mercoledì 24 agosto 2011

PERDITA DEI BENEFICI FISCALI PRIMA CASA.


Cass. Civ., Sez. V, n. 13291 del 17 giugno 2011.

“Perde le agevolazioni fiscali sulla prima casa il contribuente che rivende prima dei cinque anni l’immobile per riacquistare una quota insignificante di un altro. Infatti, l’acquisto non dell’intero, ma di una quota dell’immobile, può beninteso integrare il requisito detto, ma solo qualora significativa, di per sé, della concreta disponibilità di disporre del bene sì da poterlo adibire a propria abitazione. Ciascun partecipante alla comunione, infatti, stabilisce l’art. 1102 c.c., può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non ne impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. L’acquisto di una quota particolarmente esigua di un immobile non può comportare da solo il potere di disporre del bene come abitazione propria; esso è, cioè, inidoneo a realizzare l’abitazione che è la finalità perseguita dal legislatore con il riconoscimento dell’aliquota dell’imposta ridotta sugli atti d’acquisto e non vale, pertanto, a realizzare la condizione dell’“acquisto di altro immobile” di cui al comma IV della nota II-bis dell’art. 1 della tariffa, parte prima, del D.P.R. n. 131/1986.”

lunedì 8 agosto 2011

SPESE CONDOMINIALI A CARICO DELL’ACQUIRENTE??

L’articolo 63 delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile, al secondo comma recita: “Chi subentra nei diritti di un condominio è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso ed a quello precedente”.

Il nuovo condomino è obbligato solidalmente con il suo venditore a versare i contributi relativi all’anno in corso ed a quello precedente. Il che significa che, con i limiti di tempo indicati, l’acquirente può essere chiamato dall’amministratore a pagare le spese riguardanti un periodo di tempo in cui non era proprietario.

Egli si sostituisce al venditore nel pagamento, restando però fermo il suo diritto di rivalsa nei confronti del venditore stesso per il recupero di tutte le somme che sia stato costretto a versare al condominio.

La norma fonda il principio della c.d. “ambulatorietà passiva” delle obbligazioni condominiali, e determina un criterio volto ad agevolare il Condominio nella riscossione dei crediti grazie al quale, in caso di disaccordo fra venditore e acquirente, l’amministratore del Condominio potrà rivolgersi indifferentemente all’acquirente o al venditore per la riscossione delle obbligazioni condominiali relative all’anno in corso ovvero a quello precedente l’intervenuta compravendita, salva la facoltà dell’acquirente di esercitare azione di regresso verso il venditore per quanto pagato in eccedenza.


SPESE DI MANUTENZIONE STRAORDINARIA

Fattispecie: all’acquirente viene chiesto di pagare spese riguardanti opere di carattere straordinario eseguite sull’immobile successivamente all’acquisto, ma autorizzate con una delibera assembleare che risale a prima dell’atto di compravendita, alla quale non ha partecipato, e della quale potrebbe anche essere completamente ignaro, qualora non ne fosse mai stato informato e/o non fossero state previste particolari clausole specifiche nella proposta di acquisto, oppure nel contratto preliminare.

Secondo una parte della giurisprudenza il momento chiave in cui passano oneri e onori è da considerarsi la data del rogito notarile, indipendentemente dal fatto che la delibera sia stata antecedente all’atto di compravendita; in altre parole, fino al rogito notarile paga il vecchio proprietario, mentre con il passaggio di proprietà l’acquirente si assume anche l’onere delle spese straordinarie, sebbene non le abbia deliberate e/o non ne fosse addirittura a conoscenza. (In questo ultimo caso si pone un’ulteriore problematica collegabile alla buona fede dell’acquirente e al fatto che, se avesse conosciuto tali spese, avrebbe comprato a un prezzo differente.)

In altre sentenze la Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo del condomino di pagare i contributi sorge nel momento della concreta esecuzione dei lavori occorrenti per la manutenzione e quindi nel momento che si rende necessaria l’effettuazione della spesa  (Cassazione, Sentenza 16 giugno – 9 settembre 2008, n. 23345, Suprema Corte di Cassazione n. 6323 del 18 aprile 2003,  Corte di Cassazione 26 gennaio 2000, n. 857, in Arch. loc., 2000, 419, e 17 maggio 1997, n. 4393, in Foro It., 1998, I, 2204.)
Secondo la Cassazione nei confronti del condominio l’obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, atteso il carattere meramente dichiarativo di tali delibere, ma dal momento in cui sia sorta la necessità della spesa ovvero la concreta attuazione dell’attività di manutenzione e quindi per effetto dell’attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell’autorizzazione accordata all’amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestione.
Quindi, l’obbligazione di ciascun condomino, di contribuire alle spese per la conservazione dei beni comuni nasce nel momento in cui è necessario eseguire le relative opere, mentre la delibera dell’assemblea di approvazione della spesa, che ha la funzione di autorizzarla, rende liquido il debito di cui in sede di ripartizione viene determinata la quota a carico di ciascun condomino, sicché, in caso di compravendita di un’unità immobiliare sita in edificio soggetto al regime del condominio, è tenuto alla spesa colui che è condomino al momento in cui si rende necessario effettuare la spesa (Cassazione – sentenza n. 6323/2003).


Recentemente la giurisprudenza si è pronunciata nuovamente sulla questione della ripartizione delle spese condominiali di straordinaria amministrazione ed ha individuato come momento essenziale per determinare chi deve pagare tali spese non la data del rogito notarile, ma la titolarità del bene alla data in cui c’è stata la delibera condominiale. Tale opinione, ha la sua ragione nel fatto che solo il vecchio proprietario poteva proporre, controllare ed eventualmente opporsi a tale decisione.
La Suprema Corte con sentenza n. 24654/2010 ha ritenuto che l’obbligo di pagare i contributi per le spese riguardanti opere di ristrutturazione delle parti comuni dell’edificio grava su colui che era proprietario al momento dell’adozione della delibera di approvazione delle spese stesse, a nulla rilevando il momento di effettiva esecuzione dei lavori.


Per ciò secondo l’orientamento più recente nel caso di vendita di un appartamento, è tenuto alla spesa chi riveste la qualità di condomino al momento in cui viene adottata la delibera che autorizza il compimento di tali atti di amministrazione straordinaria.
Nonostante pertanto la responsabilità solidale ai sensi dell’art 63 delle disp. Att. Codice civile tra acquirente e venditore, l’acquirente, richiesto del pagamento da parte del condominio per spese deliberate prima del rogito, è tenuto a pagare ma ha azione di rivalsa nei confronti del venditore.

RIMEDI CONTRATTUALI:
Per ovviare a questi problemi, suggeriamo prima del rogito di:
1) Prendere visione del Regolamento di Condominio;
2) Sapere a quanto ammontano le spese ordinarie annue;
3) Informarsi tramite l’Amministratore se ci sono lavori straordinari già deliberati e/o in fase di delibera ed eventualmente puntualizzare tali aspetti in sede di contratto;
4) Farsi dare dal venditore, contestualmente al rogito notarile, lettera di liberatoria dell’amministratore comprovante l’avvenuto pagamento delle spese ordinarie.

  
LA CLAUSOLA A VALIDITA’ PARZIALE:

Bisogna, poi, a tal proposito menzionare le problematiche sottese alla stesura della cosiddetta Clausola a validità parziale.

Tale clausola è inserita nell’atto di compravendita e con essa il venditore si assume ogni onere in ordine a spese pregresse od a interventi deliberati prima della cessione del bene, ma la clausola ha efficacia esclusivamente tra le prati contraenti e non è opponibile al condominio.

Nulla, perciò impedisce all’amministratore condominiale di rivolgersi comunque all’acquirente, salvo il diritto di quest’ultimo di esercitare la specifica azione di rivalsa nei confronti del venditore.



martedì 19 luglio 2011

LA DIRETTIVA BOLKESTEIN E LE CONCESSIONI DEMANIALI:

Nel gennaio 2009 la Commissione Europea ha trasmesso al Governo Italiano un documento di infrazione in materia di affidamento delle concessioni demaniali marittime.

La Direttiva in esame è stata scritta e proposta dall'ex Commissario Europeo per la Concorrenza e il Mercato Interno della UE, Frits Bolkestein, La proposta è stata approvata all'unanimità dalla Commissione Europea, presieduta all'epoca da Romano Prodi.

L’OBBIETTIVO DELLA BOLKESTEIN:
La direttiva comunitaria 2006/123/CE, si pone l'obiettivo di “eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra Stati membri nonché garantire ai destinatari e ai prestatori la certezza giuridica necessaria all’effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato.”

Il legislatore comunitario vuole abbattere le barriere economiche e strutturali che, di fatto, ancor oggi non consentono la piena libertà di circolazione e la completa e garantita libertà di stabilimento.

LE INFRAZIONI CONTESTATE:
In particolare si contesta all’Italia in ordine alle concessioni demaniali delle spiagge:
-       la compatibilità del diritto preferenziale di insistenza di cui all’art. 37 cod. nav. con i principi di cui all’art. 43 Trattato Ce e dell’art.12 di cui alla direttiva servizi n. 2006/123/CE;
-       la compatibilità  del rinnovo automatico della concessione alla scadenza sessennale di cui all’art. 1, c. 2, d.l. 400/1993, conv. L. 494/1994, e successivamente modificato dall’art. 10 L. 88/2001.

A parere della Commissione Europea detti due aspetti contrastano con i principi di libertà di stabilimento delle imprese comunitarie (art. 43 Trattato CE) e di imparzialità, trasparenza e pubblicità delle procedure di selezione dei concessionari (art. 12, direttiva 2006/123/CE).

AMBITO APPLICATIVO:
Tra i settori che coinvolgono detta direttiva si parla di “servizi ai consumatori, quali i servizi nel settore del turismo, compresi i servizi ricreativi, i centri sportivi, i parchi di divertimento”, ricomprendendosi fra i destinatari della normativa anche le imprese turistico-balneari esistenti nel nostro territorio.

IL SISTEMA NORMATIVO DELLE CONCESSIONI BALNEARI IN ITALIA:
E’ opportuno esporre il sistema vigente della normativa di settore.

Il demanio marittimo, nel nostro Paese, è regolato oltre che dall’art 822 c.c. in ordine al demanio pubblico, da alcune leggi speciali ed in particolare:

- Art. 36 del codice della navigazione dispone al primo comma che:
“L'amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l'occupazione e l'uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo.”


- Art. 37 del medesimo codice dispone che:
Nel caso di più domande di concessione, è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell'amministrazione, risponda ad un più rilevante interesse pubblico.
Al fine della tutela dell'ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. E' altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze.
Qualora non ricorrano le ragioni di preferenza di cui ai precedenti commi, si procede a licitazione privata.”

- L’articolo 1 del d.l. n. 400/1993 ha stabilito che “la concessione dei beni demaniali marittimi può essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici e per servizi e attività portuali e produttive, per l'esercizio delle seguenti attività: a) gestione di stabilimenti balneari; b) esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio; c) noleggio di imbarcazioni e natanti in genere; d) gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive; e) esercizi commerciali; f) servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di utilizzazione di cui alle precedenti categorie di utilizzazione” e che (comma 2) tali concessioni avrebbero avuto, sic et simpliciter, durata quadriennale ovvero altra durata concessa e autorizzata a partire da motivata richiesta degli interessati”;

- la legge n.88/2001 (“Nuove disposizioni in materia di investimenti nelle imprese marittime”) all'articolo 10 (“Disposizioni concernenti le concessioni dei beni demaniali marittimi”), ha introdotto il meccanismo del rinnovo automatico della durata delle concessioni demaniali marittime, posto che “le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell'articolo 42 del codice della navigazione”, quest'ultimo inciso facendo salvo il potere di “revoca delle concessioni” previsto nel Codice anzidetto.

- La legge n. 296/2006 ha modificato l'articolo 3 del d.l. n. 400/1993 prevedendo la possibilità di essere titolari di concessioni demaniali marittime per una durata non inferiore a 6 anni e non superiore a 20 anni “in ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”;

IL CANONE DELLA CONCESSIONE:
La nuova disciplina dettata dalla legge finanziaria 2007 modifica il precedente impianto normativo, prevedendo per la prima volta un'articolazione dei criteri di quantificazione dei canoni. Accanto al canone tabellare, che continua ad applicarsi per alcune tipologie di beni demaniali oggetto di concessione, viene introdotto un canone commisurato al valore di mercato, sia pure mitigato da alcuni accorgimenti e abbattimenti.


L’ARTICOLO 12 DELLA DIRETTIVA COMUNITARIA:
L’articolo 12 della direttiva prevede che “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”. In tali casi “l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”.


L’IMPATTO DELLA DIRETTIVA SUL SISTEMA NORMATIVO ITALIANO:

Per effetto della “direttiva servizi”, le concessioni sul demanio marittimo non potranno più essere rinnovate automaticamente, non valendo più il diritto di insistenza, ma anzi dovranno essere oggetto di un bando con procedura di evidenza pubblica alla scadenza temporale di ogni concessione.

Le nostre imprese balneari sono tipicità nazionali a tutti gli effetti e offrono un monitoraggio costante del territorio sia da un punto di vista ambientale che della pubblica sicurezza della balneazione.  

Gran parte degli attuali concessionari, che rappresentato da piccoli imprenditori, sono preoccupati di veder vanificati gli sforzi compiuti in lunghi anni di lavoro nella creazione del valore economico degli stabilimenti balneari.

Il quadro normativo italiano, prima della direttiva servizi,  era più certo tanto che ha dato la possibilità ai concessionari balneari di investire diversi milioni di euro nelle strutture turistiche ricettive, soprattutto a partire dal 2006, anno in cui si è assistito a un forte rinnovamento delle strutture balneari che, grazie al rinnovo automatico, hanno permesso agli istituti bancari di iscrivere ipoteca sulle strutture (previo nulla osta degli uffici demaniali) per mutui di durata anche ventennale.

LE COSTRUZIONI REALIZZATE DAI CONCESSIONARI:
Il concessionario di un’area demaniale, sulla quale abbia ottenuto l’autorizzazione ad edificare opere rimuovibili , è titolare di un diritto reale su beni demaniali “assimilabile” al diritto di superficie regolato dall’art. 952 cod. civ. avente natura temporanea e soggetta ad una peculiare regolamentazione in ordine al momento della sua modificazione, estinzione o cessazione.  

L’INDENNIZZO IN FAVORE DEI CONCESSIONARI:
L’art. 49 del codice della navigazione dispone che"…quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell'autorità concedente di ordinarne la demolizione, con restituzione del bene demaniale al pristino stato", richiama in pratica l'istituto dell'accessione, di cui all'art. 934 cod. civ. - con deroga al principio dell'indennizzo, di cui al successivo art. 936 - va interpretato nel senso che l'accessione si verifica "ipso iure", al termine del periodo di concessione.
A norma dell'art. 49 del codice della navigazione, sono soggette ad accessione, al termine del rapporto concessorio, solo le opere "non amovibili", nel presupposto che per tali opere, destinate a restare sul territorio o ad essere distrutte, debba assicurarsi la piena disponibilità per l'ente proprietario del suolo, a fini di corretta gestione delle medesime nell'interesse pubblico.

Una recentissima sentenza del Consiglio di Stato in sede Giurisdizionale (26.05.2010) ha dichiarato che “può giustificare l’inapplicabilità del principio dell’accessione gratuita, fortemente penalizzante per i superficiari, quando il titolo concessorio preveda forme di rinnovo automatico e preordinato in antecedenza rispetto alla data di naturale scadenza della concessione, tanto da figurare il rinnovo stesso, al di là del nomen juris, come una vera e propria proroga, protraendosi il medesimo rapporto senza soluzione di continuità”.

Questa sentenza potrebbe aprire le porte ad un eventuale indennizzo che lo Stato od il “nuovo” concessionario dovrebbe corrispondere al “vecchio” per caso di mancato rinnovo della concessione a seguito di miopia del legislatore, in quanto quest’ultimo, altrimenti, avrebbe diritto di demolire tutti i manufatti dal medesimo costruiti, rendendo assolutamente inappetibile l’acquisizione degli stabilimenti balneari da parte dell’Agenzia del Territorio, in quanto l’Agenzia di fatto non acquisirebbe che “rena”.


I PROVVEDIMENTI DELLO STATO ITALIANO:

IL DECRETO MILLEPROROGHE:
Con l’approvazione della Legge n 25 del 26/2/2010 con il quale è stato convertito in legge il decreto Milleproroghe è stato abrogato il secondo periodo dell’art. 37 del Codice della navigazione, sopprimendo il diritto di insistenza per il rinnovo della concessione ed è stata prorogata al 31 dicembre 2015 la proroga delle concessioni demaniali e conferma il disposto dell'art. 3 comma 4 bis della legge 494/93 attinente alla possibilità per gli imprenditori di correlare l'ammontare degli investimenti con la durata della concessione.

IL FEDERALISMO DEMANIALE:
Con il Decreto Legislativo n. 85 del 28 Maggio 2010 sul c.d “federalismo demaniale”, è stata attribuita la titolarità di gran parte dei beni del demanio dello Stato alle Regioni, Province, Comuni e Città Metropolitane.
Detto decreto, in effetti non cambia nulla della disciplina delle concessioni demaniali marittime e dei canoni che vengono pagati per esse.
Il 1° comma dell’art. 4 stabilisce, che i beni del demanio marittimo non entrano a far parte del patrimonio disponibile delle Regioni (restando, quindi, nel patrimonio indisponibile di esse), a differenza della maggioranza dei beni demaniali trasferiti, e che essi restano assoggettati al regime stabilito dal Codice Civile, dal Codice della Navigazione, dalle leggi statali e regionali (comprese, quindi, la Legge 296/2006 - Legge Finanziaria per il 2007, che prevede gli attuali canoni di concessione e tutte le Leggi Regionali che disciplinano il rilascio delle concessioni demaniali marittime) e dalle norme comunitarie di settore, con particolare riguardo a quelle di tutela della concorrenza (Direttiva CE 123/2006, la c.d. Direttiva “Bolkestein” sulla concorrenza nel settore dei servizi). Su questi beni non possono, quindi, essere costituiti diritti di superficie. Inoltre preme evidenziare, come le Regioni non abbiano in ogni caso  la competenza legislativa per determinare la misura dei canoni delle concessioni demaniali marittime, dato che tale facoltà è attribuita allo Stato, ai sensi del 3° comma dell’art. 117 della Costituzione.


IL TENTATIVO DEL DECRETO SVILUPPO “IL DIRITTO DI SUPERFICIE” RISCHIO SCONGIURATO:

Inizialmente il Decreto Sviluppo proponeva che “Fermo restando il diritto di passaggio sulle spiagge che è inviolabile, tutto ciò che è terreno su cui insistono gli insediamenti turistici (chioschi, stabilimenti balneari, strutture ricettive) sarà oggetto di diritto di superficie che dura 90 anni (poi ridotto a 20 anni).”

Il Governo nell’attuazione del Decreto Sviluppo è stato costretto a fare marcia. Il diritto di superficie ventennale sulle spiagge oltre ad essere una minaccia per l’ambiente e per le coste italiane, di fatto rappresentava un rischio anche per le migliaia di imprese del settore balneare. Allo scadere del diritto di superficie infatti la titolarità delle costruzioni realizzate veniva acquisita automaticamente al demanio.


LE POSSIBILI SOLUZIONI:

1) Si deve sollecitare il legislatore comunitario a interpretare la direttiva in questione, escludendo dall'applicazione della direttiva servizi il settore turistico-balneare e ricreativo.
La Direttiva Servizi Bolkestein è rivolta ai "servizi pubblici", a quelle attività che gli Stati o gli Enti territoriali delegano a loro "partecipate" o a imprese private, affinchè svolgano "servizi diretti"a favore della collettività, che essi Stati o Enti non possono o scelgono di non svolgere (ferrovie, poste, ospedali....etc..).
Essa, quindi, non è idonea a disciplinare le "imprese balneari", che utilizzano una pubblica superficie quale "strumento" aziendale offrendo un servizio privato e non pubblico.

Gli stabilimenti balneari sono stati riconosciuti come imprese turistiche dall'art. 7 della legge 27 marzo 2001 n. 133 la quale ha dissolto ogni incertezza in tal senso.

2) Si deve altresì far leva sulla esistenza di un “rilevante settore di mercato delle concessioni di demanio marittimo” rispetto al quale opera un impianto normativo domestico, derogatorio a quello comunitario ma rispettoso dei principi generali di quest'ultimo. Si rileva l’opportunità del rilascio di titoli autorizzativi più lunghi con la previsione di una indennizzo d'ingresso o il rilascio di una concessione demaniale non frazionata affidata a consorzi di balneatori.

3) Altra soluzione potrebbe essere la “sdemanializzazione” degli arenili, conseguente a una operazione di ridimensionamento della fascia di spiaggia (che resterebbe bene demaniale), successivamente perimetrata e differenziata dall'arenile (il quale ultimo verrebbe, invece, ceduto in proprietà agli odierni concessionari).

4) Ulteriore soluzione potrebbe essere quella di assecondare la direttiva europea. Con un meccanismo, che preveda le aste concedendo al proponente la possibilità di commisurare la durata della concessione all’entità degli investimenti previsti, il tutto con la massima trasparenza per selezionare la migliore proposta sia da un punto di vista economico (il canone-prezzo di concessione che sarà poi incassato dall’Amministrazione locale) sia sulla qualità e la varietà dell’attività su criteri come “salute pubblica, politiche sociali, ambientali e della salvaguardia del patrimonio culturale” e di altri ancora collegati all’interesse generale.

5) Sono allo studio, da parte dell'Esecutivo, l'istituzione dei distretti "turistico-balneari" con i quali tentare di tenere fuori dall'applicazione della Bolkestein le nuove realtà (stabilimenti, alberghi, centri congressi) che verranno nelle località turistiche di mare o di lago, con le agevolazioni previste per i distretti o per i contratti di rete di imprese.

CONCLUSIONE:
Questo studio legale sta affrontando l’approfondimento della problematica inerente alla applicazione della Direttiva Comunitaria in esame ai Balneari.

Nella speranza che il nostro legislatore risolva al più presto la questione dei Balneari tutelando i diritti di una categoria così importante per l’impresa dei servizi privati italiana, siamo a disposizione dei Balneari per ogni consulenza.






sabato 2 luglio 2011

IL PRESTITO VITALIZIO IPOTECARIO

Il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, recante misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, convertito, con modificazioni, nella legge n. 248 del 2 dicembre 2005, recante norme in tema di interventi infrastrutturali, per la ricerca e per l'occupazione, all’art. 11 quaterdecies introduce il prestito vitalitazio ipotecario.

DEFINIZIONE:
“Il prestito vitalizio ipotecario ha per oggetto la concessione da parte di aziende ed istituti di credito nonché da parte di intermediari finanziari, di cui all'articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, di finanziamenti a medio e lungo termine con capitalizzazione annuale di interessi e spese, e rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza, assistiti da ipoteca di primo grado su immobili residenziali, riservati a persone fisiche con età superiore ai 65 anni compiuti.

NORMATIVA:
Il legislatore si è limitato purtroppo a delineare in maniera eccessivamente sintetica il profilo e la natura del prestito vitalizio in oggetto:
- enti abilitati (banche o enti di cui all’art 106 TUB);
- soggetti beneficiari (persone fisiche con età superiore a 65 anni);
- finanziamento a medio o lungo termine;
- capitalizzazione annuale degli interessi e spese;
- ipoteca di primo grado su immobili residenziali;
- rimborso integrale in unica soluzione alla scadenza.

RATIO:
Il prestito vitalizio ipotecario è concepito come strumento finalizzato ad aiutare gli anziani che spesso si trovano in condizioni di povertà, con redditi non sufficienti a finanziare i consumi e le spese mediche e di assistenza, sebbene, molti di loro dispongano di un discreto patrimonio immobiliare che non riescono a rendere immediatamente liquido.

Pertanto i prestiti vitalizi ipotecari (“reverse mortgage” o "equity release"), sono strumenti finanziari che:
-       sostengono il consumo degli anziani senza che essi si privino dell'abitazione di proprietà;
-       consente al’anziano che è già proprietario di un immobile, di accedere ad un credito sulla base del valore dell’abitazione

AMMONTARE DEL PRESTITO:
L’importo del prestito è variabile tra il 20% ed il 50% del valore dell’immobile offerto in garanzia e compreso tra i 20.000,00 ed i 350.000,00 Euro - riservati a persone fisiche che abbiano superati i 65 anni e siano proprietarie di un immobile residenziale.
L'ammontare del prestito concesso dipende da tre fattori:
1)   il valore dell'abitazione;
2)   il tasso di interesse;
3)   l'età del debitore.
Tanto più è elevato il valore dell’abitazione, tanto maggiore sarà l’ammontare del prestito.
All’aumentare del tasso di interesse, aumenta anche il valore del capitale da restituire alla morte del debitore.

In considerazione della particolare articolazione dell’obbligazione di rimborso ed in presenza delle predette variabili, che contribuiscono a conferire al contratto in esame un’alea maggiore rispetto a fattispecie contrattuali analoghe, l’importo finanziabile non può superare in genere un importo compreso tra il 20% ed il 50% del valore dell’immobile offerto in garanzia, tenuto conto della durata del prestito, degli interessi passivi, del diverso valore che l’immobile avrebbe in fase di liquidazione ed infine l’interesse degli eventuali eredi a procedere al rimborso del finanziamento.
Il tasso indicato, del 6%, fatte salve le normali oscillazioni del mercato, è più elevato rispetto a quello dei tradizionali mutui ma inferiore a quello dei prestiti personali.

MODALITA’ DI EROGAZIONE:
Il finanziamento viene messo a disposizione del cliente in un unico versamento, sotto forma di apertura di credito o attraverso pagamenti periodici per un periodo prefissato o per l’intera vita del mutuatario.

CAUSA DEL CONTRATTO:
Il contratto ha la sua causa nel finanziamento, o ha una causa mista: di finanziamento e di assicurazione. La causa assicurativa si ritrova nell’intento di garantire, vita natural durante del finanziato, una quantità determinata di denaro periodicamente erogata per una quantità di volte non determinabili non essendo determinabile la durata della vita di una persona.

SCADENZA DEL CONTRATTO:
La scadenza del contratto coincide normalmente con la data di decesso del finanziato.
Eccezionalmente la scadenza può essere anticipata: nel caso di vendita dell’immobile ipotecato o quando lo stesso non sia mantenuto in buono stato di manutenzione.

RIMBORSO:
Non è previsto alcun piano di rimborso rateale.
Ogni anno maturano gli interessi e le spese sul finanziamento i quali vengono capitalizzati annualmente e dovranno essere corrisposti in unica soluzione alla scadenza finale, dopo la morte del mutuatario.
Il debito che graverà pertanto sugli eredi del finanziato deve essere rimborsato normalmente entro i 10 mesi successivi alla scomparsa del mutuatario (oppure del coniuge più longevo in caso di finanziamenti cointestati a coppie di anziani).
Allo scadere del debito gli eredi possono:
• estinguere il debito e liberare l’immobile dall’ipoteca;
• vendere l’immobile ipotecato ed estinguere il debito;
• lasciare che la banca escuta la garanzia mediante esecuzione forzata.
Qualora invece non esistano eredi, o questi non procedano al rimborso, il finanziamento verrà ripianato con la vendita dell’immobile, ma solo trascorsi almeno 12 mesi dalla data di scadenza del finanziamento.

ALEA:
L’alea di tale tipologia di prestito è connessa all'incertezza della sua durata commisurata alla vita dell’anziano.


TIPOLOGIE DI IMMOBILI PER LA GARANZIA IPOTECARIA:
Sono ammesse tutte le tipologie di immobili residenziali escluse le seguenti:
• Immobili con valore inferiore in genere ad € 100.000,00 rustici e immobili non residenziali
• Immobili in zone ad elevato rischio sismico, a meno di idonea copertura
assicurativa
• Immobili gravati da vincoli artistici, paesistici, idrogeologici o senza concessione edilizia
• Immobili edificati su zone concesse dai comuni ex lege 167/1962
• Immobili gravati da ipoteca, fatta salva l’ipotesi di cancellazione dell’ipoteca preesistente.
 
I RISCHI DEL PRESTITO VITALIZIO FONDIARIO:
Il rischio per il creditore è:
- che il prestito possa superare il valore dell’immobile a causa dei tassi di interesse annuali;
- che i prezzi delle abitazioni si riducano rispetto alla data di stipula del contratto,
- che i tassi di interesse aumentino (nel caso di prestito a tasso variabile).

CLAUSOLE PARTICOLARI CONNESSE A TALE PRESTITO:

- IL DIVIETO DI ALIENAZIONE:
In molti contratti, tenuto conto dell’importanza dell’immobile per l’istituto di credito viene previsto che, con effetto dalla data della conclusione del contratto, il mutuatario si obblighi a non vendere né a disporre a qualsivoglia titolo ed a non costituire diritti reali di godimento o di garanzia sul bene oggetto dell'incarico di cui sopra, sia direttamente che a mezzo di interposta persona, tranne nell’ipotesi in cui il trasferimento sia concordato con la banca e volto ad estinguere il debito.
Quanto ai criteri di cui all’art.1379 cc. (convenienti limiti di tempo e apprezzabile interesse di una delle parti), pare si ravvisi nella clausola in esame l’interesse apprezzabile; tutto da discutere è il limite di tempo visto che il divieto dovrebbe durare quanto dura il mutuo vitalizio.

- IL RIMBORSO NEI LIMITI DEL VALORE DEL BENE:
Per mitigare il rischio di contestazione degli eredi su invito del finanziato alcuni istituti di credito si obbligano a non richiedere agli eredi più di quanto venga realizzato con la vendita del bene.
Ciò che invero non riduce il rischio che il bene ipotecato esca dal patrimonio ereditando, se gli eredi non avessero una liquidità capiente per la restituzione del prestito.

DIFFERENZE CON IL MUTUO:
A differenza di quanto avviene in un normale contratto di mutuo, in cui un soggetto accede ad un credito per acquistare un’abitazione e si obbliga a restituire il prestito con rate periodiche, nel prestito vitalizio ipotecario il debitore, finché è in vita, non è tenuto né alla restituzione del prestito né al pagamento degli interessi.

DIFFERENZE CON LA RENDITA VITALIZIA:
La somiglianza della rendita vitalizia col prestito vitalizio ipotecario è d’evidenza lampante.
La differenza sta in ciò che la rendita comporta la cessione di un bene immobile, nel prestito vitalizio ipotecario non si ha cessione di un bene ma la costituzione di una ipoteca.


Posta l’alea ed i rischi inerenti all’istituto del prestito fondiario vitalizio si invitano tutti coloro che intendano richiedere una tale forma di finanziamento di prendere visione delle condizioni generali proposte dall’istituto bancario erogante, onde evitare spiacevoli sorprese per i propri eredi, il più delle volte figli dei finanziati.
Si offre consulenza e assistenza per la stipula di tali negozi di finanziamento per ogni chiarimento invia una e-mail: chiara.consani@virgilio.it

martedì 21 giugno 2011

POSTE ITALIANE: VIA LIBERA AL RIMBORSO PER BLACK OUT!!!


Poste Italiane ha incontrato le associazioni di consumatori ed ha definito, d’intesa con loro, modalità e tempi per la presentazione delle domande di conciliazione per il rimborso a favore dei cittadini che hanno subito danni a causa dei problemi informatici avvenuti nei primi giorni di giugno negli uffici postali.

La procedura di conciliazione sarà gratuita. L’azienda ha confermato ai rappresentanti dei consumatori la propria volontà di riconoscere un rimborso a tutti coloro che abbiano subito un danno documentabile tra il 1° e  il 10 giugno.

I cittadini interessati potranno richiedere il rimborso a partire dal 1° luglio fino al 31 dicembre prossimi consegnando le domande direttamente negli uffici postali o presso le sedi delle poste italiane. I moduli saranno a disposizione negli uffici postali, presso le sedi e potranno essere scaricati dal sito delle Poste. Le richieste saranno poi valutate caso per caso al tavolo di Conciliazione che sarà composto da un rappresentante dell’azienda e dal rappresentante dell’associazione scelta dal cliente.

Per informazioni e assistenza contattaci.

IL COGNOME: VERSO LA PARITÀ TRA MADRE E PADRE?


Il figlio legittimo sino ad oggi assume nel nostro ordinamento il cognome del padre. Non vi è alcuna norma giuridica che lo preveda espressamente, ma esso è divenuto principio giuridico generale e consolidato nel nostro ordinamento.

L’apertura verso la possibilità di attribuire al figlio legittimo il cognome della madre o il doppio cognome si è avuta con la ratifica da parte dell’Italia del Trattato di Lisbona.

Il trattato di Lisbona vieta ogni forma di discriminazione tra uomini e donne.
Conseguentemente non è più giustificabile una disparità di trattamento in tema di cognome.
L’Italia, come tutti i 27 stati membri, ha  il dovere di uniformarsi ai principi fondamentali della Carta dei diritti Ue.

La Cassazione n 23934/2008:

IL CASO:
Il caso del quale è stata investita la Suprema Corte riguardava due genitori che, in totale accordo, avevano chiesto di attribuire al proprio figlio il cognome della madre al posto di quello del padre scritto nell’atto di nascita.

Il tribunale e la Corte d’appello di Milano avevano respinto la richiesta. E allora i giudici della Cassazione hanno risposto ricordando che oggi, dopo la ratifica del trattato di Lisbona (in cui, tra le altre cose, si afferma il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la parità tra uomini e donne, nonchè ogni discriminazione fondata sul sesso) "si dovrebbe aprire la strada all’applicazione diretta delle norme del trattato stesso e di quelle alle quali il trattato fa rinvio e, comunque, al controllo di costituzionalità che, anche nei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, non può essere escluso". Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Ordinanza 10 marzo - 22 settembre 2008, n. 23934.

CONCLUSIONI:
In attesa di una normativa ad hoc già oggi si può aggiungere al proprio cognome paterno quello della madre.

Il principio di tendenziale stabilità del cognome, presente nel nostro ordinamento, non implica l’assoluta assenza di deroghe alla regola della riconoscibilità dell’individuo attraverso il solo cognome paterno per cui, in presenza di valide ragioni, è possibile aggiungere al cognome del padre anche quello della madre, salvo scoprire che la trafila burocratica è così complicata da scoraggiare chiunque.

La richiesta deve essere motivata e corredata dell'assenso dei parenti di entrambi i genitori fino al quarto grado di parentela. L’istanza va portata in Prefettura e di qui inoltrata al Ministero dell'Interno. Se il Ministero prende in considerazione la richiesta se meritevole, con decreto autorizza il richiedente a far affiggere la domanda all'Albo Pretorio del comune di nascita e dell'attuale residenza dello stesso richiedente, invitando chiunque voglia opporsi a farlo entro 30 giorni.
Si da atto che richiedente deve far modificare tutti i documenti - compresi diplomi, lauree.

Se sei interessato ad aggiungere il cognome materno a tuo figlio non esitare a contattarmi via e-mail.


SI VEDANO LE RECENTI MODIFICHE AL DPR 396/2000 DEL GOVERNO MONTI AVENTI EFFICACIA DECORSI 60 GIORNI DALLA PUBBLICAZIONE DEL DECRETO NELLA GAZZETTA UFFICIALE.
PER MAGGIORI APPROFONDIMENTI SI VEDA IL POST: NUOVE NORME PER IL CAMBIO NOME E COGNOME.





giovedì 12 maggio 2011

LA CONVIVENZA MORE UXORIO E IL CONTRATTO DI CONVIVENZA:


LA CONVIVENZA MORE UXORIO:
In Italia, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la convivenza more uxorio, tra persone in stato libero, non costituisce causa di illiceità e, quindi, di nullità di un contratto attributivo di diritti patrimoniali collegato a detta relazione. La giurisprudenza ritiene che tale convivenza, ancorché non disciplinata dalla legge, non contrasta né con norme imperative, non esistendo norme di tale natura che la vietino, né con l’ordine pubblico, né con il buon costume.

La convivenza è secondo la giurisprudenza, tutelata dall’articolo 2 della Costituzione come “formazione sociale” all’interno della quale si svolge la personalità dell’individuo.

Il fatto di propendere per una convivenza piuttosto che per un matrimonio, spesso risiede in una scelta consapevole e ponderata delle parti, diretta proprio ad evitare di sottomettersi alle norme giuridiche previste in materia di matrimonio.

QUADRO NORMATIVO:
Non esiste una legge che disciplini in modo organico e sistematico la famiglia di fatto e, tutte le norme applicabili sono o contenute all’interno di leggi o in sezioni dei codici dedicate ad altri istituti, in particolare:
1) l’art. 6, L. 27.7.1978 n. 392 (sulle locazioni di immobili urbani), dichiarato incostituzionale (sent. C.Cost. 7.4.1988, n. 404), nella parte in cui non prevedeva, tra gli aventi diritto alla prosecuzione del rapporto locativo dopo la morte del titolare, anche il convivente more uxorio, nonché nella parte in cui non prevedeva la successione nel contratto al conduttore che avesse cessato la convivenza, a favore del già convivente quando sussiste prole.
2) l’art. 45 della L. 4.5.1983, n.184 (Disciplina dell’ adozione e dell’ affidamento dei minori), sostituito dall’ art. 26 L. n. 149/2001, in cui si sancisce l’ammissibilità dell’ adozione da parte della coppia non coniugata qualora non sia praticabile l’ affidamento preadottivo;
6) l’ art. 317 bis c.c., il quale attribuisce ai genitori naturali conviventi l’ esercizio congiunto della potestà parentale sui figli, sancendo in siffatto modo la rilevanza sociale del fenomeno della convivenza di fatto;
7) l’ art. 6, 4° co., L. 184/1983, sostituito dall’ art. 6 L. n. 149/2001, che tiene conto della convivenza stabile e continuativa che ha preceduto il matrimonio per determinare l’ idoneità della coppia all’adozione.

LA FILLIAZIONE IN STATO DI CONVIVENZA:
La mancata celebrazione del matrimonio non incide sui diritti spettanti ai figli nati dai genitori non coniugati i quali, per espressa disposizione di legge, sono equiparati in tutto e per tutto ai figli nati da coppie coniugate.
Di conseguenza la distinzione tra figli naturali e figli legittimi non ha più ragione di esistere. L’equiparazione dei diritti significa, d’altro canto, equiparazione dei doveri a carico dei genitori nei confronti della prole rispetto agli obblighi dei genitori coniugati.

Rileva altresì sottolineare come l’autonomia negoziale delle parti non possa derogare ai diritti indisponibili, in particolare la disciplina relativa all’affidamento dei figli, all’educazione e al mantenimento degli stessi, la quale è completamente sottratta all’autonomia negoziale delle parti.
Pertanto qualunque tipo di clausola che le parti intendessero inserire in un contratto di convivenza, diretta a disciplinare tale materia, sarebbe priva di effetto o addirittura nulla, ove scaturisse da tale clausola un pregiudizio potenziale o effettivo per i figli o emergesse un contrasto con disposizioni dettate a tutela dei minori.

CONVIVENZA E DIRITTI EREDITARI:
Non vi è alcuna norma che attribuisce diritti ereditari in favore del convivente superstite.
I conviventi, salvo i diritti in favore dei legittimari (in assenza di matrimonio i legittimari sono i figli ed in assenza di figli gli ascendenti), hanno la piena libertà di nominare erede l’altro convivente mediante la redazione di un testamento all’interno del quale, venga disposto che una quota di eredità (o anche tutta, ove non siano lesi i diritti di soggetti legittimari), sia destinata al convivente superstite. 
Le disposizioni ereditarie non possono essere inserire nel contratto di convivenza ma, dovranno essere oggetto di uno specifico testamento redatto nelle forme prescritte dal codice civile onde evitare la sanzione di nullità dei patti successori.

IL CONTRATTO DI CONVIVENZA PROFILI SOSTANZIALI:

Il “CONTRATTO DI CONVIVENZA” non è l’accordo con cui due persone si impegnano a convivere more uxorio. Ogni vincolo di carattere personale, proprio perché privo del requisito della patrimonialità, NON è IDONEO, a costituire «prestazione» ai sensi dell’art. 1174 c.c., ed a essere dedotto in contratto, ex art. 1321 c.c.
In particolare:
1)   il dovere di fedeltà:
Oltre a non avere il carattere della patrimonialità, non sarebbe ammissibile per l’impossibilità di prevedere una sanzione in caso di inadempimento e per il contrasto di una siffatta obbligazione, con principi di rango superiore, anche sotto il profilo Costituzionale, tra cui il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e la propria libertà sessuale;
2)   l’obbligo di coabitazione:
Pur essendo uno dei presupposti ed elementi essenziali della convivenza, non potrebbe essere previsto all’interno di un contratto quale obbligo specifico perché tale clausola si porrebbe in contratto con diritti di rango Costituzionale tra cui quello relativo alla libertà di circolazione e soggiorno (articolo 16). Oltretutto, la coabitazione non può essere inserita quale obbligo specifico, in quanto essa rappresenta uno dei requisiti essenziali del contratto, in mancanza o al venir meno della quale, la convivenza si scioglie. 

Si tratta più precisamente di intese di contenuto patrimoniale al fine di regolare i rapporti economici dei conviventi, sottoponendo a regole prefissate la soluzione degli eventuali problemi che potrebbero insorgere durante la convivenza.

La meritevolezza di tali contratti atipici si riconduce all’intento di evitare liti future e di fornire un minimo di sicurezza economica al partner «debole». .
La causa del contratto di convivenza risiede nello scambio delle vicendevoli promesse di adempiere le reciproche obbligazioni naturali.

Il contratto di convivenza pertanto consente di regolarizzare le questioni economiche e patrimoniali del rapporto, anche per il caso di rottura del legame o di scomparsa prematura di uno dei partner. Queste disposizioni sono spesso orientate nell’assicurare al convivente più debole una forma di assistenza anche successivamente al venir meno della convivenza Si tratta di una forma assistenziale ritenuta meritevole di tutela dal nostro ordinamento, anche in virtù del vincolo di solidarietà che ha unito due soggetti per un lungo periodo di tempo.

Possono stipulare il contratto le coppie di non coniugati che abbiano intenzione di intraprendere un rapporto stabile e duraturo di convivenza.

Il contratto di convivenza, in particolare, ha ad oggetto:

1)   obblighi che le parti si assumono in costanza di convivenza.
Questo genere di disposizioni è necessario affinché si possa configurare un contratto di convivenza.
-       la scelta e le spese per l'abitazione comune;
-       la disciplina dei doni e delle altre liberalità;
-       l'inventario, il godimento, la disponibilità e l'amministrazione dei beni comuni;
-       i diritti acquistati in regime di convivenza;

2) obblighi che le parti assumono reciprocamente relativamente ed in previsione dell’ipotesi futura ed incerta che la convivenza cesserà
-       le incombenze e i reciprochi diritti in caso di cessazione della convivenza;
-       la disciplina relativa alla abitazione. È bene specificare a quale membro della coppia verrà assegnata la casa in caso di separazione.

Le ragioni che inducono sempre più persone a convenire contratti di convivenza sono molteplici, in particolare:
- per condividere con chiarezza e lealtà i momenti, le difficoltà e le esigenze comuni;
- per evitare spiacevoli problemi in caso di cessazione della convivenza;

DIFETTI DEL CONTRATTO DI CONVIVENZA:
Il difetto maggiore di questo strumento, resta l’inefficacia come vincolo davanti al giudice.
Infatti, se uno dei conviventi non rispetta i termini dell’accordo, l’altro non ha strumenti giuridici che permettano di obbligare al rispetto dei termini di tale contratto privato.
In particolare rileva altresì l’inopponibilità del vincolo nei confronti dei terzi, specie nel caso di disciplina relativa al regime degli acquisti durante la convivenza.

LA FORMA DEL CONTRATTO:
La maggior parte dei contratti di convivenza vengono redatti per forma scritta. Resta comunque necessaria ai fini della prova del contratto la apposizione di una data certa, resa tale o con la notifica reciproca del contratto o attraverso la stipula del contratto nella forma della scrittura privata autenticata innanzi ad un notaio.

LA DURATA DEL CONTRATTO:
La durata del contratto può essere a tempo determinato o indeterminato. Diversamente la durata della convivenza, la quale non può essere convenzionalmente determinata nel contratto, può essere più breve o più lunga della durata contratto.
Si da atto che mentre è possibile far cessare unilateralmente in ogni momento la convivenza, per quanto riguarda il contratto se esso è a tempo determinato non sarà possibile un recesso unilaterale (a meno che non siano previste specifiche ipotesi di recesso o risoluzione). Inoltre il contratto, spesso dispone anche per il periodo successivo alla convivenza e pertanto, difficilmente coincidono i termini di durata del contratto e della convivenza.

E’ opportuno ribadire che non potrebbe mai ipotizzarsi una clausola che preveda una durata determinata della convivenza né una condizione risolutiva della stessa, mentre è ipotizzabile un obbligo a carico delle parti, nascente in occasione della cessazione della convivenza e con una durata prestabilita.

IL CONTENUTO DEL CONTRATTO DI CONVIVENZA:
- ACQUISTO DI BENI IN COMUNE
Nell’ambito della coppia di fatto, le parti potranno impegnarsi ad acquistare in futuro, eventuali e determinati beni, in regime di comunione ordinaria, stabilendo se del caso, quote diverse di comproprietà. Ogni obbligazione in tal senso, avrà  efficacia obbligatoria e non reale. Pertanto a differenza di quanto avviene per gli acquisti effettuati dai coniugi in regime di comunione legale, l’acquisto del diritto di proprietà non avverrà automaticamente in capo ad entrambi soggetti per il solo fatto di aver stipulato l’atto di acquisto ma, sarà necessario l’intervento di entrambi i partner all’atto di acquisto ed apposita dichiarazione espressa, attraverso la quale, ognuno dei partner acquisterà una quota del bene in regime di comunione ordinaria.
Le parti possono altresì statuire sulle modalità di esercizio dei diritti sui beni acquistati in comune e sulla sorte di tali beni al momento del venir meno della convivenza. Sarà sufficiente inserire tali disposizioni all’interno del contratto di convivenza, il quale come tutti i contratti ha forza di legge tra le parti.

- PARTECIPAZIONE DI CIASCUNA DELLE PARTI ALLE SPESE ORDINARIE E STRAORDINARIE
E’ opportuno che i conviventi indichino nel contratto la misura della partecipazione di ciascuno alle spese ordinarie e straordinarie, in base alle proprie capacità di reddito e sostanze e che, venga anche valutato ai fini della distribuzione degli “sforzi” familiari l’apporto di lavoro domestico prestato dal coniuge non lavoratore. La coppia può aprire un conto corrente bancario cointestato, ove ciascuno verserà nella misura concordata parte dei propri redditi, destinata alle spese comuni.
Si da atto che mentre l’art 143 c.c. prevede che i coniugi provvedano ai bisogni della famiglia in relazione alle proprie sostanze (e quindi proporzionalmente), lo stesso principio non vige per le coppie di fatto che, nell’ambito della loro autonomia negoziale sono libere di prevedere obblighi reciproci di assistenza e di mantenimento anche non proporzionali alle proprie sostanze e capacità reddituali.


- SULLE SANZIONI PECUNIARIE IN CASO DI VIOLAZIONE DI OBBLIGAZIONI AVENTI CARATTERE PATRIMONIALE
Le parti possono altresì inserire nel contratto eventuali clausole penali in caso di mancato rispetto delle obbligazioni contrattuali patrimoniali, le quali siano reciproche e non in contrasto con norme inderogabili di legge o non incidano su diritti di natura indisponibile.

Una disposizione che preveda una penale a carico del convivente che pone fine alla relazione prima di una determinata data è nulla in quanto, determina una grave menomazione delle libertà della persona oltre alla mancanza del requisito della patrimonialità, necessario affinché un’obbligazione possa essere dedotta in un contratto.
Anche per l’obbligo di fedeltà non si ammette la previsione di una sanzione pecuniaria derivante dalla sua inosservanza, proprio in virtù della non disponibilità del diritto alla libertà sessuale e della natura non patrimoniale del diritto.


- LE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ABITAZIONE “FAMILIARE”
Le fattispecie che si possono verificare sono le più svariate, in particolare:

-       contratto di locazione di casa abitativa intestato ad entrambi i conviventi;

-       acquisto di un appartamento in regime di comproprietà stabilendo se del caso, anche quote differenti di proprietà;

-       se l’abitazione è già in proprietà esclusiva ad uno dei partner:
stipula di un contratto di comodato, non in esclusiva, dell’abitazione a favore dell’altro partner. In tal senso essi possono stabilire altresì che, in caso di cessazione della convivenza l’abitazione possa essere concessa in uso all’altro partner (normalmente il partner più debole economicamente). In questo caso, si configura un ulteriore contratto di comodato ma in esclusiva, sottoposto a condizione sospensiva della cessazione della convivenza. Tale disposizione, è assolutamente ammissibile in quanto è diretta, in un’ottica solidaristica, che dovrebbe sempre ispirare un’unione affettiva, alla tutela del partner più debole (ovviamente è opportuno nell’interesse di entrambi stabilire una durata prestabilita del contratto di comodato).

Se non è stipulato alcun contratto di comodato e la casa appartiene ad uno dei partner in via esclusiva e non ci sono figli è palese che, al momento della cessazione della convivenza il contratto (non scritto) di comodato tra il partner proprietario e quello non proprietario, si risolva automaticamente (e ciò sia per l’avverarsi della tacita condizione risolutiva della cessazione della convivenza e anche per la scadenza della durata non espressa del contratto, ravvisabile nella durata della stessa convivenza). Nel caso di risoluzione a qualsiasi titolo verificatasi, il partner già ospite assumerà la posizione di occupante senza titolo.

-       se l’abitazione è in proprietà di un terzo (spesso i genitori di uno dei partner);
anche in tal caso si configura l’opportunità di stipulare un contratto di comodato nei confronti della coppia.

SE VUOI CHIEDERE UNA CONSULENZA PER LA STIPULA DI UN CONTRATTO DI CONVIVENZA CONTATTA IL NOSTRO STUDIO CHIARA.CONSANI@VIRGILIO.IT