martedì 20 marzo 2012

NUOVE NORME PER IL CAMBIO NOME E COGNOME


A fine febbraio è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il Decreto Presidenziale approvato nel consiglio dei Ministri del 12/02/2012 che delega ai Prefetti la decisione in merito alle richieste di cambio nome e cognome estendendone altresì la casistica.

I cambiamenti riguardano in particolare il cambio di cognome. Tra le tipologie previste quelle più ricorrenti sono:

1. Chiunque potrà chiedere di aggiungere il cognome materno a quello paterno. Il numero di questo tipo di domande è in costante aumento (oltre 400 all’anno).

2. Le donne divorziate o vedove potranno aggiungere il cognome del nuovo marito ai propri figli.

3. Infine, per coloro che hanno ricevuto la cittadinanza italiana sarà possibile mantenere il cognome con il quale erano identificato all’estero.


Tali novità entreranno in vigore solo una volta decorsi 60 giorni dalla pubblicazione del Decreto nella Gazzetta ufficiale.

Si riporta il testo come modificato dal Governo Monti:

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA RECANTE MODIFICA DELLE DISPOSIZIONI DEL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 3 NOVEMBRE 2000, N. 396, IN MATERIA DI STATO CIVILE RELATIVAMENTE ALLA DISCIPLINA DEL TITOLO X, DEI CAMBIAMENTI E DELLE MODIFICAZIONI DEL NOME E DEL COGNOME.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l’articolo 87, quinto comma,

della Costituzione;

Visto l’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396;
Ravvisata l’esigenza di apportare modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, per adeguarne la disciplina a criteri di semplificazione e snellimento;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del …;

Sentito il parere della Conferenza Stato - città ed autonomie locali ai sensi dell’articolo 9, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, reso nella seduta del …;

Consultato il Garante per la protezione dei dati personali;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del …;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del …;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro dell’interno e del Ministro della giustizia;

Emana

il seguente regolamento:

ART. 1

(Oggetto)

1. Il presente regolamento introduce modifiche ed abrogazioni al Titolo X del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, recante regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127.

ART. 2

(Cambiamenti del nome o del cognome)

1. All’articolo 89 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, il comma 1 è sostituito dal seguente: “1. Salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’ufficio dello stato civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l’istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta.”.

ART. 3

(Eventuale notifica del contenuto della domanda di modificazione del nome o del cognome)

1. All’articolo 90 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: “ 1-bis. Il decreto di autorizzazione della pubblicazione può stabilire che il richiedente notifichi a determinate persone il sunto della domanda.”

ART. 4

(Opposizione)

1. L’articolo 91 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, è sostituito dal seguente: "ART. 91 1. Chiunque ne abbia interesse può fare opposizione alla domanda entro il termine di trenta giorni dalla data dell’ultima affissione ovvero dalla data dell’ultima notificazione alle persone interessate, effettuata ai sensi dell’articolo 90. L’opposizione si propone con atto notificato al prefetto.”.

ART. 5

(Decreto di concessione del prefetto)

1. L’articolo 92 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, è sostituito dal seguente: "ART. 92 1. Trascorso il termine di cui all’articolo 91, il richiedente presenta al prefetto un esemplare dell’avviso con la relazione attestante l’eseguita affissione e la sua durata nonché la documentazione comprovante le avvenute notificazioni, ove prescritte. 2. Il prefetto, accertata la regolarità delle affissioni e delle notificazioni e vagliate le eventuali opposizioni, provvede sulla domanda con decreto, che deve essere notificato, a cura del richiedente, agli opponenti. 3. Il decreto di concessione, nei casi in cui vi è stata opposizione, deve essere notificato, a cura del richiedente, agli opponenti.”.

ART. 6

(Norme abrogate)

1. Dall’entrata in vigore del presente regolamento sono abrogati gli articoli 84, 85, 86, 87 e 88 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.

ART. 7

(Clausola di invarianza della spesa)

1. Dall’attuazione del presente regolamento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

ART. 8

(Entrata in vigore)

1. Il presente regolamento entra in vigore sessanta giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque di osservarlo e di farlo osservare.


Se vuoi avere una consulenza in merito al cambio nome o cognome non esitare a contattare il nostro studio legale: chiara.consani@virgilio.it


lunedì 19 marzo 2012

IVA SUI RIFIUTI


La Cassazione n 3756/2012 ha nuovamente riconosciuto l’illegittimità dell’Iva.

La Corte di Cassazione, sopra citata, ribadisce nuovamente che la tassa sui rifiuti sia essa “non è assoggettabile all’ IVA del 10% in quanto costituisce un entrata tributaria e non un corrispettivo per il servizio reso”.

Già con la Sentenza n 238/09, la Cassazione aveva dichiarato che la T.I.A. (Tariffa di Igiene Ambientale), introdotta dal decreto Ronchi, essendo una tassa e non una tariffa, non doveva essere soggetta all’Iva in quanto sarebbe stato come pagare una tassa sulla tassa.

Ma la disposizione interpretativa nell’articolo 14, comma 33 del decreto legge 78/2010, da parte del Governo di allora, rimise tutto in gioco facendo sì che la Sentenza della Cassazione del 2009 restasse una voce inascoltata. Come se la Corte non valesse nulla. Il Governo, dal canto suo, con la circolare la n. 3 del 2010 esplicitò la continuità tra Tia1 e Tia2 come una normale entrata di servizio e quindi soggetta a Iva.

Vari consumatori si sono rivolti ai Giudici di pace ed alle Commissioni tributarie chiedendo sia di non applicare l’Iva per il futuro, sia il rimborso di quella versata.

Le associazioni in rappresentanza dei consumatori hanno richiesto all’attuale governo Monti in carica, un intervento politico che, nel chiarire una volta per tutte, la normativa, eviti la valanga di ricorsi che i cittadini sarebbero costretti a depositare presso il Giudice di Pace per ottenere il giusto rimborso, sostenendo spese e intasandone l’Ufficio, fino a bloccarne il funzionamento.

Il  rimborso,  come  sancito dalla Corte Cassazione, dovrà essere erogato,  entro  60  giorni  dal  ricevimento  della  istanza,  in  un’unica  soluzione  dal  gestore  del  servizio  pubblico  che  ha  applicato  la  tariffa  e  addebitato  l’Iva oppure  dal  Comune,  nel  solo  caso  in  cui  la  tariffa  sia  stata  applicata  da  quest’ultimo.

Ci auguriamo che il Governo alla stregua della sentenza della Corte di Cassazione citata, chiuda per sempre  la  questione  relativa  all’applicazione  dell’Iva  sulla  Tia.  Anche  perché    le  Tariffe  (tributi  in  realtà)    saranno  destinate  alla  sostituzione  con  la R.E.S.  (Tributo  comunale  rifiuti  e  servizi)  che  verrà  introdotta  a  partire  dal  1.1.2013   (art. 14   – DL 201/2011) il decreto recante Disposizioni urgenti per  la crescita, l’equita’ e il consolidamento dei conti pubblici.

Per chiedere il rimborso Iva è necessario avere tutte le fatture pagate relative alla Tariffa di Igiene Ambientale.
Qualora il rimborso venisse negato, si potrà agire in giudizio.

Si deve, poi, chiedere alla società che gestisce il servizio dei rifiuti, la sospensione dell’applicazione Iva. Nel caso in cui nella fattura emessa fosse ancora calcolata l'IVA, al momento del pagamento della Tia,  consiglio,  di inviare una lettera alla società competente nella quale dare atto che si è provveduto a pagare regolarmente la tassa stessa con lo scorporo dell'IVA posta la sua illegittimità.
In tal modo si evita almeno per il futuro lunghe attese per il rimborso.

Per ogni consulenza in materia scrivete al nostro studio legale chiara.consani@virgilio.it

martedì 6 marzo 2012

LE UNIONI OMOSESSUALI IN ITALIA SOLUZIONI IN ATTESA DI UNA NORMATIVA AD HOC:


Manca in Italia una normativa che riconosca alle coppie omosessuali la facoltà di unirsi in matrimonio civile.

LA LEGISLAZIONE ITALIANA:

L’art 29 della Costituzione prevede il riconoscimento dei “diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

L’art 30 della Costituzione tutela i diritti dei figli nati all’interno o fuori dal matrimonio.

Dal combinato disposto degli artt. 29 e 30 cost. emerge con chiarezza che l’attenzione del Costituente è volta ad una formazione familiare esclusivamente eterosessuale capace (almeno in astratto) di procreare.

Il requisito della “naturalità” osta alla possibilità di celebrare il matrimonio tra persone del medesimo sesso, evidenziandosi tale assunto anche dall’art. 3 comma 3 lettera g) della legge n.898/1970 (c.d. “legge sul divorzio”), per cui la rettificazione dell’attribuzione di sesso determina l’immediato scioglimento del matrimonio.

In conclusione, non ricorrendo le peculiarità del fenomeno «famiglia» cosí come considerato nella Costituzione, è da escludere – allo stato attuale della normativa – che le unioni tra persone dello stesso sesso possano trovare una qualche rilevanza propriamente «familiare» nel contesto costituzionale, con la possibilità, in prospettiva de iure condendo, di acquisire una tutela analoga a quella prevista per la famiglia legittima od anche a quella che si potrebbe prospettare per la famiglia di fatto o convivenza more uxorio nei termini e con i limiti dettati dalla considerazione preferenziale espressa dal Costituente per la comunità familiare fondata sul matrimonio di cui all’art. 29, comma 1, cost.

In tal senso sulla base di tale legislativa nazionale l’unione matrimoniale tra persone del medesimo sesso non sarebbe solo invalida, bensì giuridicamente e legalmente inesistente


LA LEGISLAZIONE EUROPEA:

In Europa, il matrimonio omosessuale è previsto e giuridicamente disciplinato in Olanda (dall’anno 2001), Belgio (dall’anno 2003), Spagna e Regno Unito (dall’anno 2005).

Nel contesto europeo, occorre distinguere gli ordinamenti giuridici:
-       che ammettono in toto il matrimonio omosessuale, quindi facendone discendere in capo ai coniugi tutti gli obblighi relativi;
In tal caso l’unione omosessuale viene del tutto parificata al matrimonio e quindi ciascun soggetto acquisisce lo status coniugale, perdendo di conseguenza lo stato libero;

-       che ammettono esclusivamente le unioni civili costituenti istituti giuridici differenti dal matrimonio vero e proprio venendo attribuita rilevanza giuridica alla convivenza “di fatto”, more uxorio;

LA VALIDITA’ DEL MATRIMONIO OMOSESSUALE CONTRATTO ALL’ESTERNO TRA CITTADINI ITALIANI:

Poiché in un numero crescente di paesi il matrimonio ha visto l’abbandono del requisito della diversità di sesso fra i coniugi spesso le coppie tra persone dello stesso sesso guardano all’estero per contrarre matrimonio.

In tal senso è necessario verificare se un matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso e cittadine italiane sia o meno riconosciuto in Italia.

L’art. 27, l. n. 218/1995, rinvia alla legge nazionale di ciascun nubendo per la sussistenza dei requisiti della capacità matrimoniale e per le altre condizioni per contrarre matrimonio.

L’art. 115 c.c. stabilisce che al cittadino italiano che contragga matrimonio all’estero si applicano le disposizioni contenute nella sezione I del capo III del c.c. in tema di condizioni necessarie per contrarre matrimonio.

Ancorché la diversità di sesso non sia espressamente contemplata dalla norme menzionate, si sostiene comunemente l’invalidità del matrimonio contratto all’estero con persona dello stesso sesso per mancanza, nel cittadino italiano, di uno dei requisiti sostanziali.

Poiché, dunque, la diversità di sesso assurge ad elemento essenziale della fattispecie «matrimonio», è legittimo il rifiuto dell’ufficiale di stato civile «per l’assenza dei requisiti minimi essenziali che consenta di inquadrare la fattispecie in esame nella stessa previsione legale “matrimonio”, presupposto questo indefettibile per la trascrizione». Emerge pertanto che la trascrizione del matrimonio contratto all’estero fra persone dello stesso sesso, entrambe cittadine italiane, non è ammissibile perché detto vincolo sarebbe inesistente secondo il punto di vista del foro italiano.


UNIONI TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO E COMUNIONE DI VITA:

Le unioni omosessuali rappresentano una comunione di vita e di affetti, pur sempre prive della capacità di riprodursi.

Pur non avendo queste unioni, a livello costituzionale, rilevanza propriamente «familiare» con le conseguenze anzidette, tuttavia non può revocarsi in dubbio che esse costituiscono espressione dell’esercizio di un diritto inviolabile della persona quale è il diritto di libertà sessuale.

In tal senso nella attuale mancanza di una normativa ad hoc che tuteli le unioni fra persone dello stesso sesso, è possibile mediante un contratto di convivenza, avente mera efficacia fra le parti, disciplinare i rispettivi rapporti in particolar modo quelli patrimoniali attraverso una regolamentazione ad hoc. Prevedendo ad esempio: la sorte dei beni mobili e degli arredi della casa in caso di separazione. Obbligandosi una parte a corrispondere all’altra, somme a titolo di mantenimento, sempre per il caso della separazione.


L’OPPORTUNITA’ DI FARE TESTAMENTO SE SI INTENDE LASCIARE DEI BENI AL PROPRIO COMPAGNO/A DI VITA:

L’assenza di una norma che riconosca valore giuridico alle unioni omosessuali incide notevolmente anche in merito ai diritti successori.
Mentre il coniuge in forza del matrimonio acquista la qualità di legittimario, il compagno/a di una coppia omosessuale non ha alcun titolo per vantare dei diritti di riserva sulla successione del compagno/a.
Per tale ragione è opportuno, se la volontà è quella di tutelare economicamente il compagno nel caso di morte, procedere alla stesura, nelle forme di legge, di un testamento con il quale lasciare la disponibile al compagno/a.
Nulla toglie che con tale testamento si possa disporre in favore del compagno/a dell’intera eredità fermo restando il rischio dell’azione di riduzione di eventuali legittimari (i genitori) pretermessi o lesi.

Questo studio è a vostra completa disposizione per ogni consulenza in merito alla redazione di un contratto di convivenza ad hoc e per rendervi consulenza testamentaria. Non esitare a contattarmi via mail chiara.consani@virgilio.it