di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, opera fin dalla concessione del godimento.

5. In caso di risoluzione per inadempimento del concedente, lo stesso deve restituire la parte dei canoni imputata al corrispettivo, maggiorata degli interessi legali. In caso di risoluzione per inadempimento del conduttore, il concedente ha diritto alla restituzione dell'immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto.

6. In caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva l'applicazione dell'articolo 67, terzo comma, lettera c), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni. In caso di fallimento del conduttore, si applica l'articolo 72 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni; se il curatore si scioglie dal contratto, si applicano le disposizioni di cui al comma 5.

7. Dopo l'articolo 8, comma 5, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, è aggiunto il seguente: “5-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti e di vendita con riserva di proprietà, stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione.”.

8. L'efficacia della disposizione di cui al comma 7 è subordinata al positivo perfezionamento del procedimento di autorizzazione della Commissione Europea di cui all'articolo 107 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), di cui è data comunicazione nella Gazzetta ufficiale”.

 

 

L’art. 23 del D.L. n. 133/2014 ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento la disciplina del “contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili”, denominato nella prassi rent to buy.

Il legislatore ha espressamente previsto che i contratti in esame sono “diversi dalla locazione finanziaria”: ciò al fine di evitare interferenze tra le due discipline, e per chiarire inequivocabilmente l’inapplicabilità di queste nuove disposizioni al leasing.

 

Ai fini della corretta qualificazione della fattispecie altre tre disposizioni hanno rilievo.

- La prima: nei commi 1 e 1-bis si parla di “diritto per il conduttore” di acquistare l’immobile entro un termine determinato.

- La seconda: l’ultimo periodo del comma 3 dispone che “in caso di inadempimento si applica l'articolo 2932 del codice civile” (il diritto all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre).

- La terza: è prevista la trascrizione del contratto a norma dell’art. 2645-bis c.c. (che disciplina la pubblicità del contratto preliminare).

 

Sembrerebbe, a prima lettura, che l’oggetto della disciplina legislativa, sia circoscritto ad una soltanto delle possibili configurazioni del rent to buy, come articolatosi nella prassi: quella caratterizzata dall’obbligo unilaterale del concedente-promittente alienante di trasferire (con successivo contratto traslativo) entro il termine stabilito la proprietà al conduttore-promissario acquirente, cui si contrappone il diritto-facoltà di quest’ultimo di acquistare (senza, alcun obbligo al riguardo).

 

Un’interpretazione così tassativa esclude però la trascrivibilità di molte fattispecie riconducibili alla disciplina del Rent To Buy e rischia di alterare la Ratio della norma la quale mirata a tutelare l’acquirente in presenza di una operazione economica riconducibile alla fattispecie socialmente tipica del rent to buy, in tutte le sue possibili varie articolazioni.

 

A norma dell’art. 23, comma 1, del D.L. n. 133/2004, i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili “sono trascritti ai sensi dell'articolo 2645-bis codice civile. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all'articolo 2643, comma primo, numero 8) del codice civile”. Ai sensi del successivo comma 3, “il termine triennale previsto dal comma terzo dell'articolo 2645-bis del codice civile è elevato a tutta la durata del contratto e comunque ad un periodo non superiore a dieci anni”. Disciplina, questa, che merita alcune puntualizzazioni.

Va evidenziato che la trascrizione di cui trattasi ha ad oggetto – se così si può dire – un contratto che deve essere riconducibile all’operazione economica, socialmente e normativamente tipizzata, del rent to buy. Contratto il cui dato caratterizzante è l’attribuzione immediata del godimento al conduttore, verso un corrispettivo periodico (canoni) in parte imputabile al prezzo di trasferimento. E’ proprio questa tipicità sociale, oltre che normativa, e la correlata valutazione legale di meritevolezza, a giustificare il prolungamento della durata della trascrizione ex art. 2645-bis per tutta la durata del contratto (fino ad un massimo di dieci anni), come pure la trascrivibilità di fattispecie (come l’opzione di acquisto) che nel diritto comune sono generalmente ritenute intrascrivibili. Il richiamo dell’art. 2645-bis c.c. comporta che – ai fini dell’efficacia prenotativa della relativa trascrizione – il contratto definitivo di trasferimento della proprietà dovrà essere trascritto entro il termine finale di durata del contratto in oggetto, e comunque entro il termine di dieci anni dalla trascrizione del rent to buy. Nell’ipotesi in cui il contratto attribuisca al conduttore un’opzione di acquisto, entro il suddetto termine dovrà essere trascritto il contratto definitivo (di cui il primo segmento è lo stesso contratto di rent to buy contenente l’opzione, ed il secondo segmento è l’atto di accettazione da parte del conduttore).

 

 

 

 

CONIUGE SEPARATO e DIRITTO DI ABITAZIONE Cassazione civile , sez. II, sentenza 22.10.2014 n. 22456


La Corte di Cassazione, con la sentenza 22 ottobre 2014, n. 22456, precisa che il diritto di abitazione sulla casa familiare, non può essere attribuito al coniuge superstite quando lo stesso sia legalmente separato e non più convivente nella casa oggetto della disposizione successoria.

In caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare al momento dell’apertura della successione fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione del diritto reale di abitazione al coniuge superstite.

L'art 540 c.c. riserva al coniuge del defunto il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano.

L’art 548 c.c. attribuisce genericamente al coniuge separato cui non è stata addebitata la separazione, gli stessi diritti successori del coniuge non separato, si era ritenuta l’estensione automatica del diritto di abitazione.

Solo di recente la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la questione dopo un decennio di contrastanti interpretazioni. 

La sentenza del 22 ottobre 2014, n. 22456 ha ritenuto che il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite ha ad aggetto l'immobile che in concreto era adibito a residenza familiare in cui entrambi i coniugi vivevano insieme stabilmente organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare.

La Ratio della norma di cui all’art 540 c.c. non è tanto la tutela dell'”interesse economico” del coniuge superstite di disporre di un alloggio, quanto dell'”interesse morale” legato alla conservazione dei rapporti affettivi e consuetudinari con la casa familiare. 

Ad esempio la conservazione della memoria del coniuge scomparso, e lo stato sociale goduto durante il matrimonio.

In caso pertanto di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l'impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell'attribuzione del diritto di abitazione.

 

PER CHIARIMENTI E CONSULENZE SCRIVERE ALLA SEGUENTE MAIL: CHIARA.CONSANI@VIRGILIO.IT

lunedì 15 settembre 2014

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA DECRETO LEGGE 132/2014

 
DECRETO LEGGE 12 SETTEMBRE 2014 N. 132
MISURE URGENTI DI DEGIURISDIZIONALIZZAZIONE ED ALTRI INTERVENTI PER LA DEFINIZIONE DELLARRETRATO IN MATERIA DI PROCESSO CIVILE

(G.U. n. 212 del 12.9.2014)

 
RIFORMA DELLA GIUSTIZIA
 
PROCESSO CIVILE
 
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente e del Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha approvato sette provvedimenti sulla giustizia, di cui uno in co-proponenza con il Ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Oltre ai provvedimenti per la giustizia civile, è stato approvato anche il disegno di legge su "Modifiche alla normativa penale, sostanziale e processuale e ordinamentale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi, oltre che all'ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena".

 
Interventi in materia di degiurisdizionalizzazione e processo civile – decreto legge Di seguito i punti principali del provvedimento:

Decisioni delle cause pendenti mediante il trasferimento in sede arbitrale forense. Sia nelle cause civili pendenti in primo grado che in grado d’appello le parti potranno congiuntamente richiedere di promuovere un procedimento arbitrale (secondo le ordinarie regole dell’arbitrato contenute nel codice di procedura civile espressamente richiamate).

Conciliazione con l’assistenza degli avvocati (negoziazione assistita). Si vuole realizzare una procedura cogestita dagli avvocati delle parti e volta al raggiungimento di un accordo conciliativo che, da un lato, eviti il giudizio e che, dall’altro, consenta la rapida formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale.

Negoziazione assistita nelle cause di separazione e divorzio. Sono regolate le convenzioni di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni consensuali in tema di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio (nei casi di avvenuta separazione personale), di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

Ulteriore semplificazioni dei procedimenti di separazione o divorzio (accordo ricevuto dall’ufficiale dello stato civile) Con ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio è previsto che i coniugi possano comparire innanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune per concludere un accordo di separazione, o di scioglimento del matrimonio, o di cessazione degli effetti civili o, infine, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

 Modifica al regime della compensazione delle spese: chi perde rimborsa le spese del processo Nonostante le modifiche restrittive introdotte negli ultimi anni, nella pratica applicativa si continua a fare larghissimo uso del potere discrezionale di compensazione delle spese processuali, con conseguente incentivo alla lite, posto che la soccombenza perde un suo naturale e rilevante costo, con pari danno per la parte che risulti aver avuto ragione.

Passaggio dal rito ordinario al rito sommario: le cause semplici richiedono un processo semplice. L’intervento è volto a consentire, per le cause meno complesse e per la cui decisione è idonea un’istruttoria semplice, il passaggio d’ufficio, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, dal rito ordinario di cognizione al rito sommario.

Dichiarazioni rese al difensore: l’avvocato può sentire i testimoni fuori dal processo. Con la finalità di accelerare e razionalizzare le procedure di assunzione delle prove (prospettiva che si assume complementare all’ampio spazio concesso nel presente intervento normativo alla risoluzione stragiudiziale delle controversie), si introduce una specifica norma mediante la quale si realizza la tipizzazione delle dichiarazioni scritte rese al
difensore, quali fonti di prova che la parte può produrre in giudizio sui fatti rilevanti che ha l’onere di provare.

 Dimezzamento dei termini di sospensione feriale dei procedimenti. È stato stabilito che il periodo feriale nei tribunali sia compreso dal 6 agosto al 31 agosto (anziché dal 1 agosto al 15 settembre).

Ritardo nei pagamenti: chi non paga i propri debiti dovrà pagare più interessi Al fine di evitare che i tempi del processo civile diventino una forma di finanziamento al ribasso (in ragione dell’applicazione del tasso legale d’interesse) - e dunque che il processo stesso venga a tal fine strumentalizzato - andrà previsto uno specifico incremento del saggio di interesse moratorio durante la pendenza della lite.

Automatizzazione dei registri informatici di cancelleria relativi al processo di esecuzione. Spetta al creditore a trasmettere per via telematica in cancelleria la nota di iscrizione a ruolo, unitamente all’atto di pignoramento, al titolo esecutivo e al precetto.

Modifiche alla competenza territoriale del giudice dell’esecuzione. È previsto che, per tutti i soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche, la competenza per i procedimenti di espropriazione forzata di crediti verrà radicata presso il tribunale del luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore.

Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. L’intervento in materia di ricerca dei beni da pignorare è volto a migliorare l’efficienza dei procedimenti di esecuzione mobiliare presso il debitore e presso terzi in linea con i sistemi ordinamentali di altri Paesi europei. La strada seguita è quella dell’implementazione dei poteri di ricerca dei beni dell’ufficiale giudiziario, colmando l’asimmetria informativa esistente tra i creditori e il debitore in merito agli assetti patrimoniali appartenenti a quest’ultimo.

Eliminazione dei casi in cui la dichiarazione del terzo debitore va resa in udienza

Obbligo di ordinare la liberazione dell’immobile con la pronuncia dell’ordinanza di vendita

Provvedimenti circa i mobili estranei all’esecuzione per rilascio

 Infruttuosità dell’esecuzione Viene introdotta una fattispecie di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità (art. 164-bis disp. att. c.p.c.) quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo.