mercoledì 30 marzo 2011

DIFFAMAZIONE VIA WEB IDENTIFICAZIONE TRAMITE INDIRITTO IP:

Cass. Civ., Sez. V, n. 8824 del 7 marzo 2011.

Ingiuria e diffamazione nel web. L'utilizzo del nickname non pone al riparo l'autore delle frasi offensive. Nell’ambito della partecipazione a un forum nella rete Internet, laddove il messaggio introdotto dall’utente si riveli offensivo della reputazione altrui, l’autore delle frasi ritenute ingiuriose che agisce sotto pseudonimo (c.d. nickname) non può ragionevolmente disconoscere la propria individuazione dal momento che «il numero identificativo sulla rete Internet mondiale è assegnato in via esclusiva a un determinato computer connesso», mentre l’eventuale intromissione da parte di un altro utente scorretto avrebbe richiesto la conoscenza di troppi dettagli su tempi e modalità oltre che un bagaglio di notevoli cognizioni tecniche per un’adeguata realizzazione.

COMMENTO:

Tale sentenza ha sancito la sussistenza del reato di diffamazione di un utente di un forum il quale con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ha ripetutamente scritto frasi offensive dell'onore e del decoro di un terzo soggetto.

Attraverso i numeri permanentemente assegnati alla rete informatica è stato possibile individuare il soggetto referente della linea e autore del reato di diffamazione.

LE DIFESE DELL’IMPUTATO:
La difesa puntava sull’esimente di cui al diritto di critica.  Sosteneva, infatti, che le parole dell’utente andassero ricondotte a una discussione accesa, su argomenti di carattere politico, a cui partecipavano vari soggetti, identificati solo dai nickname. Secondo una consolidata giurisprudenza, il linguaggio della polemica politica può assumere toni più pungenti ed incisivi rispetto a quelli adoperati nei rapporti interpersonali tra privati. Andava quindi riconosciuta l'esimente, in quanto il Tizio ha espresso una propria opinione su un Forum, rispondendo ad un argomento postato da altri, per confrontarsi su un avvenimento politico che lo coinvolgeva, quale membro della comunità, nonché protagonista della vita politica del paese.

Quanto all'elemento soggettivo, la difesa riteneva altresì che mancasse l’animus diffamandi: in assenza della dimostrazione della volontà dell’utente di usare espressioni offensive e con la consapevolezza di offendere l'altrui reputazione, deve ritenersi che queste espressioni erano finalizzate solo a dare forza al suo sentito.

I MOTIVI DELLA CORTE:
La Corte ha ritenuto che il Tribunale di merito fosse giunto all'incontestabile dimostrazione che per l'invio del messaggio attribuito all’utente incriminato è stato utilizzato un determinato codice numerico IP, fornito direttamente dal gestore del Forum, accessibile in internet. Questo indirizzo IP è stato associato, attraverso il gestore del servizio telefonico alla linea telefonica del soggetto in questione, il nick name utilizzato è anch’esso intestato all'imputato.
La Corte, con adeguata e articolata argomentazione tecnica ha dimostrato il carattere irreale e irrazionale dell'assunto difensivo secondo cui un inverosimile personaggio si sia impegnato a trasformare un lecito messaggio in uno strumento aggressivo e lesivo della reputazione delle parti civili.

L'accertamento tecnico ha posto in luce che:

a) il numero identificativo sulla rete internet mondiale è assegnato in via esclusiva ad un determinato computer connesso;

b) un altro utente delle rete, per realizzare l'intromissione modificativa,dovrebbe esattamente conoscere dettagliati particolari di tempi e modalità della connessione in cui intromettersi;

c) questo scorretto utente avrebbe dovuto compiere una complessa e difficile serie di interventi finalizzati all'eliminazione di tracce dell'irregolare intervento invasivo. La corte ha ritenuto contrario al senso comune che tanto impiego di tempo e tanto impegno tecnico siano stati profusi da questo sconosciuto per offendere.     

La pretesa, infine, di ottenere il riconoscimento dell'esimente del diritto di critica, in nome di una desensibilizzazione alle offese, da parte dei protagonisti e dei participi nella vita politica di questo paese, è del tutto infondata, in quanto non è invocabile, in base al senso comune e alla generale condizione di uguaglianza tra i consociati, una sorta di desensibilizzazione ai termini offensivi, sedimentatasi nel mondo politico: è da escludere che in una società di matura cultura democratica il confronto politico possa avvenire - nelle istituzioni e tra i consociati - impunemente al di fuori dei limiti di legalità che si devono rispettare in tutte le situazioni della vita sociale (sul rifiuto della desensibilizzazione alla violazione dei diritti della persona, v. sez. V n.31096 del 4.3.09 rv 244811).

Non sussiste quindi l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica qualora l'espressione consista non già in un dissenso motivato, espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell'avversario e del contraddittore. Quanto all'elemento psicologico del reato di diffamazione, secondo un consolidato e condivisibile orientamento interpretativo, non è necessaria l'intenzione di offendere l'altrui reputazione (animus diffamandi), essendo sufficiente la volontà dell'agente di usare parole lesive del bene giuridico, con la consapevolezza di offendere la dignità personale del destinatario delle espressioni. Nel caso in esame la Corte ha ritenuto del tutto evidente l'immediata e inequivoca consapevolezza, di ferire profondamente il credito sociale dei cittadini contro i quali ha lanciato le dure e smodate invettive riportate nel capo di imputazione.

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