venerdì 8 aprile 2011

FEDERALISMO FISCALE: CAMBIA LA TASSAZIONE DEI REDDITI DA AFFITTO.




E’ stata introdotta a partire dal 7 aprile 2011 la "cedolare secca sugli affitti". Si tratta di un’imposta che sostituisce quelle attualmente dovute sulle locazioni (articolo 3 del dlgs 23/2011). E’ un regime facoltativo e si applica in alternativa a quello ordinario.
La cedolare secca, in pratica, sostituisce:
- l’Irpef e le relative addizionali;
- l’imposta di registro;
- l’imposta di bollo;
E ancora:
- l’imposta di registro sulle risoluzioni e proroghe del contratto di locazione;
- l’imposta di bollo, se dovuta, sulle risoluzioni e proroghe del contratto;


L’imposta cedolare secca è un’imposta con un’aliquota predefinita e che prescinde dal totale dei redditi del contribuente e non prevede eventuali esenzioni.
Si tratta di un nuovo sistema di prelievo fiscale sul canone d’affitto: non più tasse in base al reddito del proprietario ma una tassa proporzionale al canone di locazione fissato.

I proprietari di immobili dati in locazione di scegliere la tassa piatta (21% per i canoni liberi e 19% per quelli concordati) o la tassazione ordinaria che cresce insieme alle attuali aliquote Irpef.

L’Agenzia delle entrate ha emanato un regolamento sulle modalità di esercizio dell’opzione per l’applicazione del regime della cedolare secca, modalità di versamento dell’imposta e altre disposizioni di attuazione dell’articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23.


Non tutti i contratti di locazione potranno beneficiare dell'imposta sostitutiva. Vi rientreranno i soli affitti di immobili ad uso abitativo e delle relative pertinenze, non effettuati nell'esercizio di impresa o di professione.


Si dispone altresì che durante il periodo di applicazione della nuova imposta sia precluso qualsiasi aumento del canone di affitto, anche se pattuito in contratto, incluso l'aggiornamento Istat.  E’ inoltre previsto che l'opzione per la cedolare sia inefficace se non viene comunicata anche al locatario, con lettera raccomandata.

Sanzioni per gli affitti in nero:

Nel caso in cui il reddito derivante dalla locazione di immobili ad uso abitativo non venga dichiarato, oppure venga indicato in misura inferiore rispetto a quella effettivo, si applicano le seguenti sanzioni:
• dal 240% al 480% dell’imposta dovuta, in caso di omessa indicazione;
• dal 200% al 400% dell’imposta dovuta, in caso di indicazione in misura  inferiore rispetto a quella effettiva.
Invece, ai contratti di locazione di immobili ad uso abitativo che non  sono stati registrati e entro il termine stabilito dalla legge, si applica la  seguente disciplina:
• la durata della locazione è pari a 4 anni a decorrere dalla data di  registrazione;
• dalla data della registrazione il canone annuo ammonta al triplo della rendita catastale adeguato, a partire dal 2° anno, con l’aggiornamento  ISTAT.

 Se il contratto prevede un canone inferiore si applica comunque il canone stabilito dalle parti.

Queste disposizioni si applicano anche nel caso in cui:
• il contratto registrato indichi un canone inferiore rispetto a quello percepito;
• la registrazione riguardi un contratto di comodato fittizio;
a meno che la registrazione venga effettuata entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. sul federalismo.



CLASS ACTION CONTRO LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI




Le class action contro le pubbliche amministrazioni hanno lo scopo di garantire il cittadino/utente da qualsiasi violazione dei parametri di qualità del servizio pubblico, a prescindere dalla natura pubblica o privata del soggetto che lo eroga.

L’azione non può essere intentata per ottenere il risarcimento danni.
A tal fine restano fermi i rimedi ordinari.

L'azione collettiva può essere esperita dai "titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori" per tre motivi:

1) violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento;

2) violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi;

3) violazione di standard qualitativi ed economici.

L'azione postula la lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi.

E’ stata stabilita altresì la necessaria previa determinazione dei parametri specifici della condotta lesiva.
Per le violazioni sub 2 e sub 3 ai sensi dell’art 7 del dlgs in commento il legislatore si è riservato la definizione del livello minimo di qualità dei servizi tramite un apposito regolamento.

Pertanto allo stato attuale, in assenza di tale regolamento, le relative azioni non possono essere esperite, essendo sottratta alla valutazione del giudice la determinazione di tale limite minimo, il cui apprezzamento costituisce condizione necessaria ai fini dell'accertamento della responsabilità.



Sentenza TAR Lazio 21/01/2011, n. 552


Con la Sentenza in commento il Tar del Lazio ha accolto il ricorso proposto dal Codacons, condannando i Ministeri dell’Istruzione e dell’Economia ad emanare – nel termine di quattro mesi – il piano generale di edilizia scolastica.
Il caso riguardava l'omissione da parte del Ministero dell'istruzione e il Mineconomia del piano di riqualificazione dell'edilizia scolastica: un atto necessario per consentire di garantire il rispetto della normativa sulla sicurezza ai fini del numero massimo di alunni per classe.
A tal fine, il Tar ha condannato i Ministeri a provvedere all'emanazione del piano entro 120 giorni dalla data di comunicazione o notificazione della sentenza.
La questione riguardava comportamenti omissivi della Pubblica amministrazione consistenti nella violazione dell'obbligo di ''emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento'' di cui al punto 1) sopra indicato.

In quest'ultimo caso, infatti, i giudici hanno argomentato che: "Quivi tutto è compiutamente predeterminato: la posizione giuridica tutelata è correlata all'emanazione di un atto le cui caratteristiche sono declinate direttamente dal legislatore, è regolamentata l'azione in relazione a tutti i profili rilevanti, è disciplinato il conseguente processo.".
E quindi il Collegio ha concluso affermando che non vi è: "alcun valido motivo per escludere l'immediata operatività delle previsioni di legge aventi ad oggetto l'omissione di atti generali, risultando irragionevole ogni diverso approdo ermeneutico.".





giovedì 31 marzo 2011

ATTI DI VANDALISMO CONTRO OGGETTI DELL’EX: STALKING


COMMENTO:
Lo afferma una recente sentenza della Cassazione penale , sez. V, sentenza 07.03.2011 n° 8832.

I giudici di merito avevano vietato all’ex fidanzato di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla sua ex donna, in quanto sospettato di aver danneggiato la sua vettura auto (rottura dello specchietto, ammaccamenti alla carrozzeria, foratura degli pneumatici, sfondamento del gruppo ottico e del lunotto posteriore ed incendio della vettura).

I difensori dell’imputato hanno sostenuto che gli atti di danneggiamento, non fossero rivolti contro l’incolumità della ex, ma verso le cose di sua proprietà. In tal senso non avevano provocato un perdurante e grave stato di ansia, escludendosi così l’applicazione dell’art. 612-bis c.p..

Secondo il Supremo Collegio, invece, i danneggiamenti ai beni della ex compagna hanno necessariamente inciso, per le modalità di realizzazione quale raptus violento, sullo stato psichico della donna. E’ emerso dalle indagini un grave e perdurante stato di turbamento emotivo: infatti, perché si configuri il reato di stalking è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V PENALE- 7 marzo 2011, n. 8832

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Il tribunale di Torino, con ordinanza emessa ex art. 309 c.p.p., il 21.7.2010, ha confermato l'ordinanza emessa il 25.6.2010 dal Gip del tribunale di Asti nei confronti R.R. applicativa della misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati da D. D.A..

Il difensore del R. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all'art. 612 bis c.p., e mancanza di motivazione in ordine alla configurazione giuridica del reato: il tribunale ha erroneamente ritenuto la realizzazione di tutti gli eventi previsti dalla norma.

Quanto al timore della donna per la propria incolumità tisica, la D. non ha mai manifestato timore nè ha denunciato minacce del R.. Gli atti di danneggiamento contestati non sono stati rivolti contro l'incolumità fisica, essendo diretti verso le cose.

Non risulta che la D. abbia dovuto alterare le proprie abitudini di vita, in quanto tale evento non può dirsi realizzato, a seguito dell'incendio della sua auto, per l'impossibilità di visitare la madre in ospedale, per mancanza di un mezzo di trasporto.

Quanto al perdurante e grave stato di ansia, il ricorrente rileva che l'attestazione deriva da un certificato medico, redatto da uno specialista in malattie dell'apparato respiratorio: è evidente che un generico stato d'ansia, certificato non da uno specialista neurologo o psichiatrico, non può essere contuso con una situazione ben delineata dalla norma, che richiede che lo stato d'ansia sia,oltre che grave, anche perdurante.

Secondo la giurisprudenza,l'evento consiste in un turbamento psicologico destabilizzante che si sia manifestato con forme patologiche, contraddistinte dallo stress, di tipo clinicamente definito grave e perdurante.

Tale stato non sussiste, per assenza di comportamenti minacciosi:

mancano gravi indizi sulla responsabilità in ordine all'incendio dell'auto, anche perchè l'indizio più sottolineato dal tribunale è frutto di un errore : il materiale, integrante questo indizio (il ritrovamento di oggetti funzionali alla realizzazione di tale fattispecie), non è stato rinvenuto nell'auto del R., ma, a distanza di due settimane dal fatto, presso l'abitazione dell'indagato ed è oggetto di accertamenti diretti a verificare la sua compatibilità con l'atto vandalico.

Non ha alcun rilievo indiziante la presenza dell'indagato sul luogo ove era stato appena spento il fuoco, tenuto conto che la sua abitazione è appena a 50 metri da quella della donna.

In maniera illogica, il tribunale ha poi interpretato il pronto intervento dell'istante,a seguito dello spegnimento del fuoco, come indizio a suo carico.

Secondo il ricorrente, quindi, il tribunale ha motivato l'ordinanza sul punto della sussistenza di gravi indizi a carico del R. con una formula di stile, che non può supplire a una doverosa argomentazione sul reale quadro indiziario circa il verificarsi di uno o più degli eventi indicati dall'art. 612 bis c.p..

Il ricorso non merita accoglimento.

La base indiziaria è costituita da una serie di danneggiamenti su beni della donna che hanno necessariamente inciso, per il loro susseguirsi rapido cartellante ed emotivamente destabilizzante sullo stato psichico della D.. Le sue narrazioni su episodi emotivamente traumatici, costituti da numerosi, ripetuti danneggiamenti alla propria auto (allo specchietto, alla carrozzeria, ai pneumatici, al gruppo ottico, al lunotto posteriore), al campanello, al sistema di allarme e alla porta di casa, sono stati storicamente confermati dagli accertamenti dei danni e da una parziale ammissione dell'indagato. In alcuni di questi episodi, la donna ha avuto modo di vedere in azione il R., che inoltre non ha mancato di fare beffardi riferimenti ai pericoli a cui era esposto il veicolo nella pubblica via. Tutti questa fatti sono stati commessi in un arco di tempo caratterizzato da particolare pressione del R. proiettato a polemizzare sul rapporto cessato e a convincere la donna a un sua ripresa (sono stati correttamente richiamati gli sms e il colloquio telefonico registrato). In questo quadro di aggressività,dal molteplice profilo, si è inserito l'incendio dell'auto, da vedere quale soluzione radicale e finale del danneggiamento del veicolo. Le conclusioni dei giudici di merito sulla sussistenza di un atteggiamento persecutorio in danno della D. sono quindi pienamente conformi alle risultanze delle indagini e alla loro razionale interpretazione.

L'evento scaturito da questo piano di violenza materiale e psicologica è costituito naturalmente da un stato turbamento psicologico della donna,derivante non da un singolo fattore di stimolo ansiogeno, ma una serie di comportamenti persecutori, che hanno evidentemente determinato una rottura nell'equilibrio emotivo della D., che si è espressa a mezzo di sensazione soggettiva,cioè in un crescendo, di tensione, preoccupazione, nervosismo, paura, di grave spessore e perdurante nel tempo, data la stabilità dell'atteggiamento intimidatorio rancoroso e vendicativo dell'uomo.

Allo stato, manca uno specifico accertamento tecnico, che abbia dimostrato come gli elevati livelli di ansia risultando spiacevoli e addirittura dolorosi, abbiano condotto alla specifica tipologia dello stato di ansia della persona offesa attraverso un accentuata e ingovernabile esposizione agli stimoli ansiogeni, fino a un approdo di tipo patologico.

Comunque è emerso un grave e perdurante stato di turbamento emotivo,che è stato ragionevolmente ritenuto idoneo a essere inquadrato nell'evento di cui all'art. 612 bis c.p., la cui sussistenza non dipende dall'accertamento di una stato patologico, rilevante solo nell'ipotesi di contestazione di concorso formale di ulteriore delitto di lesioni. La nuova tipologia non può essere ricondotta in una ripetizione del reato ex art. 582 c.p. - il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica - ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima.

Tale evento destabilizzante è stato correttamente ritenuto sussistente dai giudici di merito, pur non risultato progredito in uno stato patologico, il cui accertamento potrà rilevare ai fini della sussistenza di eventuale ulteriore reato di lesioni.

Le censure del ricorrente sulle interpretazioni dei risultati delle indagini sin qui svolte, ad opera del giudice di merito, hanno quindi investito valutazioni fattuali, di cui va ribadita la piena fedeltà alle risultanze processuali e la loro razionale valutazione. Pertanto sono del tutto immuni da censura in sede di giudizio di legittimità.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

mercoledì 30 marzo 2011

DIFFAMAZIONE VIA WEB IDENTIFICAZIONE TRAMITE INDIRITTO IP:

Cass. Civ., Sez. V, n. 8824 del 7 marzo 2011.

Ingiuria e diffamazione nel web. L'utilizzo del nickname non pone al riparo l'autore delle frasi offensive. Nell’ambito della partecipazione a un forum nella rete Internet, laddove il messaggio introdotto dall’utente si riveli offensivo della reputazione altrui, l’autore delle frasi ritenute ingiuriose che agisce sotto pseudonimo (c.d. nickname) non può ragionevolmente disconoscere la propria individuazione dal momento che «il numero identificativo sulla rete Internet mondiale è assegnato in via esclusiva a un determinato computer connesso», mentre l’eventuale intromissione da parte di un altro utente scorretto avrebbe richiesto la conoscenza di troppi dettagli su tempi e modalità oltre che un bagaglio di notevoli cognizioni tecniche per un’adeguata realizzazione.

COMMENTO:

Tale sentenza ha sancito la sussistenza del reato di diffamazione di un utente di un forum il quale con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ha ripetutamente scritto frasi offensive dell'onore e del decoro di un terzo soggetto.

Attraverso i numeri permanentemente assegnati alla rete informatica è stato possibile individuare il soggetto referente della linea e autore del reato di diffamazione.

LE DIFESE DELL’IMPUTATO:
La difesa puntava sull’esimente di cui al diritto di critica.  Sosteneva, infatti, che le parole dell’utente andassero ricondotte a una discussione accesa, su argomenti di carattere politico, a cui partecipavano vari soggetti, identificati solo dai nickname. Secondo una consolidata giurisprudenza, il linguaggio della polemica politica può assumere toni più pungenti ed incisivi rispetto a quelli adoperati nei rapporti interpersonali tra privati. Andava quindi riconosciuta l'esimente, in quanto il Tizio ha espresso una propria opinione su un Forum, rispondendo ad un argomento postato da altri, per confrontarsi su un avvenimento politico che lo coinvolgeva, quale membro della comunità, nonché protagonista della vita politica del paese.

Quanto all'elemento soggettivo, la difesa riteneva altresì che mancasse l’animus diffamandi: in assenza della dimostrazione della volontà dell’utente di usare espressioni offensive e con la consapevolezza di offendere l'altrui reputazione, deve ritenersi che queste espressioni erano finalizzate solo a dare forza al suo sentito.

I MOTIVI DELLA CORTE:
La Corte ha ritenuto che il Tribunale di merito fosse giunto all'incontestabile dimostrazione che per l'invio del messaggio attribuito all’utente incriminato è stato utilizzato un determinato codice numerico IP, fornito direttamente dal gestore del Forum, accessibile in internet. Questo indirizzo IP è stato associato, attraverso il gestore del servizio telefonico alla linea telefonica del soggetto in questione, il nick name utilizzato è anch’esso intestato all'imputato.
La Corte, con adeguata e articolata argomentazione tecnica ha dimostrato il carattere irreale e irrazionale dell'assunto difensivo secondo cui un inverosimile personaggio si sia impegnato a trasformare un lecito messaggio in uno strumento aggressivo e lesivo della reputazione delle parti civili.

L'accertamento tecnico ha posto in luce che:

a) il numero identificativo sulla rete internet mondiale è assegnato in via esclusiva ad un determinato computer connesso;

b) un altro utente delle rete, per realizzare l'intromissione modificativa,dovrebbe esattamente conoscere dettagliati particolari di tempi e modalità della connessione in cui intromettersi;

c) questo scorretto utente avrebbe dovuto compiere una complessa e difficile serie di interventi finalizzati all'eliminazione di tracce dell'irregolare intervento invasivo. La corte ha ritenuto contrario al senso comune che tanto impiego di tempo e tanto impegno tecnico siano stati profusi da questo sconosciuto per offendere.     

La pretesa, infine, di ottenere il riconoscimento dell'esimente del diritto di critica, in nome di una desensibilizzazione alle offese, da parte dei protagonisti e dei participi nella vita politica di questo paese, è del tutto infondata, in quanto non è invocabile, in base al senso comune e alla generale condizione di uguaglianza tra i consociati, una sorta di desensibilizzazione ai termini offensivi, sedimentatasi nel mondo politico: è da escludere che in una società di matura cultura democratica il confronto politico possa avvenire - nelle istituzioni e tra i consociati - impunemente al di fuori dei limiti di legalità che si devono rispettare in tutte le situazioni della vita sociale (sul rifiuto della desensibilizzazione alla violazione dei diritti della persona, v. sez. V n.31096 del 4.3.09 rv 244811).

Non sussiste quindi l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica qualora l'espressione consista non già in un dissenso motivato, espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell'avversario e del contraddittore. Quanto all'elemento psicologico del reato di diffamazione, secondo un consolidato e condivisibile orientamento interpretativo, non è necessaria l'intenzione di offendere l'altrui reputazione (animus diffamandi), essendo sufficiente la volontà dell'agente di usare parole lesive del bene giuridico, con la consapevolezza di offendere la dignità personale del destinatario delle espressioni. Nel caso in esame la Corte ha ritenuto del tutto evidente l'immediata e inequivoca consapevolezza, di ferire profondamente il credito sociale dei cittadini contro i quali ha lanciato le dure e smodate invettive riportate nel capo di imputazione.

martedì 29 marzo 2011

RIFIUTO DELL’ACOL TEST:



La guida in stato di ebbrezza è un reato, punito con diverse sanzioni a seconda del tasso alcolemico del conducente al momento del fermo.

La legge stabilisce attualmente il limite di 0,5 grammi/litro di alcol nel sangue, limite oltre il quale il conducente viene definito in stato di ebbrezza e quindi soggetto a provvedimenti sanzionatori.

Chiunque guida in stata di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato:

a) qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l): con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 2.000, All'accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;

b) qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l):
con l'ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l'arresto fino a sei mesi,  All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;

c) qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l):  con l'ammenda da euro 1.500,00 a euro 6.000,00, l'arresto da sei mesi ad un anno.
All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata. La patente di guida è sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, in caso di recidiva nel biennio. Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all'articolo 224-ter.

La giurisprudenza torna sulla questione della confisca del veicolo per il reato di “rifiuto” dell’automobilista di sottoporsi all’alcool test.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO:

L’art. 186 c. 2 lett. c) del codice della strada, nella nuova formulazione introdotta con il D.Lgs. 92/2008, convertito nella Legge 125/2008, stabilisce che, in caso di guida in stato di ebbrezza alcolica con accertamento di un valore corrispondente a un tasso alcolemico superiore a grammi 1,5 per litro, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena a richiesta delle parti (patteggiamento) è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il fatto reato.

Lo stesso art. 186, al comma settimo, stabilisce poi che, in caso di rifiuto da parte del contravvenuto dell’accertamento del tasso alcolemico tramite etilometro, la condanna per il reato comporta anche la confisca del veicolo.


La Corte di Cassazione con la sentenza 23428/2010 ha precisato che, in tale caso, “la confisca del veicolo ha una natura di sanzione penale accessoria”.

EVOLUZIONE in seguito alla modifica introdotta con la legge 24 luglio 2008, n. 125.

La Corte ha precisato che “con l’entrata in vigore del decreto legge 23 maggio 2008 n. 92, (convertito con la citata legge 24 luglio 2008, n. 125) è stato introdotto un inasprimento delle pene detentive per gli illeciti di seconda e terza fascia del secondo comma dell’art. 186 ed ha introdotto una disposizione, in virtù della quale con la sentenza di condanna o di patteggiamento (…) è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell’art. 240, comma II, del codice penale”.

La precedente normativa in vigore sul tema, non fu ritenuta efficace allo scopo di contrastare il fenomeno del c.d. drive drinking, in quanto “il conducente del veicolo poteva vantare un interesse a rifiutare di sottoporsi all’alcool test, accettando l’irrogazione della sanzione amministrativa, nella consapevolezza che senza la misurazione strumentale egli poteva essere, tutto al più, riconosciuto colpevole della meno grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza”.

In pratica il rifiuto costringerebbe l’automobilista al pagamento di una somma di denaro, ma lo salverebbe dall’eventuale sequestro del veicolo.

Poiché, invece, la normativa contro l’abuso di alcol ha il compito primario proprio di scoraggiare l’utilizzo smodato di alcol, appare senza dubbio più corretto equiparare il rifiuto di sottoposizione al test alla più grave ipotesi di guida in stato di ebbrezza.

E' del tutto evidente che con tale previsione il legislatore muta completamente strategia perchè ora il conducente aveva tutto l'interesse a sottoporsi ai test alcolimetrici perchè in caso di rifiuto si sarebbe visto applicare una sanzione pari alla più grave sanzione penale prevista dall'art. 186 C.d.S., lett. c), mentre con i test si sarebbe potuta dimostrare la presenza di un tasso alcolemico inferiore a 1,5 grammi per litro, con conseguente irrogazione di sanzioni penali più lievi.


Il legislatore è approdato ad una completa parificazione, sotto il profilo sanzionatorio, del rifiuto di sottoporsi ai test alcolimetrici alla più grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza.

Ciò allo scopo evidente di rendere più efficace il sistema sanzionatorio e principalmente di impedire che il conducente, sottraendosi all'alcoltest, potesse evitare le sanzioni più gravi previste per la guida in stato di ebbrezza.

La sanzione penale assolve, invece, ad una funzione essenzialmente punitiva e di prevenzione generale, risultando particolarmente evidente la funzione afflittiva assegnata dal legislatore alla confisca prevista dall'art. 186 C.d.S.

Si veda anche:

lunedì 28 marzo 2011

EQUITALIA E LE ISCRIZIONI IPOTECARIE LEGALI

Negli ultimi anni, molti contribuenti, si sono improvvisamente trovati la propria abitazione in vendita all'asta per debiti erariali non pagati. Quando arriva una cartella esattoriale bisogna subito pagarla oppure fare ricorso entro 60 giorni, trascorsi 60 gg, il concessionario ha titolo per procedere all'ipoteca. In un secondo momento ricevuto l'avviso di trascrizione dell'ipoteca sulla casa, ci sono 6 mesi di tempo per pagare, poi l'esattoria procede. Alcuni concessionari mandano questi atti per posta ordinaria, quando devono essere notificati e addebitano le spese di iscrizione e cancellazione quando sono esenti da imposte e tasse ex art. 16 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, modificativo dell'art. 47 del D.p.r. 602/73.

Cosa dice la legge:

ART. 76 DPR. 602/1973

Il concessionario (Equitalia) può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede supera complessivamente ottomila euro. Tale limite può essere aggiornato con decreto del Ministero delle finanze.
Il concessionario non procede all'espropriazione immobiliare se il valore del bene, determinato a norma dell'art. 79 e diminuito delle passività ipotecarie aventi priorità sul credito per il quale si procede, è inferiore all'importo indicato nel comma 1.

ART. 77
Decorso inutilmente il termine di cui all'articolo 50, comma 1, il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede. Se l'importo complessivo del credito per cui si procede non supera il cinque per cento del valore dell'immobile da sottoporre ad espropriazione determinato a norma dell'articolo 79, il concessionario, prima di procedere all'esecuzione, deve iscrivere ipoteca. Decorsi sei mesidall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto, il concessionario procede all'espropriazione.

Cosa fare?

-       La prima cosa da verificare, quando vi è una iscrizione ipotecaria da parte dell’Equitalia, e' se le cartelle esattoriali a cui si riferisce l'ipoteca, sono state realmente notificate, se non e' cosi bisogna fare subito ricorso alla Commissione Tributaria o al Giudice ordinario.

-       Un'altra cosa importante e' che l'iscrizione ipotecaria quando contiene cartelle notificate da piu' di un anno devono essere precedute da intimazione di pagamento, che una volta si chiamava avviso di mora, in mancanza e' tutto nullo.

Ciò è quanto emerge da una pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Milano (sent. nr.137/03/09) la quale ha accolto il ricorso di una contribuente che si è vista iscrivere ipoteca per crediti relativi a cartelle notificatele molti anni prima.
Nel caso di specie, infatti, la ricorrente ha sostenuto che l’iscrizione ipotecaria era affetta da insanabile nullità, in quanto il Concessionario non aveva proceduto alla preventiva notifica dell’intimazione di pagamento, ai sensi dell’art. 50, secondo comma, del DPR n. 602/1973.

È bene ricordare che nel contesto tributario l’ipoteca si atteggia come una misura cautelare conservativa strumentalmente connessa all’espropriazione forzata immobiliare e dunque soggetta all’applicazione non solo della disposizione dell’art. 77 del DPR n. 602/1973 (Espropriazione immobiliare) ma anche dei precetti consacrati negli art. 49 e seguenti (Espropriazione forzata – Disposizioni Generali).
L’ipoteca, infatti, sebbene non sia un atto di espropriazione forzata in senso stretto, rimane comunque un provvedimento funzionale alla fase esecutiva.

Come giustamente osservato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, (sent. Cass. SSUU n. 2053 del 31.01.2006), l’iscrizione d’ipoteca - equiparabile al fermo amministrativo - “è preordinata all'espropriazione forzata e dunque è un atto funzionale all'espropriazione medesima, ovvero un mezzo teso ad agevolare la realizzazione del credito”.
Tanto premesso, è indiscutibile che espropriazione, ipoteca legale e fermo amministrativo, benché non vincolati gli uni agli altri, vantano comunque identici presupposti e condizioni, posto che gli stessi dipendono direttamente e immediatamente dalla concreta ed attuale piena efficacia della prodromica notifica della cartella di pagamento.
Nel caso, quindi, sia decorso più di un anno dalla notificazione della cartella, l’espropriazione potrà essere avviata – e l’iscrizione ipotecaria potrà essere disposta – solo dopo la notifica dell’intimazione di pagamento di cui al secondo comma dell’art. 50 del DPR n. 602/1973.

La mancata attivazione della fase espropriativa nel termine annuale fissato dalla predetta disposizione, determina il venir meno della capacità del ruolo (ossia del credito contenuto nella cartella esattoriale) a valere come titolo esecutivo, essendo la sua efficacia sospesa ex lege sino a quando non è ripristinata dalla notificazione dell’intimazione ad adempiere.
Della stessa opinione appaiono i giudici di prime cure, i quali ritengono la notifica dell’intimazione un “aspetto molto importante da seguire prima di procedere all’iscrizione di ipoteca”.

-       L'ipoteca legale è iscrivibile solo a imposte dirette e indirette con esclusione delle multe;

-       Inoltre si da atto che è illegittima:

1) l'iscrizione ipotecaria inferiore a 8000€ Commissione Tributaria di Cosenza Sez. 1 Sent. n. 429/01/2007 depositata il 05/11/2007;

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con una recente sentenza destinata a riscrivere completamente i rapporti tra cittadino ed esattoria. In virtù della pronunzia in esame, infatti, tutti coloro che hanno subito l’iscrizione dell’ipoteca sul proprio immobile per importi inferiori alla detta somma potranno, quindi, chiedere l’immediata cancellazione della stessa e, ove ne ricorrano gli estremi, anche il risarcimento del danno.

E’ evidente il pregiudizio derivante al cittadino per una iscrizione ipotecaria, peraltro illegittima, per debiti di modico valore. Lo stesso, infatti, si potrebbe trovare in serie difficoltà, se non addirittura nell’assoluta impossibilità, di vendere il proprio immobile, in quanto illegittimamente gravato da ipoteca.

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione, quindi, conferisce nuova forza e vigore all’orientamento giurisprudenziale volto ad affermare i diritti dei cittadini nelle ipotesi, di provvedimenti illegittimi adottati dalla esattoria ed apre la strada alla revoca di migliaia di iscrizioni ipotecarie ed a una moltitudine di richieste di risarcimento danni. Secondo recenti stime, i contribuenti che a livello nazionale si sono visti gravare da ipoteca la propria casa sono circa 160 mila e le iscrizioni ipotecarie per crediti erariali inferiori ad € 8.000,00 oscillano tra il 30 ed il 50% delle totali, ovvero tra le 50 ed 80 mila.

2) l'iscrizione ipotecaria in presenza di istanza di rateizzazione: Commissione Tributaria Provinciale di Genova sentenza n.81/13/2008 depositata il  14 aprile 2008;

3) l'iscrizione ipotecaria di un immobile con fondo patrimoniale familiare: Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, Sentenza n. 71/01/2008 depositata il 10/06/2008;
  
4) l’iscrizione ipotecaria se già e' stato fatto il fermo, Commissione Tributaria Provinciale di Massa Carrara sentenza n.250/01/2009 del 30 luglio 2009;


sabato 26 marzo 2011

ADULTERIO NON È NECESSARIAMENTE CAUSA DI ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE:

ADULTERIO NON È NECESSARIAMENTE CAUSA DI ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE:

La violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, o meglio conosciuto come adulterio, circostanza particolarmente grave, in quanto, di regola tende a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, non è causa d’addebito se risulti provato che comunque non ha avuto incidenza causale nel determinare la crisi coniugale, in quanto essa già preesisteva.
La conferma di questo principio di diritto arriva dalla prima Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 2093 depositata lo scorso 28 gennaio 2011.

La Cassazione ribadisce che il presupposto dell’addebito é rappresentato dal nesso causale che deve intercorrere tra la violazione dei doveri coniugali, infedeltà, e la crisi dell’unione familiare. Tale nesso di causalità deve essere accertato. In particolare è necessario verificare se la relazione extraconiugale, che di regola si presume causa efficiente di situazione di intollerabilità della convivenza, rappresentando violazione particolarmente grave, non risulti di fatto priva di efficienza causale, dal momento che può intervenire in un menage ormai già compromesso, ovvero perché, nonostante tutto, la coppia ne abbia superato le conseguenze recuperando un rapporto armonico.

Se, dunque, il manage familiare è già compresso oppure la coppia abbia recuperato un rapporto armonico dopo la fine della relazione adulterina, la precedente relazione extraconiugale non può rivestire carattere decisivo per la pronuncia di addebito della separazione.

Corte di Cassazione, Civile, Sezione Prima, Sentenza n. 2093 del 28/01/2011
Corte di Cassazione Civile, Sezione Prima 17 dicembre 2010, n. 25560