Art 1117 ter c.c. (Articolo aggiunto dall’art. 2, comma 1, L. 11
dicembre 2012, n. 220, a decorrere dal 17 giugno 2013, ai sensi di quanto
disposto dall’art. 32, comma 1, della medesima legge n. 220/2012)
“1. Per soddisfare
esigenze di interesse condominiale, l'assemblea, con un numero di voti che
rappresenti i quattro quinti dei partecipanti al condominio e i quattro quinti
del valore dell'edificio, può modificare la destinazione d'uso delle parti
comuni.
2. La convocazione
dell'assemblea deve essere affissa per non meno di trenta giorni consecutivi
nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati e deve
effettuarsi mediante lettera raccomandata o equipollenti mezzi telematici, in
modo da pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione.
3. La convocazione
dell'assemblea, a pena di nullità, deve indicare le parti comuni oggetto della
modificazione e la nuova destinazione d'uso.
4. La deliberazione
deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti
di cui ai precedenti commi.
5. Sono vietate le
modificazioni delle destinazioni d'uso che possono recare pregiudizio alla
stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che ne alterano il decoro architettonico.”
La novella di cui all’art.
1117-ter comma 1 consente di modificare la destinazione d’uso delle parti
comuni e, quindi, ammettendo un loro uso del tutto differente da quello
originario.
Il legislatore, con questa norma,
ha cercato di far trarre, ai condomini, la massima fruibilità ad alcune parti
comuni, ponendo in ogni modo dei limiti molto rigorosi, ciò, in un ‘ottica di bilanciamento
degli interessi dei singoli rispetto alla collettività di far parimenti uso del
bene .
Con il nuovo art. 1117-ter c.c. è
stata introdotta, una “proibitiva” maggioranza per le delibere e un
procedimento di convocazione estremamente articolato.
Invero, si tratta di una
maggioranza particolarmente qualificata e rigorosa, tanto da poter risultare di
difficile conseguimento soprattutto in riferimento alle presenze normalmente
ottenibili in assemblea.
LA TUTELA NEL CASO DI ABUSO DI UN
CONDOMINO NELL’USO DELLE PARTI COMUNI
Art 1117 quater c.c. (Articolo aggiunto dall’art. 2, comma 1, L.
11 dicembre 2012, n. 220, a decorrere dal 17 giugno 2013, ai sensi di quanto
disposto dall’art. 32, comma 1, della medesima legge n. 220/2012)
“In caso di attività
contraria alla destinazione d’uso delle parti comuni o delle unità immobiliari
di proprietà esclusiva, ogni condomino può diffidare l’amministratore affinché
entro trenta giorni agisca per la tutela degli interessi comuni.
In mancanza
dell’amministratore o se l’amministratore non provvede entro trenta giorni
dalla diffida, ogni condomino può chiedere che il tribunale ne ordini la
cessazione in via di urgenza, salvo in ogni caso il risarcimento del danno.
Il danno deve essere
determinato tenendo conto degli incrementi di valore, degli investimenti
compiuti e dei benefici ricavati da ciascun interessato, nonché della gravità
della colpa e dell’esigenza di scoraggiare reiterazioni.”
In forza di tale norma in caso di
attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni
d'uso delle parti comuni, l'amministratore o i condomini, anche singolarmente,
possono diffidare l'esecutore e possono chiedere la convocazione dell'assemblea
per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L'assemblea
delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista
dal II comma dell'art. 1136 cod.civ..
Va osservato che la norma
richiede, ai fini del legittimo esercizio della facoltà di operare la diffida,
un duplice requisito. L'attività deve incidere in maniera negativa e,
parallelamente, anche in modo sostanziale sulle destinazioni d'uso degli enti
comuni.
Non viene fornito un confine
certo tra la legittima attività di utilizzo del bene e quella che non rientra
nel suo ordinario uso. La tolleranza non comporta alcuna conseguenza. Il
comportamento può non essere legittimo anche se viene tollerato dalla
collettività degli abitanti dell'edificio.
La legittimazione attiva sostanziale
contro il trasgressore è sia in capo all'amministratore, quale mandatario
dell'edificio, sia in capo ai singoli condomini ; in tal senso può configurarsi
come legittimazione alternativa.
Questi possono singolarmente
diffidare l'esecutore chiedendo la cessazione immediata dell'attività
"vietata" o possono convocare l'assemblea affinché la riunione decida
al riguardo, domandando la cessazione delle attività.
La reale novità di tale
disposizione risiede, quindi, nella previsione che il singolo possa richiedere
la riunione assembleare perché si ponga fine alla violazione: nell’ordinamento
vigente, infatti, fuori dei casi diversamente disciplinati, la richiesta di
convocazione può essere presentata da almeno due condomini che rappresentino un
sesto del valore dell’edificio (art. 66 disp. att. c.c.).