mercoledì 23 marzo 2011

LEGITTIMA DIFESA PUTATIVA






È stato assolto per legittima difesa dall'accusa di omicidio colposo Giovanni Petrali, il tabaccaio milanese che il 17 maggio del 2003, nel tentativo di sventare una rapina all'interno del suo negozio, uccise a colpi di pistola uno dei due aggressori, Alfredo Merlino, e ferì ad un polmone l'altro, Andrea Solaro, allora diciannovenne.
I giudici della prima Corte d'Assise d'appello di Milano, presieduti da Maria Luisa Dameno, in parziale riforma della sentenza di primo grado, hanno così cancellato lo scorso lunedì la condanna a venti mesi per omicidio e lesioni colpose che colpì invece Petrali il 12 febbraio del 2009.
Secondo l'accusa, infatti, l'anziano commerciante, dopo l'aggressione subita, avrebbe sparato sei dei sette colpi esplosi all'esterno della tabaccheria, a conferma del fatto che l'imputato inseguì i rapinatori, non limitandosi alla mera difesa. Ora invece i giudici, attraverso nuove perizie, hanno potuto riscontrare che i colpi esplosi all'esterno erano in realtà soltanto tre e nessuno di essi raggiunse i malviventi in fuga.
La sentenza d'appello parla perciò di legittima difesa putativa, cioè, l'errata, ma giustificata, percezione che i rapinatori fossero ancora un pericolo anche se intenti a fuggire. Il tutto valutato nell'ottica di una dinamica confusa e concitata che vedeva l'anziano tabaccaio agire in totale assenza di lucidità, limitata dal viso coperto di sangue per un pugno ricevuto, dagli occhiali rotti e da uno stato emotivo ovviamente alterato.

La legittima difesa putativa si verifica allorchè l'autore del fatto ponga in essere una reazione nella supposizione erronea della sussistenza di un pericolo d'offesa ingiusta per un bene proprio o altrui. In tal caso, la giurisprudenza ha precisato che, ai fini dell'operatività della scriminante putativa, è necessario che la convinzione in ordine alla sua ricorrenza sia giustificata da fatti materiali e non origini da una mera percezione soggettiva disancorata da presupposti concreti.


La legittima difesa putativa presenta tutti i caratteri della legittima difesa reale con la sola differenza che, nella prima, la situazione di pericolo non esiste obiettivamente, essendo presupposta dall'individuo sulla base di un errore scusabile nell'apprezzamento dei fatti, determinato da una situazione obiettiva tale da far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in una situazione di pericolo attuale di un'offesa ingiusta.
Pertanto il mero timore e lo stato d'animo dell'individuo, fattori assolutamente soggettivi, non sono sufficienti a far sì che venga applicata la scriminante della legittima difesa putativa. 


Deve, infine, sottolinearsi come, di recente, il Legislatore sia intervenuto in materia di legittima difesa con la legge n. 59 del 2006 che ha aggiunto due commi all'art. 52 cp prevedendo che: "nei casi previsti dall'art. 614 cp, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza o vi è pericolo di aggressione" e che tale previsione sia estesa anche al caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

Come ha avuto modo di sottolineare di recente la Suprema Corte (cfr. la sentenza n. 25339 del 2006), la norma pone, in favore dell'aggredito in uno dei luoghi di cui al secondo ed al terzo comma dell'art. 52 cp, una presunzione di proporzionalità della reazione a patto che sussistano i presupposti di fatto indicati nel medesimo comma 2 e, cioè, che il soggetto che ponga in essere la reazione legittima si trovi nel luogo dell'aggressione legittimamente, che detenga lo strumento con il quale pone in essere la reazione legittimamente, che non vi sia stata desistenza e che vi sia ancora il pericolo d'aggressione.

martedì 22 marzo 2011

Testamento digitale- password e decesso dell'utente:


Il problema del diritto all'accesso alla posta elettronica di un defunto è una questione che presente imminenti caratteri di attualità.

Negli Stati Uniti la questione è stata affrontata in due circostanze differenti.

La prima volta nel 2005 su richiesta della famiglia di un marine scomparso la Probate Court della Oakland County ordinò al provider statunitense Yahoo di consegnare ai genitori tutta la corrispondenza giacente nella casella di posta elettronica del giovane militare.

La seconda volta nel 2007 la figlia di un poeta (tal William Talcott) non ha potuto accedere alla casella di posta elettronica del padre, dopo la sua morte, poiché lo stesso non aveva reso note a nessuno le sue credenziali di autenticazione. La legittima erede ha chiesto l’accesso alla casella di posta elettronica del de cuius al provider Yahoo il quale si è rifiutato di consegnare la password per motivi di privacy. La disputa ha dato vita ad un contenzioso il quale è stato risolto dal Giudice americano con il rigetto in toto la richiesta dell’erede.

La riservatezza dei messaggi e-mail costituisce uno degli argomenti più discussi nel diritto delle nuove tecnologie.

Quanto alla legislazione italiana è opportuno premettere che ad oggi la nostra legislazione non consente di dare una risposta certa posta altresì la mancanza di casi giurisprudenziali in tal senso. Inoltre si da atto come la questione e-mail tocchi vari interessi in gioco: il diritto alla privacy dell’utente della mail e di tutti coloro che erano in contatto con lui, il diritto successorio in capo agli eredi ed eventualmente un interesse della comunità a conoscere gli scritti dell’utente poeta come nel caso americano sopra riportato.

Si da atto come il Garante della privacy in Italia ritiene che non si può consegnare a nessuno, nemmeno agli eredi, una casella di posta elettronica perché può contenere dati personali non soltanto del defunto ma di tutti i suoi interlocutori. L’accesso va proibito nel modo più assoluto. A differenza di un conto corrente bancario che gli eredi sono legittimati a conoscere una casella e-mail contiene una corrispondenza intima che deve rimanere segreta.

In tal senso la consegna di password relative alla posta elettronica paleserebbero una violazione sia dell’art 15 della Costituzione che dell’art 616 del codice penale che parifica la comunicazione telematica a quella cartacea.

E’ opportuno da un altro lato rilevare come la giurisprudenza si sia pronunciata in maniera differente per quanto riguarda gli account aziendali di posta elettronica di dipendenti di impresa. In queste pronunce il giudice si è espresso ritenendo legittimo il controllo della corrispondenza effettuato da parte del datore di lavoro. In tal senso la casella di posta elettronica è stata considerata uno strumento di lavoro e come tale sottoposta alla verifica da parte del datore di lavoro. Il provvedimento prevede la deroga ai principi di libertà e segretezza della corrispondenza in quanto l’accesso da parte di terzi alla casella elettronica in uso al lavoratore non costituisce di per sé violazione alla sfera privata di quest’ultimo.




Si palesa, proprio per l’assenza di una regolamentazione e per la possibile incerta soluzione da parte del giudice chiamato a decidere la controversia, l’opportunità di una regolamentazione di tali problematiche all’interno dei contratti con i provider o anche in un testamento. E’ indubbio che specifiche clausole contrattuali che regolino i rapporti tra gestore dei servizi di posta elettronica e utilizzatore degli stessi.

Le società che gestiscono il provider consigliano di fare testamento per decidere il destino relativo al contenuto della posta elettronica. Infatti in assenza di una previsione mortis causa è discusso se l’erede legittimo possa accedere al contenuto della mail.

Si da atto come nascano sempre più nel modo virtuale siti dediti alla gestione dei nostri cosidetti “Digital Assets“. Alcuni siti offrono servizi equiparabili a pompe funebri digitali. Uno fra i più famosi è sicuramente www.legacylocker.com.
Inoltre il sito Enrustet consente diselezionare i contenuti digitali presenti in Rete da inviare ai propri cari e altri invece da cancellare. Il Deathswitch, in caso di decesso, invia ai parenti e ai colleghi un elenco dettagliato dei siti, dei social media e delle password. Deatswitch verifica regolarmente l'esistenza in vita dei suoi utenti con l'invio di email. Un libro, "Your Digital Afterlife", spiega come affrontare nei singoli dettagli l'ultimo passo nel cyberspazio, da Gmail a Yahoo! a Facebook. Un testo da leggere prima di scrivere le ultime volontà.

La mediazione civile obbligatoria

A partire dal 20 marzo 2011 prende finalmente il largo la procedura di conciliazione, o per meglio dire di mediazione, come la definisce la nuova normativa in vigore (art. 5, comma 1, d.lgs. 28/2010), che prevede l’obbligatorietà della mediazione nelle seguenti materie:

diritti reali
divisione
successioni ereditarie
patti di famiglia
locazione
comodato
affitto di azienda
risarcimento del danno da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa
contratti assicurativi
bancari e finanziari

Con il decreto Milleproroghe è stata invece rinviata a marzo 2012 l’entrata in vigore della obbligatorietà della mediazione esclusivamente per la materia delle controversie condominiali e del risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti.

Ciò significa che a partire dal 20 marzo prossimo sarà necessario, per tutte quelle controversie rientranti nelle materie individuate dalla normativa, effettuare la mediazione prima dell’avvio di una causa civile e la procedura di mediazione, per poter essere considerata valida, dovrà essere effettuata presso uno degli organismi iscritti presso il Registro degli organismi di mediazione del Ministero della Giustizia.

La Camera di Commercio di Lucca, in quanto ente iscritto nel Registro col suo Sportello di conciliazione fin dal 2007, è organismo abilitato a svolgere i tentativi di mediazione di cui al d.lgs. 28/2010 .

www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_7_5_2.wp


martedì 15 marzo 2011

LE DONAZIONI INDIRETTE E L'AZIONE DI RIDUZIONE

DONAZIONE INDIRETTA.  
Cass. civ.,sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496. 

Nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene 
con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente 
medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento 
formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del 
destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di 
siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura 
(connaturata all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), 
poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda 
il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto mancando il 
meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato 
con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche 
del diritto di credito, con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del beneficiario, la 
domanda è sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex art. 52 e 93 l. fall. 

COMMENTO:

Il problema che a lungo ha tormentato la dottrina è stato quello di individuare con certezza quale fosse l’oggetto delle donazioni indirette: il denaro fornito dai genitori o l’immobile acquistato utilizzando lo stesso?

In tema di Collazione e azione revocatoria DI DONAZIONI DIRETTE ed indirette, la Cassazione a Sezioni Unite n. 9282/1992 ha sostenuto che oggetto della collazione e dell’azione revocatoria è l’immobile, tutte le volte in cui il denaro donato costituisce il mezzo per l’acquisto del bene stesso. La ratio di tale sentenza viene ricondotta al principio di par condicio degli eredi onde evitare disparità in caso di collazione del denaro a fronte dell’acquisto del bene immobile.

Cosa è oggetto della azione di riduzione e di restituzione ?

Si discute se il principio di cui alla cassazione a sezione unite del 1992 debba essere applicato anche nella disciplina della azione di riduzione avente ad oggetto donazioni indirette, ponendo in pericolo le situazioni giuridiche soggettive dei terzi aventi causa.

L’azione di riduzione è una azione personale diretta a far valere l’inefficacia del negozio lesivo della legittima. Conseguentemente la titolarità del bene rientra ex tunc nel patrimonio del donante. Da ciò si giustifica l’azione di restituzione contro i terzi. 

L'intestazione di beni altrui sono quegli atti di liberalità indiretta (art 809 c.c.) con il quale il donante con l’accordo del donatario intende far conseguire a questi gratuitamente in via diretta la proprietà di un bene, senza che il bene transiti nel patrimonio del donante anche per un solo istante.

1)   il donante fornisce preventivamente il danaro al donatario che paga il prezzo; (Attenzione: è una donazione diretta rispetto della forma solenne, se di modico valore è sufficiente la traditio ex art 783 c.c. );
2)   il donante interviene direttamente in atto e paga il prezzo, adempimento del prezzo o accollo. (Attenzione : è una donazione indiretta non ci vuole la forma solenne);
3)   il donante stipula un contratto in nome e per conto del donatario pagando con denaro proprio:
4)   contratto per persona da nominare;
5)   contratto a favore del terzo



Il disagio si ha perché nell’ipotesi di intestazione di bene in nome altrui, il donatario (Figlio) non è un avente causa dal donante (padre) bensì dal venditore in quanto il donante (padre) pagando il prezzo al terzo rinuncia al credito avente ad oggetto la restituzione della somma nei confronti del figlio. Ciò che esce effettivamente dal suo patrimonio è il solo credito alla restituzione.

Se si ammettesse l’azione di riduzione e di restituzione del contratto di donazione indiretta avente ad oggetto l’immobile, qualora il figlio vada a vendere il bene così acquistato ad un terzo questo terzo potrebbe correre il rischio di una azione di restituzione ex 563 c.c. senza aver avuto conoscenza della liberalità indiretta.

Es. Tizio acquista il bene dal donatario, figlio, senza essere a conoscenza che l’atto di provenienza era una liberalità indiretta. In particolare tale problema si verificava prima della legge Bersani quando le modalità di pagamento del prezzo non venivano indicate in atto.


Come si potrebbe tutelare il potenziale terzo acquirente???

Una azione nei confronti del negozio di vendita comporterebbe eccessivi rischi.
Il terzo di buona fede, sub acquirente del donatario, più che verificare la continuità della trascrizione, che la provenienza del bene acquistato non sia donativa o successoria e l’assenza di domande giudiziale di impugnative negoziali o vizi di nullità, null’altro può fare. Nel caso in cui la provenienza sia donativa o successoria il terzo può verificare l’esistenza o meno di domanda di riduzione ex art 2652 n 8 c.c. che potrebbe far vacillare il tuo titolo di acquisto essendo legalmente avvertito di tale circostanza. Conseguentemente nel caso di liberalità indiretta il terzo non è a conoscenza della liberalità indiretta.

Se il donatario ha acquistato direttamente dal venditore ma dall’atto trascritto non risulti la circostanza che il danaro è stato fornito dal donante per spirito di liberalità l’eventuale successo del legittimario a seguito dell’azione di riduzione non potrà consentire l’esperimento dell’azione di restituzione verso i terzi a titolo oneroso ed in buona fede.

In tal senso sussiste un conflitto tra la tutela del legittimario e la tutela dell’affidamento del terzo.


L’atto negoziale lesivo della quota di legittima non può essere individuato nella compravendita. L’eventuale azione di riduzione non può colpire il titolo di acquisto del donatario. In tal senso oggetto dell’azione di riduzione dovrà avere ad oggetto la somma di denaro che il padre ha concretamente utilizzato per l’acquisto del bene.
L’azione pertanto colpirà non l’atto negoziale di vendita ma l’adempimento del terzo e l’assunzione del debito altrui comportandone l’inefficacia nei confronti del figlio donatario verso il quale gli eredi potranno agire per la restituzione del credito.

Il diritto del legittimario leso perde la natura reale ed si traduce in un diritto di credito. Il legittimario può si esperire l’azione di riduzione ma non può pretendere l’azione di restituzione del bene verso il terzo.

L’azione di riduzione nelle donazioni indirette incide sulla causa del negozio fine (liberalità) e non sul negozio mezzo (atto di acquisto).


La cassazione del 2010 conferma il principio delle sezioni unite del 1992 secondo cui  nelle ipotesi di intestazione del bene in nome altrui oggetto della donazione indiretta è il bene, tuttavia esclude l’esperibilità dell’azione di restituzione reale del bene nei confronti del terzo avente causa, maturando il legittimario leso il solo diritto di credito.