giovedì 31 marzo 2011

ATTI DI VANDALISMO CONTRO OGGETTI DELL’EX: STALKING


COMMENTO:
Lo afferma una recente sentenza della Cassazione penale , sez. V, sentenza 07.03.2011 n° 8832.

I giudici di merito avevano vietato all’ex fidanzato di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla sua ex donna, in quanto sospettato di aver danneggiato la sua vettura auto (rottura dello specchietto, ammaccamenti alla carrozzeria, foratura degli pneumatici, sfondamento del gruppo ottico e del lunotto posteriore ed incendio della vettura).

I difensori dell’imputato hanno sostenuto che gli atti di danneggiamento, non fossero rivolti contro l’incolumità della ex, ma verso le cose di sua proprietà. In tal senso non avevano provocato un perdurante e grave stato di ansia, escludendosi così l’applicazione dell’art. 612-bis c.p..

Secondo il Supremo Collegio, invece, i danneggiamenti ai beni della ex compagna hanno necessariamente inciso, per le modalità di realizzazione quale raptus violento, sullo stato psichico della donna. E’ emerso dalle indagini un grave e perdurante stato di turbamento emotivo: infatti, perché si configuri il reato di stalking è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V PENALE- 7 marzo 2011, n. 8832

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Il tribunale di Torino, con ordinanza emessa ex art. 309 c.p.p., il 21.7.2010, ha confermato l'ordinanza emessa il 25.6.2010 dal Gip del tribunale di Asti nei confronti R.R. applicativa della misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati da D. D.A..

Il difensore del R. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all'art. 612 bis c.p., e mancanza di motivazione in ordine alla configurazione giuridica del reato: il tribunale ha erroneamente ritenuto la realizzazione di tutti gli eventi previsti dalla norma.

Quanto al timore della donna per la propria incolumità tisica, la D. non ha mai manifestato timore nè ha denunciato minacce del R.. Gli atti di danneggiamento contestati non sono stati rivolti contro l'incolumità fisica, essendo diretti verso le cose.

Non risulta che la D. abbia dovuto alterare le proprie abitudini di vita, in quanto tale evento non può dirsi realizzato, a seguito dell'incendio della sua auto, per l'impossibilità di visitare la madre in ospedale, per mancanza di un mezzo di trasporto.

Quanto al perdurante e grave stato di ansia, il ricorrente rileva che l'attestazione deriva da un certificato medico, redatto da uno specialista in malattie dell'apparato respiratorio: è evidente che un generico stato d'ansia, certificato non da uno specialista neurologo o psichiatrico, non può essere contuso con una situazione ben delineata dalla norma, che richiede che lo stato d'ansia sia,oltre che grave, anche perdurante.

Secondo la giurisprudenza,l'evento consiste in un turbamento psicologico destabilizzante che si sia manifestato con forme patologiche, contraddistinte dallo stress, di tipo clinicamente definito grave e perdurante.

Tale stato non sussiste, per assenza di comportamenti minacciosi:

mancano gravi indizi sulla responsabilità in ordine all'incendio dell'auto, anche perchè l'indizio più sottolineato dal tribunale è frutto di un errore : il materiale, integrante questo indizio (il ritrovamento di oggetti funzionali alla realizzazione di tale fattispecie), non è stato rinvenuto nell'auto del R., ma, a distanza di due settimane dal fatto, presso l'abitazione dell'indagato ed è oggetto di accertamenti diretti a verificare la sua compatibilità con l'atto vandalico.

Non ha alcun rilievo indiziante la presenza dell'indagato sul luogo ove era stato appena spento il fuoco, tenuto conto che la sua abitazione è appena a 50 metri da quella della donna.

In maniera illogica, il tribunale ha poi interpretato il pronto intervento dell'istante,a seguito dello spegnimento del fuoco, come indizio a suo carico.

Secondo il ricorrente, quindi, il tribunale ha motivato l'ordinanza sul punto della sussistenza di gravi indizi a carico del R. con una formula di stile, che non può supplire a una doverosa argomentazione sul reale quadro indiziario circa il verificarsi di uno o più degli eventi indicati dall'art. 612 bis c.p..

Il ricorso non merita accoglimento.

La base indiziaria è costituita da una serie di danneggiamenti su beni della donna che hanno necessariamente inciso, per il loro susseguirsi rapido cartellante ed emotivamente destabilizzante sullo stato psichico della D.. Le sue narrazioni su episodi emotivamente traumatici, costituti da numerosi, ripetuti danneggiamenti alla propria auto (allo specchietto, alla carrozzeria, ai pneumatici, al gruppo ottico, al lunotto posteriore), al campanello, al sistema di allarme e alla porta di casa, sono stati storicamente confermati dagli accertamenti dei danni e da una parziale ammissione dell'indagato. In alcuni di questi episodi, la donna ha avuto modo di vedere in azione il R., che inoltre non ha mancato di fare beffardi riferimenti ai pericoli a cui era esposto il veicolo nella pubblica via. Tutti questa fatti sono stati commessi in un arco di tempo caratterizzato da particolare pressione del R. proiettato a polemizzare sul rapporto cessato e a convincere la donna a un sua ripresa (sono stati correttamente richiamati gli sms e il colloquio telefonico registrato). In questo quadro di aggressività,dal molteplice profilo, si è inserito l'incendio dell'auto, da vedere quale soluzione radicale e finale del danneggiamento del veicolo. Le conclusioni dei giudici di merito sulla sussistenza di un atteggiamento persecutorio in danno della D. sono quindi pienamente conformi alle risultanze delle indagini e alla loro razionale interpretazione.

L'evento scaturito da questo piano di violenza materiale e psicologica è costituito naturalmente da un stato turbamento psicologico della donna,derivante non da un singolo fattore di stimolo ansiogeno, ma una serie di comportamenti persecutori, che hanno evidentemente determinato una rottura nell'equilibrio emotivo della D., che si è espressa a mezzo di sensazione soggettiva,cioè in un crescendo, di tensione, preoccupazione, nervosismo, paura, di grave spessore e perdurante nel tempo, data la stabilità dell'atteggiamento intimidatorio rancoroso e vendicativo dell'uomo.

Allo stato, manca uno specifico accertamento tecnico, che abbia dimostrato come gli elevati livelli di ansia risultando spiacevoli e addirittura dolorosi, abbiano condotto alla specifica tipologia dello stato di ansia della persona offesa attraverso un accentuata e ingovernabile esposizione agli stimoli ansiogeni, fino a un approdo di tipo patologico.

Comunque è emerso un grave e perdurante stato di turbamento emotivo,che è stato ragionevolmente ritenuto idoneo a essere inquadrato nell'evento di cui all'art. 612 bis c.p., la cui sussistenza non dipende dall'accertamento di una stato patologico, rilevante solo nell'ipotesi di contestazione di concorso formale di ulteriore delitto di lesioni. La nuova tipologia non può essere ricondotta in una ripetizione del reato ex art. 582 c.p. - il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica - ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima.

Tale evento destabilizzante è stato correttamente ritenuto sussistente dai giudici di merito, pur non risultato progredito in uno stato patologico, il cui accertamento potrà rilevare ai fini della sussistenza di eventuale ulteriore reato di lesioni.

Le censure del ricorrente sulle interpretazioni dei risultati delle indagini sin qui svolte, ad opera del giudice di merito, hanno quindi investito valutazioni fattuali, di cui va ribadita la piena fedeltà alle risultanze processuali e la loro razionale valutazione. Pertanto sono del tutto immuni da censura in sede di giudizio di legittimità.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

mercoledì 30 marzo 2011

DIFFAMAZIONE VIA WEB IDENTIFICAZIONE TRAMITE INDIRITTO IP:

Cass. Civ., Sez. V, n. 8824 del 7 marzo 2011.

Ingiuria e diffamazione nel web. L'utilizzo del nickname non pone al riparo l'autore delle frasi offensive. Nell’ambito della partecipazione a un forum nella rete Internet, laddove il messaggio introdotto dall’utente si riveli offensivo della reputazione altrui, l’autore delle frasi ritenute ingiuriose che agisce sotto pseudonimo (c.d. nickname) non può ragionevolmente disconoscere la propria individuazione dal momento che «il numero identificativo sulla rete Internet mondiale è assegnato in via esclusiva a un determinato computer connesso», mentre l’eventuale intromissione da parte di un altro utente scorretto avrebbe richiesto la conoscenza di troppi dettagli su tempi e modalità oltre che un bagaglio di notevoli cognizioni tecniche per un’adeguata realizzazione.

COMMENTO:

Tale sentenza ha sancito la sussistenza del reato di diffamazione di un utente di un forum il quale con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso ha ripetutamente scritto frasi offensive dell'onore e del decoro di un terzo soggetto.

Attraverso i numeri permanentemente assegnati alla rete informatica è stato possibile individuare il soggetto referente della linea e autore del reato di diffamazione.

LE DIFESE DELL’IMPUTATO:
La difesa puntava sull’esimente di cui al diritto di critica.  Sosteneva, infatti, che le parole dell’utente andassero ricondotte a una discussione accesa, su argomenti di carattere politico, a cui partecipavano vari soggetti, identificati solo dai nickname. Secondo una consolidata giurisprudenza, il linguaggio della polemica politica può assumere toni più pungenti ed incisivi rispetto a quelli adoperati nei rapporti interpersonali tra privati. Andava quindi riconosciuta l'esimente, in quanto il Tizio ha espresso una propria opinione su un Forum, rispondendo ad un argomento postato da altri, per confrontarsi su un avvenimento politico che lo coinvolgeva, quale membro della comunità, nonché protagonista della vita politica del paese.

Quanto all'elemento soggettivo, la difesa riteneva altresì che mancasse l’animus diffamandi: in assenza della dimostrazione della volontà dell’utente di usare espressioni offensive e con la consapevolezza di offendere l'altrui reputazione, deve ritenersi che queste espressioni erano finalizzate solo a dare forza al suo sentito.

I MOTIVI DELLA CORTE:
La Corte ha ritenuto che il Tribunale di merito fosse giunto all'incontestabile dimostrazione che per l'invio del messaggio attribuito all’utente incriminato è stato utilizzato un determinato codice numerico IP, fornito direttamente dal gestore del Forum, accessibile in internet. Questo indirizzo IP è stato associato, attraverso il gestore del servizio telefonico alla linea telefonica del soggetto in questione, il nick name utilizzato è anch’esso intestato all'imputato.
La Corte, con adeguata e articolata argomentazione tecnica ha dimostrato il carattere irreale e irrazionale dell'assunto difensivo secondo cui un inverosimile personaggio si sia impegnato a trasformare un lecito messaggio in uno strumento aggressivo e lesivo della reputazione delle parti civili.

L'accertamento tecnico ha posto in luce che:

a) il numero identificativo sulla rete internet mondiale è assegnato in via esclusiva ad un determinato computer connesso;

b) un altro utente delle rete, per realizzare l'intromissione modificativa,dovrebbe esattamente conoscere dettagliati particolari di tempi e modalità della connessione in cui intromettersi;

c) questo scorretto utente avrebbe dovuto compiere una complessa e difficile serie di interventi finalizzati all'eliminazione di tracce dell'irregolare intervento invasivo. La corte ha ritenuto contrario al senso comune che tanto impiego di tempo e tanto impegno tecnico siano stati profusi da questo sconosciuto per offendere.     

La pretesa, infine, di ottenere il riconoscimento dell'esimente del diritto di critica, in nome di una desensibilizzazione alle offese, da parte dei protagonisti e dei participi nella vita politica di questo paese, è del tutto infondata, in quanto non è invocabile, in base al senso comune e alla generale condizione di uguaglianza tra i consociati, una sorta di desensibilizzazione ai termini offensivi, sedimentatasi nel mondo politico: è da escludere che in una società di matura cultura democratica il confronto politico possa avvenire - nelle istituzioni e tra i consociati - impunemente al di fuori dei limiti di legalità che si devono rispettare in tutte le situazioni della vita sociale (sul rifiuto della desensibilizzazione alla violazione dei diritti della persona, v. sez. V n.31096 del 4.3.09 rv 244811).

Non sussiste quindi l'esimente dell'esercizio del diritto di critica politica qualora l'espressione consista non già in un dissenso motivato, espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell'avversario e del contraddittore. Quanto all'elemento psicologico del reato di diffamazione, secondo un consolidato e condivisibile orientamento interpretativo, non è necessaria l'intenzione di offendere l'altrui reputazione (animus diffamandi), essendo sufficiente la volontà dell'agente di usare parole lesive del bene giuridico, con la consapevolezza di offendere la dignità personale del destinatario delle espressioni. Nel caso in esame la Corte ha ritenuto del tutto evidente l'immediata e inequivoca consapevolezza, di ferire profondamente il credito sociale dei cittadini contro i quali ha lanciato le dure e smodate invettive riportate nel capo di imputazione.

martedì 29 marzo 2011

RIFIUTO DELL’ACOL TEST:



La guida in stato di ebbrezza è un reato, punito con diverse sanzioni a seconda del tasso alcolemico del conducente al momento del fermo.

La legge stabilisce attualmente il limite di 0,5 grammi/litro di alcol nel sangue, limite oltre il quale il conducente viene definito in stato di ebbrezza e quindi soggetto a provvedimenti sanzionatori.

Chiunque guida in stata di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato:

a) qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro (g/l): con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 2.000, All'accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;

b) qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro (g/l):
con l'ammenda da euro 800 a euro 3.200 e l'arresto fino a sei mesi,  All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;

c) qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l):  con l'ammenda da euro 1.500,00 a euro 6.000,00, l'arresto da sei mesi ad un anno.
All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata. La patente di guida è sempre revocata, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI, in caso di recidiva nel biennio. Con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all'articolo 224-ter.

La giurisprudenza torna sulla questione della confisca del veicolo per il reato di “rifiuto” dell’automobilista di sottoporsi all’alcool test.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO:

L’art. 186 c. 2 lett. c) del codice della strada, nella nuova formulazione introdotta con il D.Lgs. 92/2008, convertito nella Legge 125/2008, stabilisce che, in caso di guida in stato di ebbrezza alcolica con accertamento di un valore corrispondente a un tasso alcolemico superiore a grammi 1,5 per litro, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena a richiesta delle parti (patteggiamento) è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il fatto reato.

Lo stesso art. 186, al comma settimo, stabilisce poi che, in caso di rifiuto da parte del contravvenuto dell’accertamento del tasso alcolemico tramite etilometro, la condanna per il reato comporta anche la confisca del veicolo.


La Corte di Cassazione con la sentenza 23428/2010 ha precisato che, in tale caso, “la confisca del veicolo ha una natura di sanzione penale accessoria”.

EVOLUZIONE in seguito alla modifica introdotta con la legge 24 luglio 2008, n. 125.

La Corte ha precisato che “con l’entrata in vigore del decreto legge 23 maggio 2008 n. 92, (convertito con la citata legge 24 luglio 2008, n. 125) è stato introdotto un inasprimento delle pene detentive per gli illeciti di seconda e terza fascia del secondo comma dell’art. 186 ed ha introdotto una disposizione, in virtù della quale con la sentenza di condanna o di patteggiamento (…) è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato ai sensi dell’art. 240, comma II, del codice penale”.

La precedente normativa in vigore sul tema, non fu ritenuta efficace allo scopo di contrastare il fenomeno del c.d. drive drinking, in quanto “il conducente del veicolo poteva vantare un interesse a rifiutare di sottoporsi all’alcool test, accettando l’irrogazione della sanzione amministrativa, nella consapevolezza che senza la misurazione strumentale egli poteva essere, tutto al più, riconosciuto colpevole della meno grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza”.

In pratica il rifiuto costringerebbe l’automobilista al pagamento di una somma di denaro, ma lo salverebbe dall’eventuale sequestro del veicolo.

Poiché, invece, la normativa contro l’abuso di alcol ha il compito primario proprio di scoraggiare l’utilizzo smodato di alcol, appare senza dubbio più corretto equiparare il rifiuto di sottoposizione al test alla più grave ipotesi di guida in stato di ebbrezza.

E' del tutto evidente che con tale previsione il legislatore muta completamente strategia perchè ora il conducente aveva tutto l'interesse a sottoporsi ai test alcolimetrici perchè in caso di rifiuto si sarebbe visto applicare una sanzione pari alla più grave sanzione penale prevista dall'art. 186 C.d.S., lett. c), mentre con i test si sarebbe potuta dimostrare la presenza di un tasso alcolemico inferiore a 1,5 grammi per litro, con conseguente irrogazione di sanzioni penali più lievi.


Il legislatore è approdato ad una completa parificazione, sotto il profilo sanzionatorio, del rifiuto di sottoporsi ai test alcolimetrici alla più grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza.

Ciò allo scopo evidente di rendere più efficace il sistema sanzionatorio e principalmente di impedire che il conducente, sottraendosi all'alcoltest, potesse evitare le sanzioni più gravi previste per la guida in stato di ebbrezza.

La sanzione penale assolve, invece, ad una funzione essenzialmente punitiva e di prevenzione generale, risultando particolarmente evidente la funzione afflittiva assegnata dal legislatore alla confisca prevista dall'art. 186 C.d.S.

Si veda anche:

lunedì 28 marzo 2011

EQUITALIA E LE ISCRIZIONI IPOTECARIE LEGALI

Negli ultimi anni, molti contribuenti, si sono improvvisamente trovati la propria abitazione in vendita all'asta per debiti erariali non pagati. Quando arriva una cartella esattoriale bisogna subito pagarla oppure fare ricorso entro 60 giorni, trascorsi 60 gg, il concessionario ha titolo per procedere all'ipoteca. In un secondo momento ricevuto l'avviso di trascrizione dell'ipoteca sulla casa, ci sono 6 mesi di tempo per pagare, poi l'esattoria procede. Alcuni concessionari mandano questi atti per posta ordinaria, quando devono essere notificati e addebitano le spese di iscrizione e cancellazione quando sono esenti da imposte e tasse ex art. 16 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, modificativo dell'art. 47 del D.p.r. 602/73.

Cosa dice la legge:

ART. 76 DPR. 602/1973

Il concessionario (Equitalia) può procedere all'espropriazione immobiliare se l'importo complessivo del credito per cui si procede supera complessivamente ottomila euro. Tale limite può essere aggiornato con decreto del Ministero delle finanze.
Il concessionario non procede all'espropriazione immobiliare se il valore del bene, determinato a norma dell'art. 79 e diminuito delle passività ipotecarie aventi priorità sul credito per il quale si procede, è inferiore all'importo indicato nel comma 1.

ART. 77
Decorso inutilmente il termine di cui all'articolo 50, comma 1, il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede. Se l'importo complessivo del credito per cui si procede non supera il cinque per cento del valore dell'immobile da sottoporre ad espropriazione determinato a norma dell'articolo 79, il concessionario, prima di procedere all'esecuzione, deve iscrivere ipoteca. Decorsi sei mesidall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto, il concessionario procede all'espropriazione.

Cosa fare?

-       La prima cosa da verificare, quando vi è una iscrizione ipotecaria da parte dell’Equitalia, e' se le cartelle esattoriali a cui si riferisce l'ipoteca, sono state realmente notificate, se non e' cosi bisogna fare subito ricorso alla Commissione Tributaria o al Giudice ordinario.

-       Un'altra cosa importante e' che l'iscrizione ipotecaria quando contiene cartelle notificate da piu' di un anno devono essere precedute da intimazione di pagamento, che una volta si chiamava avviso di mora, in mancanza e' tutto nullo.

Ciò è quanto emerge da una pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Milano (sent. nr.137/03/09) la quale ha accolto il ricorso di una contribuente che si è vista iscrivere ipoteca per crediti relativi a cartelle notificatele molti anni prima.
Nel caso di specie, infatti, la ricorrente ha sostenuto che l’iscrizione ipotecaria era affetta da insanabile nullità, in quanto il Concessionario non aveva proceduto alla preventiva notifica dell’intimazione di pagamento, ai sensi dell’art. 50, secondo comma, del DPR n. 602/1973.

È bene ricordare che nel contesto tributario l’ipoteca si atteggia come una misura cautelare conservativa strumentalmente connessa all’espropriazione forzata immobiliare e dunque soggetta all’applicazione non solo della disposizione dell’art. 77 del DPR n. 602/1973 (Espropriazione immobiliare) ma anche dei precetti consacrati negli art. 49 e seguenti (Espropriazione forzata – Disposizioni Generali).
L’ipoteca, infatti, sebbene non sia un atto di espropriazione forzata in senso stretto, rimane comunque un provvedimento funzionale alla fase esecutiva.

Come giustamente osservato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, (sent. Cass. SSUU n. 2053 del 31.01.2006), l’iscrizione d’ipoteca - equiparabile al fermo amministrativo - “è preordinata all'espropriazione forzata e dunque è un atto funzionale all'espropriazione medesima, ovvero un mezzo teso ad agevolare la realizzazione del credito”.
Tanto premesso, è indiscutibile che espropriazione, ipoteca legale e fermo amministrativo, benché non vincolati gli uni agli altri, vantano comunque identici presupposti e condizioni, posto che gli stessi dipendono direttamente e immediatamente dalla concreta ed attuale piena efficacia della prodromica notifica della cartella di pagamento.
Nel caso, quindi, sia decorso più di un anno dalla notificazione della cartella, l’espropriazione potrà essere avviata – e l’iscrizione ipotecaria potrà essere disposta – solo dopo la notifica dell’intimazione di pagamento di cui al secondo comma dell’art. 50 del DPR n. 602/1973.

La mancata attivazione della fase espropriativa nel termine annuale fissato dalla predetta disposizione, determina il venir meno della capacità del ruolo (ossia del credito contenuto nella cartella esattoriale) a valere come titolo esecutivo, essendo la sua efficacia sospesa ex lege sino a quando non è ripristinata dalla notificazione dell’intimazione ad adempiere.
Della stessa opinione appaiono i giudici di prime cure, i quali ritengono la notifica dell’intimazione un “aspetto molto importante da seguire prima di procedere all’iscrizione di ipoteca”.

-       L'ipoteca legale è iscrivibile solo a imposte dirette e indirette con esclusione delle multe;

-       Inoltre si da atto che è illegittima:

1) l'iscrizione ipotecaria inferiore a 8000€ Commissione Tributaria di Cosenza Sez. 1 Sent. n. 429/01/2007 depositata il 05/11/2007;

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con una recente sentenza destinata a riscrivere completamente i rapporti tra cittadino ed esattoria. In virtù della pronunzia in esame, infatti, tutti coloro che hanno subito l’iscrizione dell’ipoteca sul proprio immobile per importi inferiori alla detta somma potranno, quindi, chiedere l’immediata cancellazione della stessa e, ove ne ricorrano gli estremi, anche il risarcimento del danno.

E’ evidente il pregiudizio derivante al cittadino per una iscrizione ipotecaria, peraltro illegittima, per debiti di modico valore. Lo stesso, infatti, si potrebbe trovare in serie difficoltà, se non addirittura nell’assoluta impossibilità, di vendere il proprio immobile, in quanto illegittimamente gravato da ipoteca.

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione, quindi, conferisce nuova forza e vigore all’orientamento giurisprudenziale volto ad affermare i diritti dei cittadini nelle ipotesi, di provvedimenti illegittimi adottati dalla esattoria ed apre la strada alla revoca di migliaia di iscrizioni ipotecarie ed a una moltitudine di richieste di risarcimento danni. Secondo recenti stime, i contribuenti che a livello nazionale si sono visti gravare da ipoteca la propria casa sono circa 160 mila e le iscrizioni ipotecarie per crediti erariali inferiori ad € 8.000,00 oscillano tra il 30 ed il 50% delle totali, ovvero tra le 50 ed 80 mila.

2) l'iscrizione ipotecaria in presenza di istanza di rateizzazione: Commissione Tributaria Provinciale di Genova sentenza n.81/13/2008 depositata il  14 aprile 2008;

3) l'iscrizione ipotecaria di un immobile con fondo patrimoniale familiare: Commissione Tributaria Provinciale di Mantova, Sentenza n. 71/01/2008 depositata il 10/06/2008;
  
4) l’iscrizione ipotecaria se già e' stato fatto il fermo, Commissione Tributaria Provinciale di Massa Carrara sentenza n.250/01/2009 del 30 luglio 2009;


sabato 26 marzo 2011

ADULTERIO NON È NECESSARIAMENTE CAUSA DI ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE:

ADULTERIO NON È NECESSARIAMENTE CAUSA DI ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE:

La violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, o meglio conosciuto come adulterio, circostanza particolarmente grave, in quanto, di regola tende a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, non è causa d’addebito se risulti provato che comunque non ha avuto incidenza causale nel determinare la crisi coniugale, in quanto essa già preesisteva.
La conferma di questo principio di diritto arriva dalla prima Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 2093 depositata lo scorso 28 gennaio 2011.

La Cassazione ribadisce che il presupposto dell’addebito é rappresentato dal nesso causale che deve intercorrere tra la violazione dei doveri coniugali, infedeltà, e la crisi dell’unione familiare. Tale nesso di causalità deve essere accertato. In particolare è necessario verificare se la relazione extraconiugale, che di regola si presume causa efficiente di situazione di intollerabilità della convivenza, rappresentando violazione particolarmente grave, non risulti di fatto priva di efficienza causale, dal momento che può intervenire in un menage ormai già compromesso, ovvero perché, nonostante tutto, la coppia ne abbia superato le conseguenze recuperando un rapporto armonico.

Se, dunque, il manage familiare è già compresso oppure la coppia abbia recuperato un rapporto armonico dopo la fine della relazione adulterina, la precedente relazione extraconiugale non può rivestire carattere decisivo per la pronuncia di addebito della separazione.

Corte di Cassazione, Civile, Sezione Prima, Sentenza n. 2093 del 28/01/2011
Corte di Cassazione Civile, Sezione Prima 17 dicembre 2010, n. 25560

venerdì 25 marzo 2011

FIGLI LEGITTIMI E FIGLI NATURALI FINALMENTE, forse, NON PIÙ DIVERSI:


Il figlio naturale è il figlio generato da un uomo e una donna non legati da un matrimonio valido agli effetti civili.

Evoluzione storico giuridica :

1942
Il diritto di famiglia come codificato nel 1942 concepiva una famiglia fondata sulla discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio, che ricevevano un trattamento giuridico deteriore rispetto ai figli legittimi. Le sue norme dettavano una situazione di vera inferiorità giuridica dei figli naturali, cioè nati fuori del matrimonio, sacrificandone i diritti a favore di familiari e persino a favore di parenti lontani.

1948
La Costituzione dedica alla famiglia tre articoli.
- L'art. 29 stabilisce che "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare".
- L'art. 30 stabilisce che "È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità".
- L'art. 31 stabilisce che "La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo".
Da queste tre disposizioni costituzionali si possono desumere alcuni principi:
il principio di autonomia della famiglia,
il principio di uguaglianza fra i coniugi,
il principio di tutela dei figli nati fuori dal matrimonio,
il principio dell'autonomia educativa,
il principio del sostegno pubblico ai compiti educativi della famiglia.

1975
Il primo libro del codice civile del 1942 venne riformato dalla Legge 19 maggio 1975, n. 151 "Riforma del diritto di famiglia", che apportò modifiche tese ad uniformare le norme ai principi costituzionali in tal senso ha eliminato ogni discriminazione di ordine patrimoniale tra figli naturali e legittimi.

Sono state mantenute solo alcune limitazioni per evitare che la tutela di alcuni interessi dei figli naturali possa creare gravi conflitti all'interno della famiglia legittima:

1) la famiglia legittima ha il diritto di rifiutare di convivere con il figlio naturale di uno dei coniugi.

2) la costituzione legale del rapporto giuridico di filiazione non si costituisce automaticamente, ma solo per effetto di un atto volontario del genitore riconoscimento di figlio naturale o di accertamento a opera del giudice. Ciò non significa che il solo fatto della procreazione non abbia rilevanza giacché essa è comunque fonte di responsabilità dei genitori (per quanto attiene il mantenimento per esempio).

3) i figli naturali non hanno rapporti 'giuridici' con i parenti del loro genitore a eccezione degli ascendenti, cioè nonni e bisnonni. Ciò significa, ad esempio, che non acquisiscono legalmente 'zii' o 'cugini'.

4) in materia di procedura giudiziaria per la regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali in caso di cessazione della convivenza dei genitori, la competenza a decidere dell'affidamento e del mantenimento dei figli naturali minorenni o maggiorenni non autosufficienti sarà del Tribunale per i Minorenni anziché del Tribunale Ordinario, come è invece per i figli legittimi in caso di separazione dei genitori.

 5) Art 537 C.C. in caso di concorso all'eredità dei genitori con figli legittimi della coppia (quindi con i fratelli nati in costanza di matrimonio), i figli naturali possono veder liquidata in denaro la quota di eredità loro spettante anziché acquisire i beni che sarebbero loro riservati.
Ciò non significa che abbia diritto ad una quota minore di eredità ma solo che i fratelli legittimi potranno esercitare l'opzione di riconoscere ai fratelli naturali l'equivalente in denaro della loro parte anziché l'assegnazione dei beni.

Il legislatore della riforma del diritto di famiglia, modificando radicalmente quanto in precedenza previsto dall’art. 541 cod. civ. (abrogato dall’art. 177 della stessa legge n. 151 del 1975) – ha equiparato i diritti successori dei figli legittimi e naturali, contestualmente rimodulando il menzionato diritto di commutazione (che riguarda la fase di divisione dell’asse ereditario), trasformato da insindacabile diritto meramente potestativo attribuito ai figli legittimi a diritto ad esercizio puntualmente controllato, in quanto soggetto alla duplice condizione della mancata opposizione del figlio naturale e della decisione del giudice, «valutate le circostanze personali e patrimoniali».

Occorre rilevare che la Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità di tale norma anche come riformata nel 1975, con la Sentenza 18 dicembre 2009, n. 335, ha affermato che la norma sopra richiamata si colloca nella prospettiva del progressivo adeguamento della normativa allo spirito evolutivo di cui al precetto costituzionale del terzo comma dell’art. 30, che permea la riforma del diritto di famiglia e che è soggetta anche al limite, stabilito dalla medesima disposizione costituzionale, della compatibilità con i diritti dei membri della famiglia legittima (sentenza n. 168 del 1984).

L’espresso riferimento della Costituzione al criterio di “compatibilità” assume la funzione di autentica clausola generale, aperta al divenire della società e del costume.

In tal senso la Cassazione ha ritenuto che la scelta del legislatore di conservare in capo ai figli legittimi la possibilità di richiedere la commutazione, condizionata dalla previsione della facoltà di opposizione da parte del figlio naturale e dalla valutazione delle specifiche circostanze posta a base della decisione del giudice, non contraddice la menzionata aspirazione alla tendenziale parificazione della posizione dei figli naturali, giacché non irragionevolmente si pone ancor oggi (quale opzione costituzionalmente non obbligata né vietata) come termine di bilanciamento (compatibilità) dei diritti del figlio naturale in rapporto con i figli membri della famiglia legittima.


2010/2011

FORSE ad oggi dopo ben 69 anni di evoluzione storico sociale la nostra società ed il suo costume sono pronti ad una concreta equiparazione tra figli legittimi e figli naturali.

Ad ottobre 2010 il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge delega volto a modificare la disciplina in materia di filiazione con il fine di assicurare una sostanziale equiparazione dei diritti dei figli legittimi con quelli dei figli naturali.

Il disegno di legge si compone di quattro articoli.

1) Il primo introduce modifiche al codice civile: si sposta l’attenzione dal concetto di "potestà dei genitori" al più generale concetto delle relazioni che intercorrono tra genitori e figli. Accanto ai doveri dei genitori - mantenimento, educazione e istruzione (già previsti dalla Costituzione) - viene introdotto il diritto del figlio ad essere assistito moralmente, oltre che a crescere con la propria famiglia, ad avere rapporti con i parenti e ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Si introduce il principio generale della unicità dello stato giuridico di figlio, per effetto del quale le disposizioni in tema di filiazione si applicano a tutti i figli, senza distinzioni, salvi i casi in cui vi siano ragioni per distinguere i figli nati nel matrimonio da quelli nati fuori del matrimonio (le definizioni di "figli nati nel matrimonio" e "figli nati fuori dal matrimonio", sostituiscono quelle precedenti di "figli legittimi" e "figli naturali", adeguando, in tal modo, il codice civile, alla formula lessicale adottata dall’articolo 30 della Costituzione). 

2) Il secondo contiene la delega al Governo ad intervenire in materia della filiazione e di dichiarazione di stato di abbandono per eliminare ogni residua differenziazione tra i figli anche adottivi.

Alcuni tra i più significativi principi e criteri di delega sono la modifica della disciplina relativa al riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio: viene affermato il principio che il figlio riconosciuto è parente dei parenti del suo genitore. Si prevede, ai fini del riconoscimento, un abbassamento da 16 a 14 anni, dell’età richiesta per esprimere il consenso. Si afferma l’esigenza di un adeguamento della disciplina relativa all’inserimento del figlio nella famiglia del genitore che lo ha riconosciuto con quella dettata in materia di affidamento condiviso, prevedendosi comunque il consenso dell’altro coniuge convivente e l’ascolto degli altri figli conviventi.

Viene adeguata la disciplina sulle successioni e sulle donazioni con l’obiettivo di eliminare ogni discriminazione tra figli.

Per maggiori approfondimenti si veda:


giovedì 24 marzo 2011

FACEBOOK: attenzione alla PRIVACY e attenzione a QUELLO CHE DITE pericolo LICENZIAMENTO :

 Con i tempi che corrono è consigliabile una sana e consapevole autotutela nell’utilizzo dei social network.
Un datore di lavoro o un qualsiasi potenziale cliente, legittimamente potrebbe fare delle ricerche sul vostro conto per valutare, seppur superficialmente, le vostre attitudini lavorative e non solo.
Senza dubbio il modo migliore per cercare informazioni riservate oggi giorno è quello di sbirciare nel mondo dei social network.
Le informazioni che spesso si lasciano in questi spazi aperti sono dettagli di vita privata che spesso non avreste mai scritto nel curriculum e che possono causare una seria discriminazione nei vostri confronti.

Il Presidente del Garante per la Privacy ha stilato una lista di consigli utili per frequentare Facebook (ed i social network in generale):

1) Evitate di pubblicare il vostro indirizzo e numero di telefono.
2) Evitate di pubblicare immagini e foto che consentano di ricostruire i vostri dati personali, lo stato di famiglia, il vostro passato o il vostro tenore di vita.
3) Evitate di pubblicare informazioni personali e foto relative ad altri se non avete il loro consenso. Queste violazioni sono perseguibili penalmente e danno luogo a risarcimento danni.
4) Usate login e password diverse da quelle utilizzate in altri servizi online (es. posta elettronica, gestione conto corrente ecc).
5) Fate attenzione al livello di riservatezza offerto. Alcuni social network consentono la pubblicazione delle pagine personali anche sui motori di ricerca rendendo visibili a tutti le informazioni da voi pubblicate.
Inoltre nella pagina di gestione della privacy è situata una funzione particolarmente utile: "Blocca persone". La funzione permette di bloccare singole persone (utenti Facebook), limitando loro la possibilità di trovare o leggere le informazioni del proprio profilo, di visualizzare i propri commenti (es. bacheca) o le proprie foto. A differenza delle voci precedenti, la funzione "Blocca persone" agisce in modo puntuale sul singolo utente e non anche in modo generale.

In particolare si rileva come Facebook continua a creare guai. Alla Cassa Nazionale di Previdenza dei Commercialisti due dipendenti sono stati colpiti da provvedimenti disciplinari per aver pubblicato sulla bacheca dei post ritenuti offensivi nei confronti dei vertici aziendali, anche durante l'orario di lavoro.

Anche in Italia, in America avviene ormai da tempo, si è concretizzato l'utilizzo dei social network come strumento di controllo dei propri dipendenti. Un commento azzardato ad un post, una vignetta implicitamente riferita al megadirettore galattico e scatta la sospensione dal lavoro o perfino il licenziamento.

Si da atto altresì che la partecipazione a blog o social network durante l'orario di lavoro, è in contrasto con la diligente e puntuale esecuzione del proprio lavoro.

Pertanto, concludendo, onde non incorrere in sanzioni disciplinari o in una giusta causa di licenziamento, vi consiglio di evitare di fare commenti pubblici sui datori di lavoro e tutelate la vostra privacy.

mercoledì 23 marzo 2011

LEGITTIMA DIFESA PUTATIVA






È stato assolto per legittima difesa dall'accusa di omicidio colposo Giovanni Petrali, il tabaccaio milanese che il 17 maggio del 2003, nel tentativo di sventare una rapina all'interno del suo negozio, uccise a colpi di pistola uno dei due aggressori, Alfredo Merlino, e ferì ad un polmone l'altro, Andrea Solaro, allora diciannovenne.
I giudici della prima Corte d'Assise d'appello di Milano, presieduti da Maria Luisa Dameno, in parziale riforma della sentenza di primo grado, hanno così cancellato lo scorso lunedì la condanna a venti mesi per omicidio e lesioni colpose che colpì invece Petrali il 12 febbraio del 2009.
Secondo l'accusa, infatti, l'anziano commerciante, dopo l'aggressione subita, avrebbe sparato sei dei sette colpi esplosi all'esterno della tabaccheria, a conferma del fatto che l'imputato inseguì i rapinatori, non limitandosi alla mera difesa. Ora invece i giudici, attraverso nuove perizie, hanno potuto riscontrare che i colpi esplosi all'esterno erano in realtà soltanto tre e nessuno di essi raggiunse i malviventi in fuga.
La sentenza d'appello parla perciò di legittima difesa putativa, cioè, l'errata, ma giustificata, percezione che i rapinatori fossero ancora un pericolo anche se intenti a fuggire. Il tutto valutato nell'ottica di una dinamica confusa e concitata che vedeva l'anziano tabaccaio agire in totale assenza di lucidità, limitata dal viso coperto di sangue per un pugno ricevuto, dagli occhiali rotti e da uno stato emotivo ovviamente alterato.

La legittima difesa putativa si verifica allorchè l'autore del fatto ponga in essere una reazione nella supposizione erronea della sussistenza di un pericolo d'offesa ingiusta per un bene proprio o altrui. In tal caso, la giurisprudenza ha precisato che, ai fini dell'operatività della scriminante putativa, è necessario che la convinzione in ordine alla sua ricorrenza sia giustificata da fatti materiali e non origini da una mera percezione soggettiva disancorata da presupposti concreti.


La legittima difesa putativa presenta tutti i caratteri della legittima difesa reale con la sola differenza che, nella prima, la situazione di pericolo non esiste obiettivamente, essendo presupposta dall'individuo sulla base di un errore scusabile nell'apprezzamento dei fatti, determinato da una situazione obiettiva tale da far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in una situazione di pericolo attuale di un'offesa ingiusta.
Pertanto il mero timore e lo stato d'animo dell'individuo, fattori assolutamente soggettivi, non sono sufficienti a far sì che venga applicata la scriminante della legittima difesa putativa. 


Deve, infine, sottolinearsi come, di recente, il Legislatore sia intervenuto in materia di legittima difesa con la legge n. 59 del 2006 che ha aggiunto due commi all'art. 52 cp prevedendo che: "nei casi previsti dall'art. 614 cp, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza o vi è pericolo di aggressione" e che tale previsione sia estesa anche al caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

Come ha avuto modo di sottolineare di recente la Suprema Corte (cfr. la sentenza n. 25339 del 2006), la norma pone, in favore dell'aggredito in uno dei luoghi di cui al secondo ed al terzo comma dell'art. 52 cp, una presunzione di proporzionalità della reazione a patto che sussistano i presupposti di fatto indicati nel medesimo comma 2 e, cioè, che il soggetto che ponga in essere la reazione legittima si trovi nel luogo dell'aggressione legittimamente, che detenga lo strumento con il quale pone in essere la reazione legittimamente, che non vi sia stata desistenza e che vi sia ancora il pericolo d'aggressione.

martedì 22 marzo 2011

Testamento digitale- password e decesso dell'utente:


Il problema del diritto all'accesso alla posta elettronica di un defunto è una questione che presente imminenti caratteri di attualità.

Negli Stati Uniti la questione è stata affrontata in due circostanze differenti.

La prima volta nel 2005 su richiesta della famiglia di un marine scomparso la Probate Court della Oakland County ordinò al provider statunitense Yahoo di consegnare ai genitori tutta la corrispondenza giacente nella casella di posta elettronica del giovane militare.

La seconda volta nel 2007 la figlia di un poeta (tal William Talcott) non ha potuto accedere alla casella di posta elettronica del padre, dopo la sua morte, poiché lo stesso non aveva reso note a nessuno le sue credenziali di autenticazione. La legittima erede ha chiesto l’accesso alla casella di posta elettronica del de cuius al provider Yahoo il quale si è rifiutato di consegnare la password per motivi di privacy. La disputa ha dato vita ad un contenzioso il quale è stato risolto dal Giudice americano con il rigetto in toto la richiesta dell’erede.

La riservatezza dei messaggi e-mail costituisce uno degli argomenti più discussi nel diritto delle nuove tecnologie.

Quanto alla legislazione italiana è opportuno premettere che ad oggi la nostra legislazione non consente di dare una risposta certa posta altresì la mancanza di casi giurisprudenziali in tal senso. Inoltre si da atto come la questione e-mail tocchi vari interessi in gioco: il diritto alla privacy dell’utente della mail e di tutti coloro che erano in contatto con lui, il diritto successorio in capo agli eredi ed eventualmente un interesse della comunità a conoscere gli scritti dell’utente poeta come nel caso americano sopra riportato.

Si da atto come il Garante della privacy in Italia ritiene che non si può consegnare a nessuno, nemmeno agli eredi, una casella di posta elettronica perché può contenere dati personali non soltanto del defunto ma di tutti i suoi interlocutori. L’accesso va proibito nel modo più assoluto. A differenza di un conto corrente bancario che gli eredi sono legittimati a conoscere una casella e-mail contiene una corrispondenza intima che deve rimanere segreta.

In tal senso la consegna di password relative alla posta elettronica paleserebbero una violazione sia dell’art 15 della Costituzione che dell’art 616 del codice penale che parifica la comunicazione telematica a quella cartacea.

E’ opportuno da un altro lato rilevare come la giurisprudenza si sia pronunciata in maniera differente per quanto riguarda gli account aziendali di posta elettronica di dipendenti di impresa. In queste pronunce il giudice si è espresso ritenendo legittimo il controllo della corrispondenza effettuato da parte del datore di lavoro. In tal senso la casella di posta elettronica è stata considerata uno strumento di lavoro e come tale sottoposta alla verifica da parte del datore di lavoro. Il provvedimento prevede la deroga ai principi di libertà e segretezza della corrispondenza in quanto l’accesso da parte di terzi alla casella elettronica in uso al lavoratore non costituisce di per sé violazione alla sfera privata di quest’ultimo.




Si palesa, proprio per l’assenza di una regolamentazione e per la possibile incerta soluzione da parte del giudice chiamato a decidere la controversia, l’opportunità di una regolamentazione di tali problematiche all’interno dei contratti con i provider o anche in un testamento. E’ indubbio che specifiche clausole contrattuali che regolino i rapporti tra gestore dei servizi di posta elettronica e utilizzatore degli stessi.

Le società che gestiscono il provider consigliano di fare testamento per decidere il destino relativo al contenuto della posta elettronica. Infatti in assenza di una previsione mortis causa è discusso se l’erede legittimo possa accedere al contenuto della mail.

Si da atto come nascano sempre più nel modo virtuale siti dediti alla gestione dei nostri cosidetti “Digital Assets“. Alcuni siti offrono servizi equiparabili a pompe funebri digitali. Uno fra i più famosi è sicuramente www.legacylocker.com.
Inoltre il sito Enrustet consente diselezionare i contenuti digitali presenti in Rete da inviare ai propri cari e altri invece da cancellare. Il Deathswitch, in caso di decesso, invia ai parenti e ai colleghi un elenco dettagliato dei siti, dei social media e delle password. Deatswitch verifica regolarmente l'esistenza in vita dei suoi utenti con l'invio di email. Un libro, "Your Digital Afterlife", spiega come affrontare nei singoli dettagli l'ultimo passo nel cyberspazio, da Gmail a Yahoo! a Facebook. Un testo da leggere prima di scrivere le ultime volontà.

La mediazione civile obbligatoria

A partire dal 20 marzo 2011 prende finalmente il largo la procedura di conciliazione, o per meglio dire di mediazione, come la definisce la nuova normativa in vigore (art. 5, comma 1, d.lgs. 28/2010), che prevede l’obbligatorietà della mediazione nelle seguenti materie:

diritti reali
divisione
successioni ereditarie
patti di famiglia
locazione
comodato
affitto di azienda
risarcimento del danno da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa
contratti assicurativi
bancari e finanziari

Con il decreto Milleproroghe è stata invece rinviata a marzo 2012 l’entrata in vigore della obbligatorietà della mediazione esclusivamente per la materia delle controversie condominiali e del risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti.

Ciò significa che a partire dal 20 marzo prossimo sarà necessario, per tutte quelle controversie rientranti nelle materie individuate dalla normativa, effettuare la mediazione prima dell’avvio di una causa civile e la procedura di mediazione, per poter essere considerata valida, dovrà essere effettuata presso uno degli organismi iscritti presso il Registro degli organismi di mediazione del Ministero della Giustizia.

La Camera di Commercio di Lucca, in quanto ente iscritto nel Registro col suo Sportello di conciliazione fin dal 2007, è organismo abilitato a svolgere i tentativi di mediazione di cui al d.lgs. 28/2010 .

www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_7_5_2.wp


martedì 15 marzo 2011

LE DONAZIONI INDIRETTE E L'AZIONE DI RIDUZIONE

DONAZIONE INDIRETTA.  
Cass. civ.,sez. I, 12 maggio 2010, n. 11496. 

Nell’ipotesi di donazione indiretta di un immobile, realizzata mediante l’acquisto del bene 
con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente 
medesimo intenda in tal modo beneficiare, la compravendita costituisce lo strumento 
formale per il trasferimento del bene ed il corrispondente arricchimento del patrimonio del 
destinatario, che ha quindi ad oggetto il bene e non già il denaro. Tuttavia, alla riduzione di 
siffatta liberalità indiretta non si applica il principio della quota legittima in natura 
(connaturata all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria di immobile ex art. 560 c.c.), 
poiché l’azione non mette in discussione la titolarità dei beni donati e l’acquisizione riguarda 
il loro controvalore, mediante il metodo dell’imputazione; pertanto mancando il 
meccanismo di recupero reale della titolarità del bene, il valore dell’investimento finanziato 
con la donazione indiretta dev’essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche 
del diritto di credito, con la conseguenza che, nell’ipotesi di fallimento del beneficiario, la 
domanda è sottoposta al rito concorsuale dell’accertamento del passivo ex art. 52 e 93 l. fall. 

COMMENTO:

Il problema che a lungo ha tormentato la dottrina è stato quello di individuare con certezza quale fosse l’oggetto delle donazioni indirette: il denaro fornito dai genitori o l’immobile acquistato utilizzando lo stesso?

In tema di Collazione e azione revocatoria DI DONAZIONI DIRETTE ed indirette, la Cassazione a Sezioni Unite n. 9282/1992 ha sostenuto che oggetto della collazione e dell’azione revocatoria è l’immobile, tutte le volte in cui il denaro donato costituisce il mezzo per l’acquisto del bene stesso. La ratio di tale sentenza viene ricondotta al principio di par condicio degli eredi onde evitare disparità in caso di collazione del denaro a fronte dell’acquisto del bene immobile.

Cosa è oggetto della azione di riduzione e di restituzione ?

Si discute se il principio di cui alla cassazione a sezione unite del 1992 debba essere applicato anche nella disciplina della azione di riduzione avente ad oggetto donazioni indirette, ponendo in pericolo le situazioni giuridiche soggettive dei terzi aventi causa.

L’azione di riduzione è una azione personale diretta a far valere l’inefficacia del negozio lesivo della legittima. Conseguentemente la titolarità del bene rientra ex tunc nel patrimonio del donante. Da ciò si giustifica l’azione di restituzione contro i terzi. 

L'intestazione di beni altrui sono quegli atti di liberalità indiretta (art 809 c.c.) con il quale il donante con l’accordo del donatario intende far conseguire a questi gratuitamente in via diretta la proprietà di un bene, senza che il bene transiti nel patrimonio del donante anche per un solo istante.

1)   il donante fornisce preventivamente il danaro al donatario che paga il prezzo; (Attenzione: è una donazione diretta rispetto della forma solenne, se di modico valore è sufficiente la traditio ex art 783 c.c. );
2)   il donante interviene direttamente in atto e paga il prezzo, adempimento del prezzo o accollo. (Attenzione : è una donazione indiretta non ci vuole la forma solenne);
3)   il donante stipula un contratto in nome e per conto del donatario pagando con denaro proprio:
4)   contratto per persona da nominare;
5)   contratto a favore del terzo



Il disagio si ha perché nell’ipotesi di intestazione di bene in nome altrui, il donatario (Figlio) non è un avente causa dal donante (padre) bensì dal venditore in quanto il donante (padre) pagando il prezzo al terzo rinuncia al credito avente ad oggetto la restituzione della somma nei confronti del figlio. Ciò che esce effettivamente dal suo patrimonio è il solo credito alla restituzione.

Se si ammettesse l’azione di riduzione e di restituzione del contratto di donazione indiretta avente ad oggetto l’immobile, qualora il figlio vada a vendere il bene così acquistato ad un terzo questo terzo potrebbe correre il rischio di una azione di restituzione ex 563 c.c. senza aver avuto conoscenza della liberalità indiretta.

Es. Tizio acquista il bene dal donatario, figlio, senza essere a conoscenza che l’atto di provenienza era una liberalità indiretta. In particolare tale problema si verificava prima della legge Bersani quando le modalità di pagamento del prezzo non venivano indicate in atto.


Come si potrebbe tutelare il potenziale terzo acquirente???

Una azione nei confronti del negozio di vendita comporterebbe eccessivi rischi.
Il terzo di buona fede, sub acquirente del donatario, più che verificare la continuità della trascrizione, che la provenienza del bene acquistato non sia donativa o successoria e l’assenza di domande giudiziale di impugnative negoziali o vizi di nullità, null’altro può fare. Nel caso in cui la provenienza sia donativa o successoria il terzo può verificare l’esistenza o meno di domanda di riduzione ex art 2652 n 8 c.c. che potrebbe far vacillare il tuo titolo di acquisto essendo legalmente avvertito di tale circostanza. Conseguentemente nel caso di liberalità indiretta il terzo non è a conoscenza della liberalità indiretta.

Se il donatario ha acquistato direttamente dal venditore ma dall’atto trascritto non risulti la circostanza che il danaro è stato fornito dal donante per spirito di liberalità l’eventuale successo del legittimario a seguito dell’azione di riduzione non potrà consentire l’esperimento dell’azione di restituzione verso i terzi a titolo oneroso ed in buona fede.

In tal senso sussiste un conflitto tra la tutela del legittimario e la tutela dell’affidamento del terzo.


L’atto negoziale lesivo della quota di legittima non può essere individuato nella compravendita. L’eventuale azione di riduzione non può colpire il titolo di acquisto del donatario. In tal senso oggetto dell’azione di riduzione dovrà avere ad oggetto la somma di denaro che il padre ha concretamente utilizzato per l’acquisto del bene.
L’azione pertanto colpirà non l’atto negoziale di vendita ma l’adempimento del terzo e l’assunzione del debito altrui comportandone l’inefficacia nei confronti del figlio donatario verso il quale gli eredi potranno agire per la restituzione del credito.

Il diritto del legittimario leso perde la natura reale ed si traduce in un diritto di credito. Il legittimario può si esperire l’azione di riduzione ma non può pretendere l’azione di restituzione del bene verso il terzo.

L’azione di riduzione nelle donazioni indirette incide sulla causa del negozio fine (liberalità) e non sul negozio mezzo (atto di acquisto).


La cassazione del 2010 conferma il principio delle sezioni unite del 1992 secondo cui  nelle ipotesi di intestazione del bene in nome altrui oggetto della donazione indiretta è il bene, tuttavia esclude l’esperibilità dell’azione di restituzione reale del bene nei confronti del terzo avente causa, maturando il legittimario leso il solo diritto di credito.